Sulla Terra regna la pace, città cristalline, acque fresche e pescose, libri, arte e ricerca sopra ogni cosa. Pianeti lontani, invece, sono oppressi da un feudalesimo dai toni molto grigi, con gli studiosi sulla forca, adulazione e vanità nei palazzi, terrore e sciatteria per le strade. Anton è un esploratore inviato dalla Terra, mascherato da don Rumata, di nobile casata. Dal cerchio d’oro che porta sulla testa, una telecamera trasmette sulla Terra immagini di miserie e crudeltà. Anton è forte, ha mani grandissime, è il migliore spadaccino del pianeta. Ma intervenire non può; la sua missione è documentare, e portare in salvo studiosi e scienziati. Servirebbe a qualcosa, intervenire? E come? Con i rivoltosi che in fretta si trasformano in nuovi oppressori? È difficile essere un dio. Milioni di copie vendute in Russia, traduzioni in tutto il mondo: la fantascienza non è mai stata tanto attuale.
(dal risvolto di copertina di Arkadij e Boris Strugackij, "È difficile essere un dio". Editore Marcos y Marcos, Pagine 256, 18 €)
Per trovare chi elimina artisti e poeti, tocca partire per un universo alieno.
- di Bruno Ventavoli -
All'inizio degli anni 60 lo stalinismo sembrava archiviato. Krusciov ne denunciava i crimini e assicurava che l'orrore non sarebbe tornato. Ma con la sua rozza veemenza, fieramente proletaria, voleva cancellare anche una bella fetta di misfatti estetici. In visita a una mostra di arte contemporanea, nel 1962, tuonò contro «quegli stronzi di astrattisti» che insudiciano le tele, mangiando a tradimento il pane dello stato socialista. Subito critici, giornali, pittori si allinearono per linciare la pseudo-arte e tornare a qualcosa che parlasse al popolo. La fantascienza non voleva essere da meno con le etichettature ideologicamente fesse. Tipo che se giocavi con la velocità della luce, postulato indiscutibile dell'antifascista Einstein, rischiavi di passare per fascista. Eppure, nonostante la pletora di delatori, opportunisti, imbecilli, Arkadij e Boris Strugackij aprirono sentieri geniali, irriverenti e libertari nella fantascienza sovietica. Una decina d'anni prima di Picnic sul ciglio della strada (il capolavoro reso film da Tarkovskij), pubblicarono nel 1964 È difficile essere un dio, romanzo di cupa meraviglia che torna nella traduzione sanguigna di Diletta Bacci, curata da Paolo Nori. In quegli anni di disgelo e guerra fredda fu anche un successo commerciale: 2 milioni e 600mila copie in Urss, 34 edizioni in 17 paesi.
L'idea di partenza, più ironica che opportunista, è che sulla Terra ha trionfato il comunismo (quello russo!) e la società degli storici ha mandato su un pianeta uguale al nostro degli «osservatori» per studiare le dinamiche feudali, perché in quell'angolo della galassia, a mille parsec di distanza, l'umanità è ferma alla società piramidale, ingiusta, disuguale con aristocratici debosciati, soldataglie crudeli, popolo in miseria. Ovviamente guerre e congiure pullulano. Nella squadra degli osservatori in incognito, mimetizzati con la popolazione locale, il più celebre è Rumata, diventato leggenda per coraggio, verve, imprese dongiovannesche, duelli che vince senza mai uccidere l'avversario. Gli osservatori sono infatti obbligati a non sfruttare la superiorità marziale, e a non immischiarsi negli eventi, restando indifferenti ai travagli altrui come lo sono le divinità. Ma, come dice il titolo, mica è facile comportarsi da déi. Disumanizzarsi, assistere ai peggiori massacri senza intervenire, può essere terribili. Ci si sente vigliacchi e impotenti. Molti hanno perso la testa, e sono stati rispediti sulla terra per essere curati. Anche Rumata dà segni di stanchezza. Dopo cinque anni di missione vorrebbe ritirarsi. Non ce la più a essere lo scienziato che guarda con distacco la realtà per studiarla. Un po' perché è invaghito della bella Kira dai capelli rossi e soprattutto perché il mondo entro il quale si muove è troppo brutto per non ferire.
