La città di Jena è stata la Silicon Valley del pensiero filosofico del XIX secolo; una comunità straordinaria di pensatori, che ha aperto la strada all'aurora intellettuale della nostra epoca.
Jena 1800: all’inizio del XIX secolo, un flusso ininterrotto di giovani intellettuali e poeti tedeschi si raduna in una cittadina della Turingia di circa 4000 abitanti e fa la storia. La storia intellettuale, certo, ma la storia. Mentre l’ordine sociale e politico in Europa è frastornato dalle idee della Rivoluzione francese, Jena è il luogo dove si ritrovano i giovani ribelli, il luogo di un nuovo inizio, di uno stravolgimento filosofico. Le figure principali – i fratelli Schlegel e le loro mogli, Schelling, Novalis e Hegel – si spingono a pensare il mondo in modo nuovo, per stabilire una «repubblica degli spiriti liberi». Essi non mettono in dubbio soltanto le tradizioni della società. Con le loro tesi provocatorie sull’individuo e la natura, rivoluzionano la nostra comprensione della libertà e della realtà – una rivoluzione il cui impatto è giunto fino a noi.
Jena, nel 1800, è l’epicentro intellettuale e culturale della Germania. La città non conta neppure cinquemila abitanti, circa un quinto dei quali studenti. Una città che si trova al centro del ducato di Sassonia-Weimar, in una conca tra ripidi pendii di calcare conchilifero, e vive dell’Università, di artigianato e di commercio. Jena è dunque una piccola cittadina, eppure attira tutti coloro che hanno rango e nome oppure che sperano di ottenerli un giorno. Qui, come si sente dire in quasi tutta Europa, è la vera residenza dello spirito. L’Accademia di Platone oggi si trova sulla Saale, il fiume della città. Dal 1794 dimora qui Johann Gottlieb Fichte, un ardente seguace della nuova filosofia, la filosofia critica, Da Königsberg Kant ha suscitato non meno di un terremoto filosofico. La Critica della ragion pura, apparsa a Riga nel 1781, è l’opera del momento. La critica kantiana della ragione scuote il mondo dello spirito. Tuttavia, per il momento, il libro si impolvera sugli scaffali. Soltanto a Jena, alla fine degli anni Ottanta, riceve l’attenzione che gli spetta: qui sarà letto, discusso e commentato, qui comincia la sua marcia trionfale. Come un’onda d’urto il pensiero critico afferra il continente europeo e getta lo spirito in una crisi dalla quale può liberarsi soltanto da sé. Ciò che lì, a Parigi, viene rovesciato dalla Rivoluzione reale, quella politica, qui viene violentemente scardinato dalla Rivoluzione ideale, quella filosofica: i vecchi sistemi di persuasione non valgono più. Kant è la nuova epoca. E Fichte il suo messia.
(dal risvolto di copertina di: Peter Neumann, "Jena 1800. La repubblica degli spiriti liberi". Einaudi)
Lo Spirito in persona è sceso a Jena tra un brindisi e l’altro ha cambiato la storia
- di Marco Filoni -
È il tempo che fa rumore. Periodi grandi e piccoli, che durano anni o decenni o anche soltanto pochi giorni. Periodi che stillano storia, la fanno e la determinano, condensando in un luogo preciso una ridda di ingegni. Miniere di uranio nella storia dello spirito, è stato detto. Di certo quando in una piccola, piccolissima cittadina nel mezzo della Germania si ritrovano una decina di filosofi, poeti, intellettuali un po’ straordinari, e questi nel giro di qualche inverno iniziano a pensare il mondo in maniera differente, ecco che allora la miscela di incendi è appiccata.
Siamo a Jena intorno al 1800. Un piccolo bordo di origini medievali al centro del ducato di Sassonia-Weimar. È solcato placidamente dalla Saale, il fiume che scorre lento e che ha scavato la conca fra pendii di calcare dove sorge la cittadina. Nemmeno cinquemila abitanti, di cui fra l'altro circa un quinto sono studenti. Già perché qui c'è l'università, di cui vive Jena. La vicina Weimar è il tempio dell'arte, a cui la corte è dedita; qui invece si coltiva lo spirito. Siamo alle soglie di un nuovo secolo; quello passato, impietoso, è stato tumultuoso. L'Europa tutta e le corti e i regni hanno ancora lo spavento negli occhi per ciò che accadeva pochi anni prima a Parigi. Lì però la Rivoluzione è passata, è stata dichiarata finita. A Jena è appena iniziata.
A questa rivoluzione del pensiero avvenuta fra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento è dedicato il bel saggio di Peter Neumann. Un libro curioso, pieno di aneddoti, che racconta come e perché Jena è stata una sorta di Silicon Valley di quell'epoca - e che ha trasformato una volta per tutte le epoche successive. La tesi di Neumann in fondo è semplice: il continente europeo è reduce da conflitti e guerre, decenni di sommosse e sconvolgimenti. Sul piano politico la Rivoluzione francese del 1789 ha scombinato tutto; sul piano filosofico il pensiero di Kant ha fatto pure peggio. E se c'è un posto in cui le idee di Kant vengono lette, discusse, pensate, masticate e digerite quello e Jena. Si prendano tutti i concetti che da allora ad oggi sono al centro del dibattito: libertà, moralità, e poi autocoscienza, storicità, soggettività e riflessività, libera espressione dell'arte e persino la riflessione sul genere. Ecco: tutto questo nasce a Jena, in quegli anni. Per Neumann è la nascita dell'epoca moderna.
