Salvare il Natale, a qualsiasi costo!
- di Gilles TK - (immagine di Steve Cutts) - 19/10/2020 -
Le misure cosiddette «sanitarie» del governo, con il progredire dell'autunno, hanno sempre più a che fare con la coercizione, piuttosto che con la cura. Non è certò una novità. Ci viene detto che si tratta di preservare i ritmi ospedalieri. Ci dicono che si tratta di salvare delle vite. Ma quelli che ci governano, e che si fanno curare nelle cliniche private, sembra che abbiano una deplorevole tendenza a confondere le parole «vita» ed «economia».
Le giornate dei lavoratori e delle lavoratrici vengono separate in due: c'è il tempo del lavoro, e poi c'è il tempo del «non-lavoro», il quale permette la «riproduzione della forza lavoro»[*1], vale a dire, la soddisfazione dei bisogni primari e la realizzazione di un certo numero di desideri espressi da ciascun individuo (mangiare, riposare, curarsi, nutrirsi intellettualmente, nutrirsi socialmente, fare sesso ecc.). Grazie al non-lavoro, il giorno dopo, il lavoratore e la lavoratrice possono tornare sul posto di lavoro in buone condizioni. Quel che conta, è specificare che «non-lavoro» non è sinonimo di «non-faccio-niente», nella misura in cui un certo numero dei compiti che permettono la riproduzione (il «care», nella versione statunitense) sono ripetitivi e fastidiosi, oltre ad essere screditati sul piano sociale. E sono storicamente assegnate alle donne: preparare il pasto, pulire i bambini, lavare le ferite del marito.
Ma se questa chiara e deliberata dissociazione di quelli che sono i luoghi e i tempi di attività che corrispondono alla realizzazione del capitalismo (prima, le società non si organizzavano in questo modo), il lavoro e il non-lavoro partecipano della medesima dinamica di creazione di «valore» (il profitto, la crescita economica, tutte queste cose). Il non-lavoro è la precondizione per il lavoro. In altri termini, se non c'è un non-lavoro, strutturato nel nome del lavoro, non può esserci Lavoro.
Il tempo di lavoro, il suo orario, viene organizzato dall'impresa (in teoria, sotto il controllo dello Stato), e normalmente la gestione del non-lavoro viene lasciata alla discrezione di ciascun individuo, o a piccoli gruppi di individui («la famiglia»). È esclusivamente in questo tempo di non-lavoro che eventualmente può sbocciare quella libertà, inscritta sul frontone della Repubblica, e questa democrazia della quale sentiamo così tanto parlare. Appena oltrepassate i cancelli dell'azienda, lasciate perdere: la vostra voce non conterà mai quanto quella degli azionisti e non avrete mai la stessa posizione sociale del vostro capo, e farete quello che lui vi dirà di fare. Ma non è che poiché la libertà e la democrazia vengono tenute a distanza dai luoghi e dal tempo del lavoro, una volta che uno ha finito la sua giornata di lavoro, allora per questo diventa necessaria la loro fioritura nel tempo e nei luoghi del non-lavoro. Lo Stato regola la lancetta dell'autodeterminazione a partire dalla pressione di interessi che sono spesso contrastanti [*2]. Ecco perché per due secoli le lotte sociali e societarie si sono interessate tanto alle condizioni lavorative (aumento dei salari, diminuzione della fatica, 35 ore, ecc.) quanto alle condizioni del non-lavoro (previdenza sociale, pensioni, parità di diritti, depenalizzazione dell'omosessualità, depenalizzazione dell'aborto, protezione dell'infanzia, ecc.).
L'equilibrio tra tempo di produzione e tempo di riproduzione continua ad essere sempre precario. Non appena si verifica una crisi, ecco che le carte vengono subito rimescolate, e in genere ciò non avviene a vantaggio del non-lavoro. Ed è questo ciò che sta esattamente succedendo oggi. Guardiamo, perciò, alle tre fasi della gestione della pandemia da parte del governo:
- Prima fase, all'inizio del mese di Marzo: la Negazione. Non si deve permettere niente di tutto ciò che possa turbare l'ordine produttivo stabilito.
- Seconda fase, Marzo-Aprile: il Confinamento. Imposto sotto la pressione degli specialisti che analizzano le dinamiche internazionali, ciò a partire dal fatto che le strutture sanitarie erano in condizioni fortemente carenti quando è arrivato il Covid, e si era arrivati alla nuova convinzione che persistere nella negazione avrebbe avuto come conseguenza un cataclisma economico [*3]. Per tutta la durata del Lockdown, l'equilibrio si è spostato improvvisamente sul lato del non-lavoro. La macchina si ferma. Ovviamente, ciò dev'essere sfumato a seconda dei diversi settori professionali, e va mitigato attraverso la dinamica del tele-lavoro (alcuni vedono aumentare, e in qualche caso esplodere il loro tempo di lavoro, nella misura in cui bisogna che, mentre lavorano, svolgano simultaneamente anche i lavori domestici, e in più si occupino di amministrare la scuola a domicilio dei loro figli). In ogni caso, il modo di produzione capitalistico si viene a trovare sull'orlo dell'apoplessia.
- Terza fase, a partire dal mese di Maggio: ritorno graduale e progressivo alla normalità: Riequilibrio della bilancia del tempo. I grandi traumatizzati in cravatta rientrano in possesso dei miliardi che sono stati spesi senza alcuna contropartita. La cosa importante è che non si torni MAI più al lockdown, in mondo che non venga MAI più interrotta la produzione.
