La cosa era nell'aria da tempo, e sapevamo che il nostro love affair con la Federazione Anarchica italiana non sarebbe durato. Quella Commissione di Corrispondenza della FAI che aveva cominciato il suo lavoro col rivoluzionare i grigi bollettini, che l'avevano preceduta, con dei ciclostilati che prevedevano immagini e colori. Era passato un secolo da quel 1971 in cui Congresso della FAI ci aveva affidato la Commissione di Corrispondenza e le cose avevano cominciato a succedere.
Cos’, alla fine del percorso, entrammo nella sede della redazione del giornale, Umanità Nova - io e Franco - recando con noi il "prezioso" indirizzario coi nomi cui spedire il Bollettino della Commissione di Corrispondenza della F.A.I. e il registro in cui si teneva traccia delle "quote" pagate dai diversi gruppi e dai singoli militanti, a livello internazionale, quote delle quali la redazione di Umanità Nova - il giornale della FAI - così come i suoi redattori non avevano mai versato una lira.
Venimmo “accolti” da Aldo Rossi e Anna Pietroni, inseparabili come sempre. C'era Attilio Paratore col suo sfottò romanesco, che non mi risparmiò una sua trita battuta sulle barricate parigine. Non c'era però il mio amico Luca Villoresi. Pazienza, tanto non mi avrebbe certo dato man forte; ci saremmo salutati un paio d'anni dopo in un altra situazione. La sede del giornale la ricordo in penombra, non so perché, forse per fare meglio risaltare quello che nella mia memoria continua ad essere l'aspetto vampiresco di un figuro come Antonio Cardella, trasferitosi da Palermo a Roma, in pianta stabile, come "commissario politico" (più o meno lo stesso ruolo che, secondo loro, avrebbe dovuto svolgere a Firenze Gino Cerrito nei confronti del nostro gruppo Durruti, ma che venne mandato allegramente in culo, avendo così poi modo di sfogarsi in un libro come "Il ruolo dell'organizzazione anarchica"; 1973).
Di Cardella, molti anni dopo, avrei poi letto, nel suo "Anni Senza Tregua" (2005) una "analisi" di un mio intervento, a partire dal quale mi marchiava di qualcosa che lui definiva come il «peggior situazionismo» (credo che la morte dell'autore, avvenuta anni dopo, mi abbia risparmiato chiedergli quale secondo lui sarebbe stato il... miglior situazionismo!) - senza sapere che, così scrivendo, mi stava facendo un gradito e non voluto complimento.
Comunque, non durò molto la consegna. E che si doveva fare ?!?? Non ci stavamo punto simpatici, e ogni minuto che passava l'aria si faceva sempre più irrespirabile. Ce ne andammo quasi senza salutare. Era finita. Almeno per me!
(nella foto, Firenze, Piazza del Carmine. 1972)
Nessun commento:
Posta un commento