La classe, una parola "di plastica"
- di Ernst Lohoff -
Non è solo la classe operaia ad avere una lunga storia di profondi cambiamenti, ma lo ha anche - e l'una cosa ha a che fare con l'altra - il concetto di classe. Tutto comincia con Karl Marx. La sua nozione di classe mette insieme e mischia due momenti molto differenti. Da un lato, il concetto di classe gioca un ruolo chiave in quella che è la sua teoria dell'emancipazione. La classe operaia - così come viene formulata soprattutto nei suoi primi scritti - viene chiamata a rovesciare la relazione di capitale, e a lottare per attuare la liberazione da ogni forma di oppressione. Ma dall'altro lato, il concetto di classe costituisce parte integrante in quella che invece è la sua critica dell'economia politica. Le tre principali classi della società borghese - i capitalisti, i proprietari terrieri e i lavoratori salariati - operano come «personificazioni delle categorie economiche». Tra questi due momenti esiste una tensione, nella misura in cui Marx, in quanto teorico dell'emancipazione, concepisce la classe operaia come un potere che trascende la relazione di capitale; mentre, allo stesso tempo, il Marx critico dell'economia politica tratta l'interesse di classe come se esso fosse un interesse puramente e meramente immanente. In quanto personificazione della merce forza lavoro, la classe operaia non ha alcun altro interesse se non quello di vendere la sua propria merce alle condizioni per essa più favorevoli, vale a dire, guadagnare un salario elevato e ridurre l'orario di lavoro. Marx, ha coniugato questi due contraddittori momenti di quella che è la sua concezione di classe, combinandoli nella tesi secondo cui, in ultima analisi, la classe operaia non avrebbe potuto migliorare la propria situazione sul terreno della società capitalista. Tra tutti, erano proprio i proprietari della merce chiave del sistema capitalistico - la forza lavoro che creava plusvalore - a essere sistematicamente esclusi da quelli che erano i suoi benefici; il che li rendeva l'incarnazione della negazione dell'ordine capitalistico e i portatori della liberazione universale. Se consideriamo la miseria del proletariato nel XIX secolo, questa visione potrebbe anche apparire come plausibile. Tuttavia, ironia ha voluto però, che proprio sotto la bandiera del marxismo sia nato quel movimento operaio di tutti i paesi che ha poi realizzato esattamente ciò che si riteneva fosse impossibile. In quelle che sono state delle difficili lotte durate diversi decenni, i venditori di forza lavoro sono riusciti a farsi riconoscere come dei soggetti di interesse, liberi e uguali, e a ottenere così una fetta della torta capitalistica. In tal modo, così facendo, l'interesse di classe si è trovato a essere ridotto a ciò che era sempre stato nella prospettiva della critica dell'economia politica: un banale interesse monetario che non trascende e non supera in alcun modo la società capitalista. Viceversa, in Marx, questo concetto enfatico di classe, si rivela invece come un espediente storico-filosofico puramente speculativo.
A lungo, il movimento operaio si è aggrappato all'idea che la classe operaia dovesse essere destinata a superare il modo di produzione capitalistico. Quelle che sono state le dittature dello sviluppo capitalistico di Stato sono persino arrivare a pretendere seriamente di esserci riuscite. Tuttavia, la giustificazione di una missione speciale della classe, venne cambiata radicalmente. Mentre Marx, nei suoi primi scritti, aveva continuato a ritenere l'esistenza dei lavoratori salariati come se fosse il culmine della "alienazione", per i suoi epigoni invece il lavoro e l'esistenza dei lavoratori sarebbero diventati la radice dell'orgoglio di classe. Sotto lo slogan «Lo scansafatiche dovrà sloggiare» - come recita "l'Internazionale" - il movimento operaio intendeva riconoscere il contro-principio del capitale proprio nel sancta santorum della società borghese. Questa identità di classe positiva dell'operaio bianco, fondata sulla religione del lavoro, non solo non ha niente a che fare con l'«emancipazione universale» (Marx), ma è perfettamente e totalmente compatibile con il dominio razzista e sessista. Così, per molto tempo, dopo la caduta del socialismo reale, nei dibattiti della sinistra il concetto di classe non ha praticamente giocato alcun ruolo. Mentre, nel frattempo la situazione è cambiata. Ragion per cui, è venuta in voga una «nuova politica di classe». Tenuto conto della storia appena descritta e dei diversi livelli di significato del concetto di classe, bisognerebbe che i rappresentanti di questa corrente, spiegassero di cosa parlano esattamente, allorché parlano di classe. Purtroppo, questo passaggio, lo saltano proprio. Al suo posto, viene sempre dato per scontato che il punto di vista dell'emancipazione e il punto di vista della classe siano la medesima cosa.
