Virus, il mondo di oggi
- di Gilles Dauvé -
Fino ai primi giorni del 2020, da quando ha sentito parlare di un «virus», la prima cosa a cui ha pensato l'Occidente (l'Asia era sicuramente meglio informata) è stato il suo computer. Di certo, nessuno ignorava il significato medico della parola, ma quel termine, virus, rimaneva assai lontano (Ebola) e relativamente silenzioso nonostante i 3 milioni di morti l'anno per AIDS, e perfino banale (l'influenza invernale, causava «solamente» 10.000 morti l'anno in Francia, ed erano per lo più i vecchi e coloro che erano affetti da patologie croniche). E se la malattia colpiva, poi c'era la medicina che faceva dei miracoli. Era riuscita perfino ad abolire lo spazio: da New York, un chirurgo poteva operare un paziente a Strasburgo! Di questi tempi, piuttosto, ad ammalarsi erano le macchine. E questo fino ai primi giorni del 2020.
1 / Malattia della Civiltà
1.1 / Si muore come si è vissuto
Malattia contagiosa, con un tasso di diffusione assai superiore a quello dell'influenza, il Covid-19 causa pochi casi gravi, ma la loro gravità è estrema, soprattutto per le persone a rischio (quelle sopra i 65 anni), e richiede una "pesante" ospedalizzazione dei contagiati in pericolo di vita. Da qui anche la necessità (che in Francia si è arrivati a realizzare assai tardi) di effettuare massicciamente dei test. Epidemie e pandemie non hanno aspettato l'era contemporanea.
Nell'Impero Romano, fra il 166 ed il 189, la peste fece quasi 10 milioni di vittime. All'indomani della prima guerra mondiale, i morti attribuiti all'influenza "spagnola" sono stati tra i 20 e i 100 milioni (dei quali, in Francia tra i 150 mila e i 250 mila). In quello stesso periodo, il tifo, causato da un batterio, uccideva 3 milioni di Russi durante la guerra civile. Negli anni 1957-1958, l'influenza "asiatica" era la causa della morte di circa 3-4 milioni di persone nel mondo (dai 15 mila ai 20 mila, in Francia). Si stima che l'influenza "di Hong Kong", tra l'estate del 1968 e la primavera del 1970, abbia causato un milione di morti, di cui 31 mila in Francia.
Pertanto, molte cifre, a volte assai incerte (tra i 20 milioni e 100 milioni, lo scarto è enorme), comunque impressionanti, e che a volte fanno riferimento ad episodi della memoria collettiva che sono stati dimenticati: prima del febbraio del 2020, chi è che si ricordava dei morti del 1968-1970? A quei tempi, lo Stato non aveva adottato alcuna misura generale di sanità pubblica, e la stampa ignorava o minimizzava l'epidemia.
Al Covid-19, si sono accompagnate un diluvio di statistiche, tanto più incomprensibili quanto più variavano quelli che erano i loro criteri. Cambia tutto, a seconda che si consideri il numero totali dei morti a partire dall'inizio dell'epidemia, oppure, a partire da quel giorno, il numero dei contagiati, o ancora l'incremento del numero di contagi rispetto ad una determinata data, oppure il tasso di trasmissione, le ospedalizzazioni o i letti occupati in terapia intensiva. In Francia, il moltiplicarsi dei test effettuati (pochi, nei primi mesi), ha fatto aumentare le cifre relative ai contagi, allo stesso tempo in cui diminuiva il numero di morti quotidiane. Meno tamponi si fanno in un dato paese, meno casi si contano, il che non significa meno malati né meno morti. Oggi, dovrebbero ormai essere tutti a conoscere la differenza tra morbilità, mortalità e letalità. Bisogna distinguere anche tra tasso di letalità apparente e reale. Solamente il secondo ci fornisce il rapporto tra il numero di morti rispetto ai casi effettivamente risultati positivi; dal momento che il primo si basa esclusivamente sulla stima di coloro che sono stati infettati. Per quanto interessante sia, questa contabilità, inevitabilmente incompleta, rappresenta quello che è solo uno degli aspetti della pandemia: la portata della sua ampiezza (probabilmente un milione di morti nel mondo, nel 2020). Non ci dice quasi nulla su quelle che sono le cause sociali ed i loro effetti.
Come ogni malattia grave, il Covid-19 può uccidere quelle che sono le persone deboli, o indebolite a causa dell'età, per un'altra patologia, e/o per uno stile di vita debilitante: una cattiva alimentazione, inquinamento atmosferico e chimico (quello dell'aria, uccide nel mondo tra i 7 e i 9 milioni di persone; in Francia, tra i 48.000 e i 67.000), sedentarietà, isolamento, la vecchiaia al di fuori del lavoro, la quale mette anche al di fuori della società; tutti fattori, questi che contribuiscono al diabete e al cancro e che sono un terreno favorevole per il Covid-19. Di quelli che sono stati i 31 mila decessi registrati in Francia alla fine del mese di agosto del 2020, almeno 7.500 si ritiene che siano dovuti alla co-morbilità (in un quarto dei casi, legata all'alta pressione arteriosa, e in un terzo dei casi ad una patologia cardiaca). Ci sono fattori diversi, e non misurabili, che si combinano per creare un eccesso di mortalità, con una dimensione di classe: per esempio, i poveri mangiano più cibo spazzatura, e l'obesità fra di loro è più frequente. E con la pauperizzazione ed il sovraffollamento urbano, è ricomparsa la tubercolosi (1,5 milioni di decessi nel mondo, nel 2014). Quando si è malati, è meglio essere ricchi... ed in generale essere Bianchi. «Quando per un Bianco si tratta di beccarsi un raffreddore, ecco che per un Nero si tratta di una polmonite», dicono negli Stati Uniti. Per non parlare, per la situazione attuale, del costo umano del lockdown: disoccupazione, ansia, depressione, isolamento negli «Edifici per persone anziane dipendenti» (EHPAD)...