E ha buon gioco nell'argomentare la tesi facendo intrecciare le storie dei suoi personaggi, gente affatto notevole e rilevante. Già perché ad animare quell'accademia platonica che sorge sulla Saale e che si mostra con più sfarzo in banchetti pieni di spirito (questa volta quella alcolico però), fra liaison erotiche e pettegolezzi, invidie e accanite discussioni, sono prima Fichte e poi Schelling, Schiller, Novalis, i fratelli Schlegel e le loro mogli Carolina e Dorothea, e poi infine Hegel. Una «gabbia di matti», dirà il poeta e scrittore Ludwig Tieck - ma anche lui faceva parte di quel cenacolo jenense, fra sguardi intricanti: del resto si sa, la carne è debole anche là dove lo spirito è possente: Schelling fa spudoratamente la corte a Caroline (che poi sposerà) con i suoi consueti modi bruschi, mentre Novalis li osserva con la coda dell'occhio indovinando l'avvicinarsi di uno scandalo. Ma il punto non è questo. È che queste donne e questi uomini non soltanto civettano e si sollazzano alticci: no, fanno anche altro. Rivoluzionano il pensiero.
Su tutto e su tutti veglia e dispone un diavolo custode, nientemeno che il signor Goethe. Lui è una sorta di deus ex machina di questa accademia dello spirito a Jena: a Weimar, dove risiede e dove vive anche la corte, ha una posizione di potere - è consigliere segreto, ministro di Stato, confidente del duca. E a Jena fa sì che convergano i migliori spiriti del tempo. Ma se quando è a Weimar è troppo preso dai reali intrighi, a Jena si rifugia (passandoci mesi interi) perché lì può essere poeta, studiare, discutere di filosofia - e occuparsi delle sue vere passioni, cioè le scienze naturali, l'anatomia, e poi ancora pietre e minerali, la metamorfosi delle piante, lo studio degli aerostati...
Dal punto di vista filosofico il cenacolo si dà da fare: poco più di una decina d'anni, dal 1794 al 1806, tanto basta. Si comincia con il pensiero critico di Kant: non esiste più nessuna isola di verità, i vecchi sistemi non valgono più. «D'ora in poi basta con tutte le prove metafisiche di Dio. L'esistenza di Dio non si lascia né confermare né confutare. Alle domande ultime circa mondo, anima, Dio, libertà e immortalità si può replicare con sicurezza soltanto che l'uomo, che se lo pone incessantemente, non troverà nessuna risposta». Ma la filosofia è ben lungi dalla sua fine, anzi: il pensiero critico è solo il punto di partenza, mostra forse i risultati, certo, ma mancano le premesse.
Ed eccoli allora lì al lavoro: spazzato via il fastidioso dualismo (e con lui il buon Cartesio, padre fondatore della filosofia moderna), se si vorrà un giorno realizzare la rivoluzione incompiuta di Kant allora bisogna pensare una filosofia «che non conosce più nessun interno e nessun esterno, nessun soggetto e nessun oggetto, ma semplicemente un Assoluto, che si dà da conoscere in tutte le figure della Realtà». La «Natura» e lo «Spirito» piacciono come concetti, come piace l'«anima del mondo», che suona come una parola magica a lungo cercata, che abbraccia la storia e l'intero cosmo e le fratture che nel tempo avevano creato un abisso. «Nel mezzo della Natura lo Spirito si riconosce e giunge a sé stesso; nello Spirito dell'uomo la Natura apre gli occhi e giunge alla conoscenza della propria esistenza. La Natura è soltanto l'altro dello Spirito, non la sua cattiva matrigna».
Altro che il vecchio Illuminismo che imperversa a Berlino e che da qui, da Jena, sembra una critica settaria. Qui c'è tutto e il contrario di tutto. Le discussioni sono accanite, ma su una cosa sono tutti d'accordo: l'organo centrale della filosofia è l'immaginazione. Che non significa «finzione, apparenza, inganno; significa immaginare l'infinito nel finito, affinché l'eternità possa apparire nell'ordine del tempo. L'immaginazione è la facoltà di immaginare i contrari, e al momento attuale di contrari ce ne sono più che a sufficienza».
Poi un giorno arriva anche uno svevo dall'aspetto misurato e saccente, al quale piace la birra e il vino e si diverte un mondo a giocare ai tarocchi. Si chiama Hegel. È un vecchio compagno di studi di Schelling (dividevano casa insieme al poeta Hölderlin): in lui l'entusiasmo per Kant è contenuto, gli sembra che la sua dottrina sia «un'arida cavillosità concettuale». Gli preferisce Rousseau.
Il resto è noto. Sono gli anni in cui Hegel a Jena pensa e scrive la Fenomenologia dello Spirito, mentre la realtà irrompe. Una realtà che ha il volto della guerra: non distante da Jena gli eserciti prussiano e napoleonico si affrontano nel sangue. Una storia finisce, un'altra e pronta a iniziare. Scrive Neumann che «neppure Hegel avrebbe potuto immaginare che lo sconvolgimento della storia del mondo sarebbe avvenuto proprio qui, in questa cittadina universitaria della Turingia, proprio sotto i suoi occhi». Quegli occhi che videro passare a cavallo l'anima del mondo, Napoleone, il 13 ottobre 1806. A Jena, prima delle vacanze estive, Hegel aveva congedato i suoi studenti con queste parole: «lo spirito ha fatto uno scatto in avanti e sta per cambiare forma; la massa delle idee precedenti, i legami del mondo, si sono dissolti e crollano come immagini oniriche; la filosofia deve accogliere la nuova fase dello spirito, perché in essa si manifesta l'eternità della ragione». Era stato profetico. E in fondo ha ragione Neumann: a volte bisogna lasciar stare il passato per vedere quanto può essere bello il futuro.
- Marco Filoni - Pubblicato su Tuttolibri il 24/9/2020 -
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