Nella loro "Antologia della letteratura fantastica", Borges, Bioy Casares e Silvina Ocampo inseriscono due brani dall'Ulisse di James Joyce: la prima delle due voci ha come titolo "Definizione di fantasma":
«"Che cos'è un fantasma?" chiese Stephen. Un uomo che è svanito nell'impalpabilità, per morte, per assenza, per cambiamento di abitudini».
La seconda voce si intitola "May Goulding", ed è direttamente collegata alla madre di Stephen; la quale è una presenza spettrale, fin dall'inizio del romanzo (dal momento in cui, a partire dalla madre morta, viene postulata la «modalità ineludibile del visibile»):
«La madre di Stephen, emaciata, sorge rigida dal pavimento, in un grigio da lebbrosa, con una ghirlanda di appassiti fiori d’arancio, il velo da sposa stracciato, il volto consunto e senza naso, verde di muffa tombale. Capelli radi e flosci. Dalle vuote occhiaie orienta il suo vuoto cerchiato d’azzurro su Stephen e apre la bocca sdentata, pronunciando una parola silente.»
«LA MADRE (col demente sorriso della mortuaria sorte) In altri tempi io ero la bella May Goulding. E ora sono morta…»
In questa scelta, convergono quelle che sono due strategie di accostamento e contrapposizione di elementi:
in primo luogo, la strategia attuata dai compilatori dell'Antologia, i quali scelgono di inserire Joyce, mettendolo in contatto con altri testi che non sono affatto i "soliti" di quando si tratta di Ulisse; allontanando in tal modo il romanzo dalla scena modernista, diciamo, e spostandolo verso il regno del fantastico, dello strano, del soprannaturale (uno spostamento atipico come quello che Borges compie in "Kafka e i suoi precursori");
mentre, in secondo luogo, a essere incorporato nei passi scelti, è il progetto di Joyce di affiliarsi ai testi del passato, facendolo attraverso il mezzo del fantasma e dell'apparizione; una catena intertestuale, il cui disegno indica salti di 200 anni: La Commedia di Dante (1321), l'Amleto di Shakespeare (1599), Tristram Shandy di Sterne (1759), l'Ulisse di Joyce (1922).
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