La civiltà capitalistica non ha creato il Covid-19, ma ne ha favorito la diffusione, attraverso la circolazione sempre più ampia degli esseri umani e delle merci, un'urbanizzazione globale accelerata e spesso nociva, e il degrado dei sistemi di sicurezza sociale nei paesi cosiddetti sviluppati. Su questo ritorneremo nel §2.
«Governare significa prevedere»: una regola, questa, che la società capitalistica non ignora, ma che applica secondo quella che è la sua propria logica. Quando prevenire diventa un ostacolo alla concorrenza tra le imprese, le quali sono alla ricerca del costo minimo di produzione, un ostacolo per il profitto e per gli interessi a breve termine della classe dominante, ecco che allora la prevenzione passa in secondo piano. Il principio di precauzione, non sarà mai una priorità in una società che è in grado di gestire al meglio una crisi sanitaria, non certo per prevenirla. In questo nostro mondo, è solo ciò che è misurabile ad essere «scientifico»: sia i fattori sociali che quelli ambientali giocano un enorme ruolo nel propagarsi delle malattie, essendo difficilmente quantificabili, e sfuggendo quindi alle statistiche. In ogni caso, il modo di vita occidentale non sembra essere affatto un vantaggio.
1.2 / Cronologia di una gestione attraverso espedienti
«Oggi, dobbiamo ricominciare a dire, col rischio di scioccare, che la pandemia di Covid-19 avrebbe dovuto rimanere ciò che è: una pandemia leggermente più virale e più letale dell'influenza stagionale, i cui effetti su una vasta maggioranza della popolazione sono lievi, ma che su una piccola frazione sono assai gravi. E invece, lo smantellamento del sistema sanitario europeo e nordamericano, iniziato più di dieci anni fa, ha trasformato questo virus in una inedita catastrofe della storia dell'umanità che minaccia il nostro sistema economico nella sua interezza. [...] Avrebbe potuto essere relativamente facile arginare la pandemia, praticando uno screening sistematico che individuasse e rilevasse le persone infette non appena fossero comparsi i primi casi, tracciando i loro movimenti e collocando in quarantena controllate le (pochissime) persone infette. [...] La tecnica dei test di screening sierologico e del tampone non è affatto complicata, essa richiede solamente l'organizzazione e le attrezzature che siamo in grado di produrre. [...] Nel mentre che allo stesso tempo si distribuiscono massicciamente delle mascherine facciali a tutta la popolazione suscettibile di essere contagiata, al fine di rallentare ancora ulteriormente i rischi di diffusione del contagio.» (Gaël Giraud, 24 marzo 2020).
Ovviamente, non è questo ciò che stiamo vivendo. Perché un terrestre su tre si è ritrovato confinato per delle settimane, con il rischio che venga di nuovo confinato, se gli Stati lo riterranno nuovamente necessario? Anche se è vero che l'internazionalizzazione del capitalismo lo rende vulnerabile, ciò non basta a spiegare la paralisi parziale dell'economia mondiale: per quale motivo si è fermata la produzione e la circolazione? Perché la lotta contro il contagio ha assunto la forma di un lockdown delle popolazioni, con la chiusura forzata di alcune imprese?
Primo tempo: Avvisare
«All'inizio del 2018, nel corso di una riunione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità [...] un gruppo di esperti [...] inventa il termine di "malattia x". Veniva preannunciato che la prossima pandemia sarebbe stata causata da un nuovo agente patogeno sconosciuto che non era ancora entrato in contatto con la popolazione umana. Probabilmente, la malattia x deriverebbe da un virus di origine animale, e sarebbe emersa da qualche parte del pianeta, dove lo sviluppo economico favorisce l'interazione tra esseri umani ed animali. All'inizio dell'epidemia, la malattia x verrebbe probabilmente confusa con altre malattie, e si diffonderebbe rapidamente e silenziosamente [...] sfruttando quelle che sono le reti di viaggio e di commercio [...] La malattia avrebbe un tasso di mortalità più elevato rispetto ad un'influenza stagionale» (Michael Roberts, 15 marzo 2020).
Secondo tempo: Negare
Meno di due anni dopo, quando sono arrivati tutti i tratti caratteristici di questa «malattia x», gli Stati Uniti hanno cominciato a minimizzare, se non a negare il problema.
«Quando, il 31 dicembre 2019, le autorità taiwanesi hanno avvertito l'OMS circa i pericoli di un virus che si trasmette assai facilmente, l direzione dell'MS ha messo in dubbio la gravità della situazione ed ha parlato a nome della Cina. Il 14 gennaio [...] l'OMS ha negato che il virus fosse contagioso per gli esseri umani. La pandemia che ne è derivata è rimasta perciò a lungo invisibile nei diversi paesi colpiti, tanto dell'Asia quanto dell'Europa, i quali, in genere, i quali l'hanno rilevata dopo, con diverse settimane di ritardo. Il 30 gennaio, il direttore dell'OMS [...] si è recato in Cina dove ha affermato che la situazione era sotto controllo e si è congratulato con le autorità cinesi [...]. Inoltre ha sconsigliato ogni restrizione riguardo spostamenti e viaggi, sebbene Taiwan fosse già chiusa e sotto controllo da un mese.» (Jean-Paul Sardon, 28 aprile 2020).
Privilegiando gli interessi economici, gli Stati non hanno adottato nessuna misura di protezione, ad esempio, introducendo dei controlli sanitari in quelli che sono i punti di entrata nel loro territorio. In Francia, domenica 14 marzo 2020, il bravo cittadino è stato chiamato a votare alle elezioni municipali.
