giovedì 29 ottobre 2020

Come in tanti romanzi…

Il successo, per Luigi Pirandello, giunse alle soglie della vecchiaia, travolgente, improvviso, forse nemmeno più atteso. E fu un successo planetario, coronato nel 1934 dal premio Nobel per la letteratura. Il frutto tardivo di centinaia di novelle, racconti, romanzi, saggi, opere teatrali rappresentate sui palcoscenici di tutto il mondo. Ma prima? Com'era la vita prima che si alzasse il sipario? Prima che i personaggi diventassero le «maschere» della condizione umana? Prima cioè che Pirandello diventasse Pirandello? Divorato dall'ansia di emergere e disposto ad annientare se stesso pur di vedere riconosciuti il proprio talento e la propria arte, per quarant'anni lo scrittore siciliano non si risparmiò sofferenze e frustrazioni. Lo testimoniano innumerevoli documenti che consentono di seguire il processo della sua creazione artistica, la messa in prova della «vita che si scrive», dell'io che si narra. Impareggiabile, Pirandello si racconta nelle lettere ai famigliari, un universo impastato di affetti, interessi, dipendenze e ricatti, un groviglio di finzioni e menzogne, di desideri spacciati per realtà in cui l'autore comincia a dare un volto e una voce a quei fantasmi della mente che non lo avrebbero mai abbandonato. Attraverso questi documenti - molti dei quali indagati qui per la prima volta - Annamaria Andreoli ricostruisce gli anni della giovinezza dello scrittore, le tappe della sua formazione a Palermo, a Roma, a Bonn, la sua vicenda intima e sentimentale, le spigolosità del suo carattere, i malesseri tormentosi. Poi gli esordi letterari, l'assidua ricerca di un editore, la scrittura a getto continuo di opere straordinarie e tuttavia misconosciute. Il bisogno di denaro, un matrimonio che presto si rivela una prigione infernale, la grigia routine dell'insegnamento all'Istituto Superiore di Magistero, i contrasti con i committenti. E soprattutto il confronto a distanza - soffertissimo - con d'Annunzio, smagliante protagonista della nascente industria culturale italiana, capace di trasformare come d'incanto ogni parola, ogni gesto in un successo senza precedenti. Il confronto si risolverà soltanto dopo la prima guerra mondiale, quando la fama dello scrittore del Caos varcherà i confini nazionali. Ma a quel punto, gravato dall'«obbligo di vivere», della gloria del suo tempo l'artista sembrerà non curarsi affatto. Un'altra, l'ennesima maschera di un autore che più di tutti sembra "uno, nessuno e centomila".

(dal risvolto di copertina di: "Diventare Pirandello. L'uomo e la maschera", di Annamaria Andreoli. Mondadori)