Gli Strugackij narrano un medioevo allucinante. I cibi sono orrendi. Le strade puzzolenti. Gli abiti cenciosi. Persino le belle donne, risultano ripugnanti per i loro acri odori di corpi non lavati. Nessuno si salva. Tutti sono avidi, egoisti, passivi, ignoranti. Irredimibili. Ad Arkanar regna un sovrano imbelle, gottoso, sofferente, assistito da un potente ministro che si chiama Don Reba (semi-anagramma del terribile Berja staliniano) ed è spuntato dal nulla. Era insignificante, servile, pallidino. Quando il ministro precedente fu improvvisamente arrestato e giustiziato, e gli alti funzionati impazziti di terrore morivano sotto tortura senza capirci nulla, quello spietato genio della mediocrità divenne invincibile. Non gli interessavano le ricchezze, neppure lo donne, solo uccidere per conservare il potere. L'ultimo suo obiettivo paranoico è l'eliminazione totale di artisti e poeti. Seguendo il principio che la fantasia fa male, i «mangialibri» vengono arrestati, bruciati, torturati, da una brigata di volenterosi carnefici, assistita da burocrati distratti e pedanti. La strage degli intellettuali procede a meraviglia. Don Reba riesce persino ad avvelenare il re e prenderne il posto. Ma dato che nella tirannia nulla è stabile, non appena la congiura sembra riuscita, compaiono monaci armati, incappucciati, vestiti con lunghi sai neri e calze lillà, che impongono con la spada un nuovo ordine, crudele, asettico, spirituale. Promettono prosperità inaudita perché non un solo contadino oserà alzare gli occhi su un gentiluomo senza il permesso firmato dall'ispettore distrettuale. Intanto il sangue scorre. I carnefici torturano con noia, le vittime si lasciano arrestare senza urla.
È difficile essere un dio è un romanzo di fantascienza (ucronica) senza diavolerie tecnologiche. A parte la telecamera nascosta sulla fronte degli osservatori per trasmettere immagini agli studiosi sulla Terra (tramite un dirigibile in orbita: capirai che ideona!) che Rumata pudicamente oscura quando entra nel letto di una donna, c'è poca roba che attiene alla scienza vera e propria. Il viaggio che gli Strugackij propongono è piuttosto nelle galassie interiori dell'animo umano. Parla della paura, dell'opportunismo, della delazione, delle torture, della nostalgia, della mostruosa assuefazione all'orrore, dell'umanesimo. Può essere letto come una rocambolesca avventura di moschettieri, una ricognizione Ècole des Annales in un medioevo immaginario ma realissimo, o una brillante parabola kafkiana, perché gli autori avevano esperienza diretta di che cos'è la dittatura mescolata alla burocrazia, imbevuta di altisonanti ideali utopistici. Chi ha visto all'opera i funzionari di un partito onnipotente, o gli intellettuali pronti a mettere l'intelligenza al servizio dello zelo, non può farsi illusioni.
Ma tra i tanti dialoghi del romanzo, arguti e profondi come Voltaire o Torquato Accetto o Machiavelli o Baltasar Graciàn, spiccano almeno due verità immortali. La prima: «Il male è indistruttibile. Nessuno è in grado di ridurne la portata nel mondo. Può migliorare in qualche modo il proprio destino, ma sempre a discapito di quello degli altri. E ci saranno sempre re più o meno crudeli, baroni più o meno selvaggi, un popolo ignorante che nutre ammirazione per i suoi oppressori e odio per chi viene a liberarli. E tutto questo perché uno schiavo capisce il suo padrone, persino il più crudele, molto meglio di chi viene a liberarlo, poiché ogni schiavo si immagina perfettamente al posto del padrone, ma pochi si immaginano al posto della persona generosa che viene a liberarli». (Insomma una clamorosa confutazione dell'ottimismo marxista!). La seconda, rivolta a chi sostiene che per tenersi a galla nel caos della Storia bisogna non dar fastidio a nessuno di modo che nessuno darà fastidio a te: cazzata! «Quelli che non danno fastidio a nessuno vengono massacrati per primi».
- Bruno Ventavoli - Pubblicato su Tutto Libri dell'8 luglio 2023 -
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