Terzo tempo: La gestione sanitaria ha la priorità sull'economia
Di fronte all'ampiezza delle dimensioni dell'epidemia, i governanti non possono fare a meno di reagire, ma lo fanno solo secondo quelle che sono le logiche ed i mezzi che sono loro propri. In un paese come la Francia, la vicenda rivela fino a che punto la pseudo-abbondanza mascheri una vera e propria penuria: la «settima potenza economica mondiale» non dispone di infermieri, di letti d'ospedale, di test sierologici, di mascherine, ecc... Nel marzo del 2020, il lockdown generalizzato - che ha portato al parziale arresto della produzione e del commercio - si è rivelato essere come l'unico mezzo a disposizione per limitare temporaneamente una malattia della quale non si era capita la pericolosità. In Francia, martedì 16 marzo, il bravo cittadino è stato costretto a rimanere a casa, sotto pena di sanzioni.
Quarto tempo: Ritorno al Business as usual; quasi
Dopo circa due mesi, la pandemia , lungi dall'essere passata, e in alcuni paesi perfino più letale di prima, sembra gestibile, senza destabilizzare la società. In più, si constata che stragrande maggioranza dei morti aveva già oltrepassato l'età lavorativa (in Francia, tra 1° marzo e il 28 agosto, il 90% dei deceduti era al di sopra dei 65 anni), e che per i lavoratori, la probabilità di morire di Covid era bassa: diventa perciò urgente rimandarli in fabbrica o in ufficio - naturalmente, promettendo loro un'adeguata protezione. E allentando le restrizioni ed i divieti che erano stati messi in atto relativamente alla vita quotidiana (per quanto la situazione fosse peggiore che in altri paesi).
1.3 / «Bene! La guerra.» (La marchesa di Merteuil, in: Choderlos de Laclos, "Le relazioni pericolose", 1782). Governi ed istituzioni proclamano una guerra contro un «nemico invisibile». Prendiamoli in parola. Che un paese la vinca o la perda, la guerra, per le sue classi dirigenti il costo non è mai trascurabile, e assai spesso si rivela essere esorbitante: corrono tutti quanti il rischio di perdere parte, se non tutto, delle loro ricchezze, o del loro potere. Ma la razionalità di un conflitto non può essere né compresa né misurata in euro, sterline o dollari. Uno Stato non partecipa ad una guerra pe poter guadagnare del denaro, e ciò che la determina non è certo una logica d'impresa: ma è il risultato di forze e di (dis)equilibri sociali e politici, tanto all'interno quanto all'esterno dei singoli paesi. La decisione presa, alla fine, sarà conforme a quello che è l'interesse delle classi dominanti, così come esse lo concepiscono. Le élite dirigenti dei quattro imperi (tedesco, austriaco, russo e ottomano) scomparvero dopo il 1918, essendosi lanciati nel 1914 in una guerra da cui speravano di uscire rafforzati. In misura assai minore, nel 2003, gli invasori dell'Iraq non avevano previsto lo Stato islamico. I governanti conoscono da decenni le cause e gli effetti del riscaldamento globale, al quale non hanno opposto altro che palliativi. Perché agire diversamente di fronte ad una pandemia? Incapaci di prendere delle precauzioni per le persone anziane che soffrono già di gravi patologie, di fare massicciamente dei test, di mettere in quarantena tutti quelli che sono i soggetti infettati, ed ospedalizzare i casi estremi, rimaneva loro una soluzione che fosse la meno peggio e la più facile: quella di instaurare una sorta di «blocco sociale». Di fronte ad una crisi della quale non potevano né volevano affrontare le cause (essi ne facevano parte), le classe dominanti l'amministrano senza smettere di fare del loro meglio per poter conservare il proprio potere. Le risposte sono estremamente varie, dalla Germania al Brasile, con delle sanzioni che vanno da sei mesi di prigione in Francia a 7 anni in Russia. Ma in ogni caso, la gestione dell'epidemia ed il controllo della popolazione sono una cosa sola: in Francia, durante il lockdown è stato proibito l'accesso alle foreste, dal momento che i loro vasti spazi, sebbene favorissero il «distanziamento fisico», rendono più difficile la sorveglianza. Per le classi dominanti, il prezzo da pagare (il rischio di discredito politico, perdita di produzione e quindi di profitto) non era certo piccolo, ma secondario se comparato all'imperativo del mantenimento dell'ordine sociale, politico e sanitario insieme. E anche la Corea del Sud e Taiwan, pur avendo praticato massicciamente i test e distribuito le mascherine facciali, limitando in tal modo il lockdown ed il confinamento solo ai casi comprovati, hanno dovuto comunque rallentare le loro economie fortemente esportatrici, mentre il resto del mondo si fermava. Analogamente, la Germania, malgrado un confinamento assi diverso, ad esempio, da quello della Francia, è stata costretta a limitare le sue attività commerciali. Il risultato alla fine è stato quello di una fuga in avanti assai razionale: un grande numero di paesi si è come iniettata una dose (forte ma temporanea, auspicabilmente) di riposo forzato prima di ripartire sani e più belli. Ma c'è da dire che però nel romanzo di Laclos, la bellicosa marchesa finisce assai male.