Pirandello, bugiardo da Premio Nobel
- di Salvatore Silvano Nigro -

L'episodio risale al mese di dicembre del 1889. Luigi Pirandello ha ventidue anni. Si trova a Bonn dove studia Filologia romanza. Invia una lettera alla famiglia. Scrive: «Io vi comunico, miei Cari, che in aprile sarò Dottore in Filologia romanza, e che appena ottenuta la laurea e il titolo passerò a insegnare Lettere italiane in questa università di Bonn con emolumento annuo di circa 4 mila lire italiane, suscettibili d'illimitato aumento, oltre il provento delle iscrizioni al mio corso e un'indennità di alloggio. Di ciò vado debitore al pofessor Foerster, del quale non so perché, mi sono cattivata tutta la simpatia». La notizia è da festeggiare con invio di soldi da parte del padre. Bisogna comprare una rendigote e pagare il diploma. La famiglia è orgogliosa. E desidera avere una fotografia del figlio che si addottora. Luigi manda un ritratto disegnato da lui. Aggiunge una didascalia: «Prof.Dott. Luigi Pirandello con relativa rendigote». Tutto bene, se le notizie non fossero delle sfacciate fandonie. A Bonn, Pirandello si è tenuto lontano da Foerster che lo dava per disperso. Nel primo semestre non ha scritto nessuna tesi di laurea. Piuttosto il mentitore si è trastullato con una giovane amante, Jenny. Pirandello ha montato una mascherata, per prendere tempo e spillare soldi al padre. Prenderà la laurea nel 1891, con una tesi sulla parlata agrigentina.
In Sicilia, Pirandello si è fidanzato ufficialmente con una sua cugina isterica. Considera la promessa di matrimonio un intralcio. Ha sogni di gloria. Ed è impaziente. Vuole rendersi libero. Ricorre a un altro sotterfugio. Indossa la sua maschera di bugiardo. E recita un'altra commedia. Finge svariate (e costose) visite mediche. Servono altri soldi. E in più il responso è triste. Si è aggravata la sua endocardite. I medici gli hanno addirittura proibito di sposarsi. Con il matrimonio andrebbe incontro all'«ansima» e all'«epilessia». Ne sarebbe morto dopo circa due anni di vita matrimoniale. Il bugiardo «condannato a morte» scrive lettere spudorate, alquanto patetiche (subdole e affettivamente ricattatorie) alla fidanzata Lina e al padre: «Cara Lina... tra il sentimento e il dovere a chi debbo appigliarmi? Per me sarebbe nulla - dandomi a te non farei un sacrificio della mia vita, ma raggiungerei il sogno mio più agognato - non importa se per un anno o due - morirei felice a canto a Te. È ad altro che io penso, a esseri a cui si ha il torto di non pensar mai, quando si è ancora in tempo, prima cioè di procrearli. Ho il diritto di legar Te e altri possibilmente, a questa catena? Puoi Tu accettare il peso di tanta responsabilità?»; «Papà mio, consigliami tu, col tuo senno, col tuo amore, con la tua esperienza... Io ho Te, io ho la Mamma, io ho voi tutti, a cui debbo vivere, non è vero?». Alla commedia aggiunge il suo bisogno di uno scarico di coscienza: «Che sarà della Lina? Che dirà ella? Io ho un gran bisogno di sentirmi dire che non sono colpevole. È forse questo un segno che io lo sono? Ma se io ho troppo lavorato, se questa è la mia colpa, è stato per lei, per affrettare il tempo, in cui sarei stato in grado di osservar la promessa».
Pirandello agognava il matrimonio, a credergli, e si era sacrificato nel lavoro solo per amore. Luigi si sposerà nel 1894, con un'altra cugina, Maria Antonietta Portulano. E sarà un matrimonio d'interesse, «un affare commerciale»: infelice comunque (la moglie paranoica lo accuserà di essere una «mignatta», una sanguisuga).
Annamaria Andreoli, nella sua documentatissima biografia (Diventare Pirandello. L'uomo e la maschera), non monumentalizza la figura di Pirandello. Il grande scrittore, l'inarrivabile drammaturgo, il poeta, giunse molto tardi al successo. Negli anni giovanili fu un bugiardo compulsivo. Recitò in famiglia una farsa che millantava importanti incontri, decisivi rapporti, entrature nel mondo dell'editoria e del teatro. Si arrabattò. Nelle sue tantissime lettere ai famigliari (lette collegialmente) edificò il sofferto sogno di un genio promesso alla gloria. Anticipò di troppo i tempi. Recitò la maschera di sé stesso. E visse l'immaginazione come realtà. Si fece forza e si aprì la strada facendo di D'Annunzio non solo un concorrente, ma un nemico da odiare ossessivamente. L'elezione di un nemico è un ostacolo funzionale. Ha scritto Umberto Eco: «Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurare un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell'affrontarlo, il valore nostro». Alla fine la gloria arrivò, quella vera non quella inventata. Ma «troppo a lungo», dice l'Andreoli, «Luigi Pirandello ha temuto che la sua grandezza d'artista non sarebbe mai emersa. Desidera la fama fino allo spasimo, e invece per anni e anni il suo talento misconosciuto resta compresso nell'oscurità». Diventò uno scrittore di successo planetario. Nel 1934 venne insignito del premio Nobel per la letteratura.
Le pagine più affascinanti della biografia scritta dalla Andreoli sono quelle che riguardano il Pirandello giovane. C'è anche il resto, naturalmente. Ma già si viaggia nel noto e quasi noto. Il libro è prima di tutto un saggio. Ed è anche uno stupendo florilegio dell'epistolario pirandelliano, criticamente letto tra le righe, dietro e sotto le parole. Sono eleganti le pagine nelle quali Andreoli legge, con fulminante sintesi e profondità di sguardo le opere di Pirandello. Basta l'esempio del Fu Mattia Pascal: «Numerosi i detrattori dell'eroe pirandelliano, che muore appunto fintamente a trent'anni, l'età di Cristo, per risorgere con una falsa identità. Si fatica a comprendere che Pascal è variante degradata dell'uomo-dio: uomo-burattino come Pinocchio, anche lui risorto. Nella trama compaiono in controluce due ladroni (il gatto e la volpe), un sentenzioso teosofo (il grillo parlante), una giovane «mammina» vestita d'azzurro (la fata turchina). Se il naso non diventa lungo, le bugie attanagliano il personaggio finché non è più in grado di sostenerle. Per tornare alla verità deve fingere di morire un'altra volta».
La narrazione procede nella biografia lungo studiati andirivieni che tengono in tensione i lettori, così inchiodati alle pagine, come in un romanzo.

- Salvatore Silvano NigroPubblicato sul Sole del 25/10/2020 -

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