Joseph Brodsky, si era stabilito solo recentemente negli Stati Uniti - sarebbe diventato cittadino americano l'anno successivo – vivendo dapprima in diverse città europee, dopo che nel 1972 era stato espulso dalla sua patria, la Russia sovietica. A solo trentasei anni, aveva già alle spalle una vita assai difficile, che includeva la fame durante l'assedio tedesco di Leningrado, oltre a un anno e mezzo di lavoro agricolo obbligatorio (parte di una condanna a cinque anni per "parassitismo sociale" che - prima che la pena gli fosse commutata - egli aveva scontato in esilio nel nord della Russia); inoltre, il forte tabagismo e i problemi cardiaci lo avevano ulteriormente invecchiato. Era praticamente calvo, gli mancavano molti denti e aveva una grossa pancia. Ogni giorno indossava i medesimi vestiti, logori e troppo larghi. Ma a Susan Sontag, dal momento in cui lo vide, apparve come un uomo estremamente sexy. Fu l'inizio di un'amicizia che sarebbe durata fino alla sua morte, avvenuta nel 1996, dal momento che da quei primi giorni lei si era innamorata di lui. Susan è stata una di quelle letterate americane per le quali gli scrittori europei sarebbero sempre stati superiori a quelli autoctoni, e per le quali ci sarebbe stato sempre qualcosa di particolarmente esaltante e seducente in uno scrittore russo, soprattutto se era un poeta russo. Joseph Brodskij era stato applaudito ed elogiato, tra gli altri, da W. H. Auden e da Anna Akhmatova. E tra le altre cose, era stato anche un eroe. Un martire, perfino: uno scrittore cui, a causa della sua arte, erano state inflitte sofferenze, quasi fosse stato un criminale. E lo sapevano tutti che avrebbe vinto il Nobel. Susan era ai suoi piedi. Vedeva lampi di genio in ogni sua osservazione, o commento che gli sfuggiva, così come nei giochi di parole che tentava sempre di fare («Muerto Rico») o nelle sue battute disinvolte («If you want to be quoted, don’t quote!» ["Se vuoi essere citato, non farlo tu!"]. Con lui, era indulgente, e assecondava le sue lunghissime tirate contro Tolstoj (secondo lui, «non era in alcun modo all'altezza di un Dostoevskij», lo vedeva come se fosse stato una specie di Margaret Mitchell di alto livello che aveva contribuito a preparare la strada al realismo socialista), così come suoi strampalati e bizzarri giudizi letterari (giudicava la scrittura di Nabokov definendola come… «troppa marinatura»).
(da: Sigrid Nunez, Sempre Susan. A memoir of Susan Sontag, Riverheads Books, New York, 2011)
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