2 / A Ciascuno secondo il suo Capitalismo
Se è vero che il governo francese tratta la sua popolazione come se fossero dei bambini, e che invece quello tedesco come se fossero degli adulti, si rimane però colpiti da quella che è l'opposizione tra la natura preventiva del sistema sanitario al di là del Reno, se comparato a quello di una Francia che non ha saputo essere solo reattiva. Sia sotto dei governi di destra che sotto quelli di sinistra, tra il 1993 ed il 2018, la Francia ha soppresso 100.000 letti d'ospedale, e quando è stato l'inizio della crisi, essa aveva la capacità di testare solamente 3.000 persone al giorno. La Germania, invece, ne poteva testare 50.000. Questo paese è ben lungi dall'essere un paradiso del Welfare State: il lavoro precario è stato istituzionalizzato, il tasso di povertà si avvicina a quello del Regno Unito, e anche lì la sanità è soggetta ad obblighi di redditività Ma la Germania beneficia di quello che è il capitalismo più solido dell'Unione Europea, basato sul suo potere di esportazione, il quale le assicura una migliore riproduzione della società - e della forza lavoro - e le permette di evitare di tagliare troppo sul budget sociale, soprattutto su quello relativo alla spesa sanitaria. La Francia non dispone di questi mezzi (la sua industria contribuisce per il 15% al PIL, contro il 25% in Germania), all'inizio della crisi disponeva di 7.000 posti letto per la terapia intensiva (arrivati successivamente a 10.000), contro i 25.000 in Germania. La «gestione» dell'Azienza fa funzionare gli ospedali secondo il principio del «just in time»: come se si trattasse di una fabbrica tessile o di un supermercato, bisogna tenere sempre solo lo stretto necessario (un letto che rimane libero per 24% è solo uno spreco di denaro), e si deve avere sempre a disposizione un bacino di disoccupati in modo che, se ce ne sia bisogno, si possa assumere personale temporaneo, sotto contratto e senza alcun «statuto». Nel settembre del 2019, pochi mesi prima della crisi, veniva istituita la figura del «bed manager», incaricato di «regolare il flusso di pazienti in entrata ed in uscita nei vari reparti». Ne è risultata una medicina talmente all'avanguardia perfino meno capace di affrontare un'epidemia di quanto lo sia un paese africano povero.
Dal momento che i controlli non sono stati effettuati e mancano le risorse umane e materiali, ecco che il confinamento ed il coprifuoco forniscono protezione. Non è stato assurdo perciò il fatto che lo Stato abbia adottato una retorica guerriera e abbia tentato di realizzare una sorta di Sacra Unione, dopo essere stato scosso a lungo, l'anno passato, dalla grave crisi sociale dei Gilet gialli. Al «consiglio di difesa» contro il terrorismo, si sono aggiunti il «consiglio di difesa Covid», il «consiglio ecologico»... Come se la difesa civile organizzata dallo Stato salvasse delle vite nel contesto di un bombardamento dovuto alla guerra scatenata da quello stesso Stato.
Se la Corea del Sud e Taiwan hanno agito in maniera diversa, ciò è avvenuto di certo perché hanno subito recentemente delle gravi epidemie, ma anche perché non hanno sistematicamente cercato che ci fosse «meno Stato possibile»: non ci può essere società capitalista stabile senza che ci sia un servizio pubblico efficace. Nel 2017, il numero di posti letto in ospedale, ogni mille abitanti, in Corea del Sud era di 12,27 (in Italia 3,18). Le spese per l'istruzione e la salute, non sono solamente un costo, bensì un investimento necessario all'insieme del capitale, diversamente questo non è in grado di garantire la riproduzione della società da cui dipende. Pertanto, «a forza di risparmiare sul sistema sanitario, basta solo che arrivi un virus che sia un po' più aggressivo e mortale della solita influenza per far sì che vengano persi dieci punti di PIL. [...] L'integrazione tra Stato ed impresa privata [...] è diventata troppo stretta [...] anche dal punto di vista meramente capitalistico di quello che è il loro funzionamento ottimale [e] limita considerevolmente l'efficacia e la reattività dell'azione statale» [Il Lato Cattivo].
Incapaci di affrontare quelle che sono le cause di una crisi che hanno contribuito a creare, i governanti spaventati si ritrovano ora a rassicurare, ed il discorso allarmista, volto a consolidare il controllo sulla popolazione. viene trasmesso dalle diverse forze: il potere centrale, la «comunità scientifica» (rispetto alla quale, la vicenda Raoult ha avuto quanto meno il merito di portare alla luce quelli che sono i problemi del potere e le sue incoerenze), così come i media, cassa di risonanza della società.
3 / «Sono costretto ad ammettere che tutto continua» ...
... scriveva Hegel più di duecento anni fa [«muss ich sehen, dass es immer fortwährt…», in una lettera a F. Creuzer del 30 ottobre 1819]: «Avrò 50 anni. Ho vissuto per trent'anni in tempi eternamente agitati, pieni di paura e di speranza e speravo che un giorno avremmo potuto essere liberati dalla paura e dalla speranza: sono costretto ad ammettere che tutto continua.»