Ottobre 2020: la terza fase sta facendo il suo corso, ma il virus riprende la sua piena attività. Per ridurre il rischio si devono limitare i contatti; da quando esistono le epidemie, la regola non è cambiata di molto. Appare evidente che i luoghi di lavoro sono altrettanto suscettibili di poter diventare focolai dell'infezione, quanto lo sono i luoghi di non-lavoro [*4]. Senonché, è ormai fuori questione, per i responsabili, che si possano fermare le macchine, e intervenire sul tempo e sui luoghi di lavoro, salvo che per l'installazione di qualche parete in plexiglass, o un po' di stupida segnaletica. L'unica opzione ad essere ormai giudicata come accettabile, rimane solo quella di agire sul tempo del non-lavoro.
A partire da questo, avremmo senz'altro torto se ritenessimo che il governo stia cercando di mettere deliberatamente i vecchi contro i giovani, o la campagna contro la città. E non dovremmo nemmeno perdere troppo tempo a farci delle domande circa l'apparente contraddizione per cui si lascia che le piattaforme della metropolitana si riempiano, nel mentre che si vuotano le sale degli spettacoli, misurando i quattro metri quadri di rigore. In realtà l'unico obiettivo del governo è quello di preservare la produzione, anche se per fare questo si devono sollevare tutta una serie di persone da un certo numero di attività considerate come accessorie, secondarie, o addirittura superflue, anche se esse corrispondo a quello che noi chiamiamo la «qualità della vita». Nel corso della sua intervista del 16 ottobre, Macron non ha detto altro che questo: «Bisogna riuscire a ridurre i nostri contatti un poco inutili, quelli più festivi e conviviali, scusate se lo dico, in modo che si continui ad avere una vita sociale sul posto di lavoro, a scuola, nelle aziende e nelle associazioni». Tutto questo, ovviamente, con l'effetto collaterale di distruggere tutto un settore dell'economia del tempo di non-lavoro, vale a dire, i caffè-ristoranti ed il mondo della cultura vivente. Qualunque sia il costo in termini di disagio psicologico e sociale, e secondariamente di contagio dovuto al fatto che i treni suburbani sono un po' troppo affollati. La propaganda abbinata consiste nel distogliere l'attenzione dirigendola verso la responsabilità individuale e, come al solito, la responsabilizzazione delle vittime. Il governo punta tanto sullo sgomento della popolazione, quanto sulle misure restrittive in termini di aggregazione al fine di evitare la contestazione popolare e ogni conseguente riorganizzazione del movimento sociale.
Il 26 settembre, i premi Nobel per l'economia, del 2019, Abhijit Banerjee ed Esther Duflo hanno pubblicato su Le Monde un intervento i cui raccomandano «l'istituzione di un lockdown dell'intero territorio dal 1° al 20 dicembre, in modo da consentire ai francesi di ricongiungersi con le loro famiglie nel corso delle festività di fine anno». Specificando - per quelli che non hanno capito - che «lo shopping natalizio avrebbe potuto essere incoraggiato invece durante il mese di novembre», dal momento che la cosa più importante è quella di evitare lo shock economico che verrebbe creato da un lockdown di fine anno e dalla «cancellazione del Natale». Per questi esperti, così come per i nostri leader, malgrado qualche divergenza marginale riguardo la ricetta, c'è la medesima incapacità di pensare il mondo al di là dei criteri che lo portano inevitabilmente alla sua rovina. Lavoro, produzione di merci, consumo, profitto, punti di crescita, e basta. Salviamo il trasporto aereo. Salviamo il turismo. Salviamo la barbabietola e l'industria dello zucchero. Salviamo l'automobile. Salviamo il Natale. «Niente sarà più com'era prima», diceva Macron la primavera scorsa. Come si fa ora a convincersi che il suo «Métro boulot dodo» di ottobre possa essere un concetto davvero rivoluzionario...
di Gilles TK - Pubblicato il 19/10/2020 su Créons nos utopies. Le site de l'Assemblée Populaire du Grand Toulon -
NOTE:
[*1] - L'espressione è di Karl Marx.
[*2] - Naturalmente, oltre allo Stato, ci sono altri fattori determinanti. Se le strade e lo spazio domestico fossero dei luoghi che in sostanza permettono la libertà e l'espressione democratica, lo si saprebbe.
[*3] - A tutte queste ragioni, non va dimenticato di aggiungere quelle forze etiche che strutturano la convivenza, sottolineando, tuttavia, che mentre il governo giustifica sempre le sue misure di "emergenza" argomentando che lo sta facendo per proteggere gli anziani, allo stesso tempo si rifiuta di ammettere ciò che è essenziale, vale a dire la propria incoerenza («governare significa prevedere»?), la propria incostanza, e l'estrema tossicità dell'ideologia del profitto applicata al servizio pubblico.
[*4] - Si veda questo «punto epidemiologico» pubblicato da Santé Publique France il 24 settembre 2020, in cui si citano gli account twitter degli oppositori alla linea di Macron. Tra il 9 maggio e il 21 settembre, «le imprese private e pubbliche (esclusa Ehpad)» hanno visto un netto sviluppo di "cluster" (focolai di contagio) (635) rispetto a quelli «nelle scuole e nelle università» (383) e di quelli negli «eventi pubblici o privati» (290). Si veda qui: https://www.santepubliquefrance.fr/maladies-et-traumatismes/maladies-et-infections-respiratoires/infection-a-coronavirus/documents/bulletin-national/covid-19-point-epidemiologique-du-24-septembre-2020
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