Cosa è successo alla classe operaia nel nostro paese? Perché non è più la sinistra il suo «naturale» punto di riferimento e sempre più spesso il suo orizzonte politico si tinge di nero? Alessandro Portelli indaga questa vera e propria «mutazione antropologica» andando sul campo di una realtà emblematica, raccogliendo decine di storie e testimonianze di una città storicamente rossa, sede di una delle industrie più rilevanti del nostro territorio, con una lunga tradizione di scioperi e battaglie operaie, che decide di allontanarsi dalla sua storia e passare «dall’altra parte», consegnandosi prima nelle mani di un’amministrazione di estrema destra e, cinque anni dopo, di un tycoon di provincia che aspira ad essere il nuovo Berlusconi. La città è Terni, a cui Portelli ha dedicato decenni di ricerche nell’ambito della storia orale, intervistando centinaia di persone, studiandone l’anima più profonda; in queste pagine prova ora a tracciarne l’itinerario degli ultimi dieci anni, «dal rosso al nero». Terni è stata la prima città importante fuori del Nord a scegliere un’amministrazione leghista, ma anche la prima a sconfiggere in modo inopinato una coalizione di destra guidata da Fratelli d’Italia che sembrava destinata a un facile trionfo: in questo senso, si configura come una sorta di laboratorio, in cui la storia nazionale si manifesta in forme più estreme e clamorose. Processi di deindustrializzazione, crisi della sinistra, disorientamento culturale e identitario, crisi ambientale e sanitaria – ma anche debolezza di una destra senza spessore, litigiosa, culturalmente inadeguata, campanilista ma sospinta al potere da paure e insicurezze (criminalità, droga, immigrazione, revisionismo storico): la storia di questa città che invecchia, ma che ha perso il suo fulcro («Terni è una città che ha dichiarato guerra alla propria storia», denuncia uno degli intervistati) e fatica a immaginarsi un futuro, rischia di essere sempre di più la storia dell’intero paese.
(dal risvolto di copertina di: Alessandro Portelli, "Dal rosso al nero. La svolta a destra di una città operaia". Donzelli, 288 pp. €15)
Lo smarrimento della classe operaia che vota a destra e fa guerra alla Storia
- L’indagine di Alessandro Portelli sul caso Terni, roccaforte della sinistra passata alla Lega racconta la mutazione antropologica in atto nella società e nel mondo del lavoro -
di Fabio Martini
Sembrava una legge della natura, come l’alternarsi del giorno e della notte: per mezzo secolo in Emilia-Romagna, Toscana, Umbria le sinistre hanno vinto sempre, inesorabilmente e nettamente, ogni elezione. Locale, nazionale, europea. Sembrava non dovesse finire mai e invece negli anni Novanta sono cadute le prime roccaforti. Alcune, a cominciare da Bologna, sono poi tornate a sinistra, altre come Terni, civile cittadina operaia della bassa Umbria, hanno dato vita a cambiamenti tanto bruschi da risultare incomprensibili, almeno ad occhio nudo. Tanto più alla luce di una storia politica e sociale davvero originale: tenacemente di sinistra e, da qualche tempo, tutta spostata a destra. Gli elettori della cittadina umbra avevano dimostrato un comportamento fuori “linea” in occasione delle prime elezioni democratiche della storia italiana, le Comunali del 1946: allora votarono in modo massiccio per il Pci, con un 43 per cento superiore persino al 38 per cento di Bologna, futura vetrina nel mondo del comunismo italiano.
Restarono a lungo coerenti con quel voto, fino a quando, nel 2018 - per dimostrare che si erano stancati - elessero un sindaco di centro destra. Ma non uno come tanti: fecero di Terni la prima città importante conquistata dalla Lega fuori dal Nord. Nelle Comunali del maggio 2023, tutto sembrava suggerire una conferma e invece i Fratelli d’Italia, inebriati dalle vittorie altrove, sfidarono il sindaco uscente con un proprio candidato, con il risultato che i due esponenti “ufficiali” del centro destra persero e venne eletto uno “straniero”: il livornese Stefano Bandecchi, proprietario dell’Università Unicusano, presidente della Ternana calcio, ex parà, inquisito per frode fiscale. Un tycoon di provincia che aspirerebbe a diventare un nuovo Berlusconi, ma che si è reso protagonista di sparate paradossali, come la memorabile rissa dell’agosto scorso in Consiglio comunale, inaugurata dal sindaco che ha intimato a un consigliere di opposizione di smettere di ridere, altrimenti gli sarebbero «volati via tutti i denti dalla bocca». E poi lo ha aggredito.
Proprio a Terni, alla sua cangiante composizione politica e sociale, alla sua parabola materiale e immateriale, dedica un libro il professor Alessandro Portelli, tra i fondatori in Italia di quel ramo della ricerca storica centrata sulle testimonianze orali dei protagonisti. Il titolo del libro è eloquente: Dal rosso al nero. La svolta a destra di una città operaia, (Donzelli), saggio originale perché il filo del ragionamento, centrato sugli ultimi 10 anni di storia cittadina, si dipana attraverso le testimonianze di centinaia di abitanti della città. Ne esce un affresco al tempo stesso avvincente e vero. Perché condotto in “presa diretta”, in una stagione nella quale i partiti - e talora anche i media – vivono in uno stato di dipendenza e assuefazione rispetto ai sondaggi, che di regola restituiscono l’umore degli elettori, ma solo quello effimero.
Terni, una città di poco più di centomila abitanti, ha vissuto per oltre un secolo attorno a una delle migliori invenzioni della classe dirigente post risorgimentale: scommettere su un’industria siderurgica nazionale e realizzarla proprio a Terni, attorno alle grandi Acciaierie, consolidò il mito della “Manchester d’Italia”, ma da qualche anno l’azienda non tira come una volta. L’incantesimo si rompe il 16 ottobre 2014: tutta Terni va in piazza assieme agli operai che protestano contro i 550 licenziamenti richiesti dalla ThyssenKrupp e quando arriva in piazza la leader della Cgil Susanna Camusso, è una pioggia di fischi. Un protagonista: «È stata contestata perché il sindacato non prendeva una chiara posizione. E, parlando un po’ in politichese, c’eravamo stufati di essere presi per il culo». Strappo sentimentale e simbolico con il sindacato, cui segue la crisi di rigetto verso il Pd, erede lontano del Pci. Di nuovo i testimoni: «Un partito che s’è fatto la guerra interna», «molto attento a ragionare solo con i centri di potere: come pe’ di’, nel momento in cui sto a posto con la Ternana, sto a posto con monsignore, sto a posto con la fabbrica, la città ci viene dietro», «il ruolo del partito era quello de anda’ a fa’ l’ufficio di collocamento. E tutte quelle persone che hanno beneficiato nel tempo magari anche di favoritismi, appena gli s’è detto di no, si so’ subito rivoltati», «se c’era un appalto del verde, prendevano solo quelle due cooperative».
E l’innamoramento per la destra? L’affresco di Portelli e dei suoi ternani è potente: «In piazza con Salvini non ci sono solo commercianti e farmacisti, c’è un’Italia di individui che si sentono proprietari di qualcosa, magari anche solo di un posto di lavoro, e hanno paura di perderlo. I “garantiti” non si sentono più tali: sono quasi tutte “bravissime persone… non estremiste né razziste né cattive” che però hanno “paura di cadere”».—
- Fabio Martini - Pubblicato su La Stampa del 14/11/2023 -
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