3.1 / Preservare lo Status quo
Il capitalismo non è fatto di oggetti, di esseri umani, di macchine, di centri commerciali e di carte di credito. Esso è il rapporto sociale che anima il docker, la commessa, il cargo, la boutique, il magazzino, l'utensile e il bancomat, e lo fa con un dinamismo mai raggiunto prima da quelli che sono stati i precedenti sistemi sociali. Da sé solo, il fermo temporaneo di una parte delle attività produttive interrompe questo rapporto sociale, senza che distrugga ed elimini ciò che lo aveva messo - e ben presto lo rimetterà - in moto. Persino se viene parzialmente sospeso, il rapporto di produzione capitalistico non cessa di funzionare. Lo scambio commerciale rimane, malgrado ci sia alla base una solidarietà in cui non si «conta» il proprio denaro ed il proprio tempo. Per alcuni settori, il profitto deve e può passare parzialmente in secondo piano, ma non svanisce. Alcune aziende si indebitano o falliscono, altre nascono (servizi online) o prosperano (Amazon...). La maggior parte di esse perdono soldi e si adattano. Mentre la crisi bancaria e finanziaria del 2008 aveva fermato parte della produzione, immobilizzando navi da carico negli estuari dei grandi fiumi, stavolta a rimanere colpita è l'economia cosiddetta reale. Tuttavia, affermare che la crisi rivelerebbe la realtà in quanto dimostrerebbe che la società funziona solo grazie all'infermiera, al netturbino, al fattorino, al garagista... significa sostenere una mezza verità. Contro il mito di un'economia della conoscenza, sono stati infatti i banali lavoratori produttivi a mantenere in vita la società durante tutto il periodo del confinamento: la crisi conferma la centralità del lavoro... ma del lavoro salariato. Nella società esistente, lo spazzino e l'infermiera dipendono dai soldi allo stesso modo in cui ne dipende il negoziante. Lungi dal rivelarne il suo fallimento, la crisi attuale rivela la resilienza di un sistema sociale che sa ancora rendersi indispensabile. Il denaro rimane la mediazione necessaria alle nostre vite: a chi ha perso il proprio lavoro restano solo i suoi risparmi, l'assistenza alle famiglie o l'aiuto pubblico - e tutto questo viene espresso in denaro. Anche arrangiarsi ed aiutarsi l'un l'altro non ne sono esenti: chi faceva le mascherine facciali per i propri vicini, doveva pur sempre comprare del vestiti, oppure, più frequentemente, dei preziosissimi elastici. Ed è attraverso i prestiti alle imprese, e in misura assai minore ai singoli che i governi intervengono. Ma, «quello che colpisce in questi enormi programmi di salvataggio, che spendono somme di denaro senza precedenti [...] essenzialmente al fine di preservare quello che è lo status quo - almeno all'inizio.» (Accouchement difficile – Chronique d’une crise en devenir).
Ciò che sta accadendo e che continuerà ad accentuarsi, è un libero scambio moderato da un lieve ritorno dello Stato: verrà dato un po' di denaro pubblico al settore privato senza alcuna contropartita; e per quelle che sono alcune produzioni giudicate come strategiche, ci sarà una rilocalizzazione assai limitata, senza che però venga messa fine alle catene di valore internazionale ed ai flussi «just in time».
3.2 / Tre settimane risparmiate per il pianeta
All'inizio del 2020, stavamo preparando un testo sull'ecologia, che apparirà prossimamente su questo blog, in cui diciamo che in ogni caso nessuna delle cause del riscaldamento globale verrà attenuata grazie al porre rimedio ad una crisi sanitaria che è a sua volta un elemento della crisi ambientale. A differenza di quella che è stata la ben più letale «influenza spagnola», l'attuale pandemia esprime la contraddizione tra il modo di produzione capitalistico e le sue indispensabili basi naturali. Inquinamento, deterioramento della biodiversità, deforestazione... tutte queste cose continueranno a persistere e, per esempio, l'allevamento industriale continuerà a favorire l'emergere di nuovi virus e malattie, nei cui confronti saremo vulnerabili. Certamente, nel 2020, la recessione economica dovuta alla pandemia avrà fatto arretrare di tre settimane quello che avrebbe dovuto essere il «giorno del superamento»; la data entro la quale l'umanità consuma tutte quelle che sono le risorse che l'ecosistema è in grado di produrre in un anno. Ma sarebbe del tutto sbagliato aspettarsi che una tale decelerazione della produzione possa prolungarsi, e che in futuro favorisca una «pianificazione», o una «biforcazione» ecologica. Semplicemente, i bambini mangeranno in mensa più cibo biologico, e i loro genitori compreranno da Carrefour più legumi locali, vivranno in un eco-quartiere, guideranno una vettura elettrica in una citta a «zero emissioni di carbonio» su un territorio in cui c'è «eccedenza energetica per la crescita verde».
L'urbanizzazione del mondo non verrà rallentata, la renderemo verde. Londra, tipica metropoli «globalizzata» che tra il 2008 ed il 2019 si è accaparrata un terzo dei posti di lavoro creati in Inghilterra, renderà verdi i suoi edifici, metterà al bando i veicoli alimentati a benzina e quelli diesel, introdurrà bus e tram elettrici, accrescerà quella che è la sua «cintura verde», e moltiplicherà il numero di orti cittadini per gli abitanti. Nel frattempo, l'alimentazione dei londinesi non proverrà né dalla regione e né dal paese, ma da tutto il mondo: se oggi, in Gran Bretagna, un ettaro di terra è cento volte più redditizia se viene usato per l'edilizia, piuttosto che per l'agricoltura, solo un profondo sconvolgimento sociale potrebbe essere in grado di mettere fine alla legge del rendimento.
Bisogna essere proprio ingenui per rimanere scioccati dal fatto che i governanti vogliono innanzitutto finanziare (largamente) le imprese (aeronautica e industria automobilistica, in particolare) ed aiutare (ma solo per periodo assai breve) i lavoratori salariati parzialmente disoccupati. La concorrenza ed il profitto obbligano a questo, ed è normale sovvenzionare delle produzioni malgrado il loro effetto negativo sull'ambiente. In poche parole, ridurre le conseguenze alimentandone le cause. Risparmiamo energia per poi poterne usare di più dopo. In Francia, il nucleare era già tutto votato a produrre elettricità: è questa infatti la strada intrapresa, quella di un «mix» che mescola delle dosi sempre più elevate di combustibile fossili ad una quota sempre più crescente di energie rinnovabili ... tutto questo senza rinunciare al nucleare. Utilizzeremo meno imballaggi in plastica, ma il che non impedirà la crescita della produzione globale di plastica. Ecc..