Comunque sia, il concetto di classe - che è proprio dell'economia politica e che decifra l'interesse di classe vedendolo come immanente - da una parte, e dall’altra il concetto enfatico di classe, si contraddicono a vicenda. Non c'è alcuna ragione di abbandonare il concetto di classe presente nella critica dell'economia politica, per far uscire dal cappello a cilindro il coniglio del concetto enfatico di classe. Purtroppo, i propugnatori della nuova politica di classe risolvono la contraddizione esattamente nel senso opposto. Christopher Wimmer (Jungle World, 5/2020) ha fatto la sua scelta in maniera esplicita, elogiando espressamente il movimento operaista per aver «strappato e ri-politicizzato il concetto di classe, sottraendolo a una teoria e a una pratica di sinistra, che si erano fossilizzate in una critica dell'economia». Invece, la maggior parte dei rappresentanti della «nuova politica di classe» sono riluttanti a buttar via ufficialmente il concetto di classe che troviamo nella critica dell'economia politica. Amano piuttosto riferirsi ad esso, dal momento che in questo modo serve a fornire una base "materialista" a quello che è il loro enfatico appello alla "classe". Tuttavia, così facendo, lo privano di fatto di quello che è il suo significato e il suo senso. La cosa comincia già a partire dal fatto che i rappresentanti della «nuova politica di classe» applicano l'etichetta di lotta di classe a tutte le lotte sociali del nostro tempo.
Il concetto di classe, così come si esprime nella critica dell'economia politica, distingue le classi in base a quella che è la loro posizione nel processo di produzione. Mentre oggi, laddove le persone lottano insieme contro le esigenze del capitalismo, ciò avviene generalmente a partire dal fatto che sono unite da qualcos'altro. Pensiamo, ad esempio, alle lotte contro l'aumento del costo degli affitti in questo Paese, oppure a quelle contro la privatizzazione dell'approvvigionamento idrico in molti Paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina). Se entrambe queste lotte fossero lotte di classe, allora ciò significherebbe che evidentemente il criterio che determina l'appartenenza alla classe è cambiato. E pertanto, in tal modo, oggi la classe non comprenderebbe più chi è costretto a vendere la propria forza lavoro, bensì piuttosto chi si vede negare l'accesso a determinati beni di consumo. Negli anni '70, gli amici della lotta di classe hanno dimostrato di ignorare la dominazione sessista e razzista. Ma questo tuttavia non può essere messo sul conto della «nuova politica di classe». Dal momento che per loro, la lotta contro queste e altre forme di dominio è - giustamente - parte integrante del programma di emancipazione. Ma così facendo, aggravano il caos concettuale allorché raggruppano tutti questi conflitti sociali sotto il concetto di lotta di classe. La parola classe degenera così in un'etichetta che crea un'unità immaginaria di tutti gli oppressi, facendo sì che l'argomentazione che sorregge tutto questo diventa circolare. Dal momento in cui la resistenza contro qualsiasi forma di oppressione, viene designata a priori come se fosse lotta della classe, ecco che allora qualsiasi conflitto sociale sembra dimostrare l'esistenza e la vitalità della classe.
La «nuova politica di classe» sacrifica il concetto analitico di classe contenuto nella critica dell'economia politica, e lo fa per salvare quello che è il suo proprio concetto di classe, il quale è stato perfettamente gonfiato ed enfatizzato. E tuttavia il suo concetto continua a essere approssimativo. E questo perché l'identità di classe del vecchio movimento operaio - basata sulla religione del lavoro - non corrisponde più a questi tempi, in cui l'interesse di classe dev'essere piuttosto diretto - come avveniva in passato, ai tempi di Marx - contro l'esistenza del lavoro salariato. Avviene così, in questo modo, che la struttura e la costituzione storico-filosofica di questa identità di classe non viene riabilitata, dal momento che nel frattempo il concetto di classe è stato integrato esteriormente, estendendolo a ogni sorta di critica del dominio.
Pertanto, il nuovo concetto di classe oggi appare come fosse una sorta di compilazione di varie citazioni storiche che, stando insieme, non riescono ad andare veramente d'accordo. In 40 anni di neoliberismo, il processo di individualizzazione ha finito per assumente una nuova qualità, e la concorrenza generalizzata ha penetrato e contaminato le relazioni sociali. Allo stesso tempo, nel corso del processo di crisi del capitalismo, quelle forze centrifughe che stanno lacerando questa società hanno preso il sopravvento, nel mentre che, simultaneamente, aumenta anche la polarizzazione sociale. Ecco che allora si pone la questione di sapere a che cosa potrebbe assomigliare un processo di ri-solidarizzazione sociale che abbia obiettivi emancipatori.
Di fronte a una simile sfida, invocare un punto di vista di classe diventa solo un espediente. La parola classe dovrebbe servire a creare un'unità immaginaria di tendenze, movimenti e correnti emancipatrici; mentre ora ciò che serve davvero è invece riuscire a formulare una vera prospettiva anticapitalista. Proprio per questo, il riferimento alla critica dell'economia politica è essenziale: non serve per ricavarne un punto di vista di classe positivo, ma trarne una negazione determinata e decisa del modo di produzione e di vita capitalista, che possa porre le basi per riuscire a riformulare un movimento di emancipazione sociale che sia diversificato, e che superi tutte le fissazioni identitarie.
- Ernst Lohoff - Pubblicato in Jungle World, 7/2020 -
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
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