E tutto questo nell'illusione di un capitalismo più ridotto e più snello, quindi meno inquinante dal momento che è digitale. Ma, nella realtà, il virtuale pesa parecchio: materie prime, combustibile, produzione, trasporto, manutenzione... «Il consumo energetico mondiale cresce ancora (+ 2,3% nel 2018), e più dell'80% proviene ancora dai combustibili fossili. La quantità di energia necessaria a produrre l'energia cresce anch'essa, nella misura in cui vengono sfruttati dei giacimenti di qualità inferiore, o degli idrocarburi detti «non convenzionali», come le sabbie bitumose. [...] Il tasso di ritorno energetico dell'energia continua a diminuire. [...] La semplice visione di un video online, i quali vengono immagazzinati in delle gigantesche infrastrutture materiali, avrebbe generato nel 2018 così tante emissioni di gas a effetto serra quanti ne genera un paese come la Spagna. [...] Oggi, un progetto standard di apprendimento automatico emette, nel corso di quello che è l'insieme del suo ciclo di sviluppo, circa 284 tonnellate di equivalente di CO2, cinque volte quelle che sono le emissioni di una vettura, dalla sua fabbricazione fino alla rottamazione. [...] I giganti della tecnologia non hanno alcun interesse a mettere a punto dei metodi più sobri. E non hanno alcun interesse a far sì che i loro utenti adottino dei comportamenti ecologici. Quella che sarà la loro prosperità futura, necessita dal fatto che ciascuno di noi si abitui ad accendere la luce parlando ad un microfono connesso, piuttosto che premendo uno stupido interruttore. Ora, il costo ecologico di queste ultime due operazioni è ben lungi dall'essere uguale. La prima necessita di un apparato elettronico sofisticato munito di un assistente vocale, il cui sviluppo ha consumato molte materie prime, energia e lavoro. Propugnare simultaneamente “l'internet delle cose” e la lotta contro la crisi climatica non ha senso: l'aumento del numero di oggetti connessi non fa altro che accelerare la distruzione dell'ambiente. E nei prossimi 5 anni, le reti 5G dovrebbero raddoppiare o triplicare il consumo energetico degli operatori di telefonia mobile.» ( Sébastien Broca, " Le numérique carbure au charbon " ).
Miliardi di oggetti «comunicanti» stanno per irrompere nella nostra vita. Il «treno del progresso» riprende la sua corsa dopo un momento di sospensione. Il riscaldamento globale sta preparando nuove pandemie tropicali. Ci saranno altri coronavirus. Ma ci rassicurano: Google ci annuncia che «dei ricercatori stanno usando l'Intelligenza Artificiale per ridurre l'inquinamento atmosferico in Uganda".»
3.3 / Accelerazione
Sebbene il mondo abbia provvisoriamente rallentato, le sue tendenze di fondo si sono rafforzate a causa della crisi, come in altre circostanze è successo a partire dalla guerra. Alle statistiche quotidiane che riportano il numero di contaminati e di deceduti, i media aggiungo quelle relative alla perdita di produzione, e predicono un tracollo finanziario. Possibile. ma, negli Stati Uniti, tra il 1929 ed il 1932, le azioni in Borsa avevano perso il 90% del loro valore, e tra il 1929 ed il 1933 la produzione industriale era crollata del 52%: in quello stesso periodo, in quel paese si contava il 25% di disoccupazione e e 2 milioni di senzatetto. Tuttavia, ciò nondimeno il capitalismo è continuato.
Da sé sola, e a meno che non venga eliminata la quasi totalità della popolazione mondiale, nessuna gigantesca e devastatrice epidemia metterà fine al capitalismo. Stravolgerà gli equilibri, rimescolerà quelle che sono le carte politiche, geopolitiche e sociali, e lo farà nel senso delle più diverse ed opposte direzioni. La crisi del 1929 aveva portato sia al New Deal, sia al nazismo e sia ai fronti popolari, con l'Unione Sovietica che, da parte sua, si rafforzava e la Svezia che mandava al potere per decenni una socialdemocrazia riformatrice.
«A volte, la riproduzione delle relazioni sociali capitalistiche richiede enormi sacrifici di quelli che sono i loro supporti materiali (cose e persone) [...] per la stessa ragione, queste relazioni non possono essere né intenzionalmente modificate né sconfitte da un automatismo della storia (da un "crollo" per esempio).» (Il Lato Cattivo).
Tolti alcuni correttivi, il regno del «just in time» e dello «zero stock» va avanti. La farmacia venderà alcuni farmaci prodotti dalle fabbriche di Lione o di Madrid, ma gli europei compreranno sempre uno smartphone proveniente dall'Asia che arriva da una nave riempita di 2.000 container che verrà poi spedito su un furgone o un camioncino UPS. E domani il computer utilizzato a Mers-les-Bains non uscirà certamente da fabbriche tedesche o olandesi, come quelle da cui in passato provenivano la radio e il televisore venduto da Grundig o da Philips. Si può prevedere un ritorno assai parziale a quello che viene chiamato stato sociale. I borghesi si sono spinti troppo lontani sulla strada del taglio ai bilanci, della privatizzazione, della razionalizzazione dei servizi pubblici fatti funzionare come se fossero delle imprese, dell'«all-market» e del «meno-Stato» possibile. Il capitalismo presuppone uno spazio non capitalistico, ed uno Stato che funzioni secondo logiche diverse da quelle puramente di mercato. Ciò non riduce affatto il dominio borghese, in particolare nei settori finanziari e bancari. Il coronavirus non fermerà la marcia verso pensioni più basse, la precarizzazione sempre più spinta, l'individualizzazione del mercato del lavoro e la riduzione delle protezioni sociali.
3.4 / Ci sarà una vita senza Internet?
Ciò che il coronavirus ha inaugurato, è stata la tele-esistenza su larga scala. Restare a casa volente o nolente, oggi ha dimostrato l'impossibilità di una vita «normale» senza la tecnologia digitale. Internet, per gli Stati è servito come un mezzo per imporre il confinamento, così come è servito alla popolazione per poterlo sopportare. L'accesso ai servizi pubblici, all'istruzione, alle relazioni familiari ed amicali, alla sessualità (siti di incontro e pornografia), agli svaghi, allo shopping, al lavoro (sebbene in misura minore di quanto si dica), perfino all'attività politica... grazie al confinamento, l'evoluzione verso la totalità digitale ha fatto un balzo in avanti. La comunicazione per mezzo degli smartphone e l'onnipresenza degli schermi: la società degli individui li socializza a distanza.
Nel lasso di tempo di una trentina d'anni, il computer ha finito per diventare indispensabile alla circolazione del capitale e delle merci; a cominciare dalla forza lavoro. E dal momento che il capitalismo ha colonizzato la vita quotidiana, installa il digitale anche in camera da letto, sull'automobile, nel frigo, e si prepara ad impiantarlo all'interno dei corpi. Ciò che è stato presentato come se fosse semplicemente «più pratico e più rapido», ora si impone come necessario, in attesa di diventare obbligatorio. Ormai, l'essere umano vive «on line». Ben presto potrà disporre di un assistente virtuale in grado di correlare tutti i suoi dati personali, di fare acquisti al suo posto, di sorvegliare la sua salute ricordandogli di prendere le medicine, di gestire la sua agenda, di contattare una persona a cui non parla da un po' di tempo, ed è quindi in grado di conoscere meglio di lui quali siano le sue esigenze. Il digitale disintossicante non conoscerà la moda dello slow food. In meno di 15 anni il computer, come dicono i franco-canadesi, è diventato una protesi vitale per almeno 3 miliardi di esseri umani, e nel 2019 ne sono stati venduti 1,5 miliardi. Per la prima volta, uno strumento di lavoro è anche oggetto indispensabile per a propria vita affettiva, familiare, intellettuale, ecc., ed è anche uno strumento privilegiato di controllo sociale e politico - e pertanto di polizia. E sempre in nome del benessere collettivo: un luogo sorvegliato da delle telecamere viene chiamato «sotto protezione video». La parola magica, la «sicurezza» viene posta di fronte al delinquente come di fronte al terrorista e al virus, e la crisi sanitaria mostra fino a che punto lo Stato riesca, nel nome della salute, ad ottenere la nostra sottomissione. Aggiungendola al riconoscimento facciale (in questo campo, la Cina è i futuro del mondo), la radio-identificazione ha un brillante futuro davanti a sé. Riservato al giorno d'oggi agli animali domestici, il chip sottocutaneo verrà impiantato negli esseri umani, che così si porteranno sempre dietro la propria cartella clinica, il loro casellario giudiziario, ecc., e, tolto qualche recalcitrante, in questo modo i cittadini moderni adotteranno questo sistema come hanno già fatto con il passaporto biometrico o con la dichiarazione dei redditi online. Senza per questo gioirne, non sarà certo una sorpresa. Per far sì che l'internauta possa «con pochi clic» informarsi sul meteo o sul vero nome di chi si firmava «Baron Corvo», è stato necessario raccogliere e aggiornare costantemente milioni di dati, ai quali anche questa ricerca aggiungerà le proprie tracce. Non si può sapere tutto senza essere anche parte di questo tutto, ed essere «tracciati» in ogni momento.
4 / Bilanci e Prospettive
4.1 / Distanziamento
In "Years and Years", una serie televisiva trasmessa nella primavera del 2019, l'Inghilterra del 2029 si trova ad essere governata da un governo autoritario (e perfino criminale) che, nel bel mezzo di un'epidemia trasmessa dalle scimmie, rinchiude quelli che sono i quartieri «sensibili» dietro delle barriere controllate dalla polizia, e ne vieta l'accesso di notte. Un anno dopo l'uscita di questo film, per tre miliardi di persone, una simile finzione politica è diventata realtà: restrizioni di viaggio, coprifuoco, polizia onnipresente. Ma quest'esperienza «biopolitica» su scala globale ( e globalmente riuscita) ha visibilmente dimostrato ciò che essenzialmente già esisteva: eccettuati che per gli EPHAD [«Edifici per persone anziane dipendenti»], il confinamento non ci ha messo molto più di prima a collocarci a «distanza sociale» gli uni dall'altri. E neppure così tanto meno. Messi agli arresti domiciliari, abbiamo perso il controllo della nostra vita: ma che vita avevamo nel febbraio del 2020? La libertà di andare a lavorare, per quei pochi di noi che avevano un lavoro, e quella di essere buddisti o marxisti, fino a quando queste convinzioni rimangono opinioni che hanno alcun effetto sulle basi della società. Un comunista del 1840, diceva a proposito dei proletari che essi dipendevano da cause esterne rispettò ad essi. Nel 2020, l'accettazione di massa di quella che è un'atomizzazione forzata ha messo in evidenza quella mancanza di unione che oggi costituisce la quotidianità dei proletari, tanto più in una epoca di divisione delle lotte e di identità separate.
Un'epidemia ed il suo trattamento che ne fa lo Stato, per noi ad esempio non sono più sconvolgenti della dichiarazione di guerra del 14 agosto che allora paralizzò tutto il movimento operaio e socialista dell'epoca. Nel XXI secolo, a differenza di quello che avveniva negli anni '40 del XIX secolo, per vivere, la stragrande maggioranza dell'umanità non ha alcun altro mezzo se non quello di essere stipendiati - se questo è possibile ed alle condizioni imposte. Ma questo destino comune non è per niente sufficiente ad avvicinare le persone e ad unificarle: bisogna che le lotte sociali comincino a vedere un obiettivo comune. Ora, anche se ci sono molte lotte - senza dubbio più di quante si possano immaginare, e di una varietà molto più ampia di quella del passato: conflitti di lavoro, «di genere», ecologiche... - e anche se a volte queste lotte sono vittoriose, esse rimangono frammentate, incapaci di arrivare al cuore del problema. La pandemia, l'arresto di parte dell'economia ed il confinamento hanno interrotto alcune lotte, e ne hanno anche provocato delle altre. Ma simultaneità non vuol dire sincronizzazione, giustapposizione non è confluenza, né giunzione è sinonimo di superamento. Finora, al massimo, le resistenze e i rifiuti si sono combinati nella richiesta di riforme.
La lotta per il salario e per le condizioni lavorative tocca il rapporto salari/profitti, ma non attacca automaticamente (e di fatto, raramente) il lavoro salariato in sé. Analogamente, rifiutare di rischiare la propria salute per un padrone, esigere delle misure di protezione, o addirittura pretendere di essere pagati senza andare al lavoro fino a che sussista il pericolo, non è sufficiente a mettere in discussione la convivenza tra borghesi e proletari. Di critica del lavoro, ce n'è ben poca, e c'è ancora meno critica dello Stato in quanto Stato, in quello che nell'aprile del 2020 hanno scritto gli autori di "Quoi qu’il en coûte. L’État, le virus et nous"; ma l'osservazione rimane valida.
Possiamo immaginare un'inversione di tendenza verso la fine della pandemia, dove tutte le critiche separate convergono per attaccare la struttura fondamentale, quella che non crea le altre oppressioni, ma le mantiene e le riproduce: la relazione capitale/lavoro, borghesia/proletariato. Le diverse lotte «precipiterebbero», come si dice in chimica quando degli elementi eterogenei fino a quel momento dispersi si cristallizzano in un blocco. La resistenza passerebbe allo stadio dell'assalto alle basi di questa società. Le élite dirigenti verrebbero tanto più rifiutate in quanto la loro gestione della crisi le ha screditate, ed ha messo contro di loro dei larghi strati della popolazione. Approfittando della cessazione di parte della produzione, i proletari tenterebbero di trasformare la società, ribellandosi alle forze dello Stato, attaccando il dominio borghese, rompendo con la produttività e con lo scambio di mercato, differenziando ciò che è dannoso da quello che è utile, dando inizio ad un dis-accumulazione (decrescita), ecc.
La cosa non è impossibile, ma oggi non c'è niente che indichi che le lotte multiformi possano prendere tale direzione. Piuttosto, i segnali visibili ci mostrano la sopravvivenza di quelle che sono delle divisioni categoriali, identitarie, locali, nazionali, religiose, e a volte perfino l'emergere di nuove separazioni. E non c'è alcuna ricetta per potervi porre rimedio.
4.2 / Ipotesi
Fondamentalmente, il virus ed il suo trattamento non cambiano niente: si limitano solo a rivelare e ad accentuare delle evoluzioni. Un evento storico, pur delle dimensioni dell'attuale pandemia, di per sé, non trasforma il corso della storia. Il Covid sospende molte cose, ma non interrompe il capitalismo o il suo dominio, e non è nemmeno sicuro che ne cambierà le sue forme attuali, come fece la guerra del 14-18 o la crisi del 1929. Non stiamo vivendo la fine del mondo, e neppure la fine di un mondo. La pandemia rafforza quello che è l'ordine già esistente: come al solito, in quanto classe, la borghesia dà prova di essere dotata di difese immunitarie abbastanza buone. Le (vere) fragilità del capitalismo sono solo quelle su cui esso si basa: il proletariato. Più di qualsiasi altro sistema, questo modo di produzione si nutre delle sue crisi superate, anche di quelle più gravi, poiché esso è impersonale e plastico in maniera sorprendente e si accontenta di ciò che è essenziale: la relazione capitale/lavoro, l'impresa, la concorrenza... Il rapporto sociale capitalistico è allo stesso tempo «portatore del suo proprio superamento, ovvero della sua riproduzione ad un livello superiore»: di tutti i rapporti «di sfruttamento tra classi antagoniste» esistite storicamente, esso «è il più contraddittorio, e quindi il più dinamico.» (Il Lato Cattivo, "Covid-19 e oltre", marzo 2020).
Qui, vorremmo proporre una «legge storica» (che come tutte le leggi ammetterebbe le sue eccezioni):
In assenza di un movimento sociale preesistente già radicale (vale a dire, tendente ad attaccare le basi della società), una catastrofe non può fare altro che favorire lo scatenarsi di contestazioni parziali, di intensità variabile, ed obbligare l'ordine stabilito ad evolversi, e quindi a rafforzarsi. Dal coronavirus, ne escono tutti confermati. La donna di sinistra arriva a concludere che ci vogliono dei veri servizi pubblici; il neoliberale, che lo Stato dimostra la sua incompetenza; l'elettore di estrema destra, che bisogna chiudere le frontiere; l'ecologista dei piccoli passi, che tali passi vanno moltiplicati; l'ecologista di governo, che bisogna coinvolgere ogni forza politica suscettibile di lavorare per il clima; il transumanista, che è tempo di compiere il passo verso l'umanità aumentata; il ricercatore, che la ricerca ha bisogno di finanziamenti; l'attivista, che l'urgenza è quella di dare impulso alle lotte; il rassegnato, che tutto quanto ci sta sfuggendo di mano; il collassologo, che dobbiamo prepararci al peggio... E il proletario? Per lui, cosa ribadisce tutto questo? In ogni caso, pensa e penserà che le sue azioni e le sue lotte lo porteranno a capire. Dal momento che si pone le domande (teoriche) alle quali si è già cominciato a produrre delle risposte (pratiche).
- Gilles Dauvé - 22 settembre 2020 - Pubblicato su DDT21 Douter de tout… -
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