domenica 23 ottobre 2022

Crisi ed Egemonia !!

Cina: Crisi Multiple senza Egemonia
- Perché la Repubblica Popolare capitalista non erediterà il potere egemonico degli USA -
  di Tomasz Konicz [***]

La "Nuova Via della Seta" inaugurata da Pechino nel 2013, un ambizioso programma di investimenti nei Paesi emergenti e in via di sviluppo, nei fatti avrebbe dovuto annunciare un'era di egemonia cinese e rendere in tal modo il XXI secolo un secolo cinese, e questo dopo che il XX secolo è già passato alla storia come quello dell'egemonia statunitense. Per questo programma di sviluppo strategico, che ricorda il Piano Marshall degli Stati Uniti nell'Europa devastata dalla guerra, Pechino ha stanziato più di 1.000 miliardi di dollari. Allo stesso modo in cui Washington, dopo il 1945, utilizzò allora i fondi del Piano Marshall per ricostruire l'Europa e diventare in tal modo l'indiscussa potenza leader dell'Occidente nella seconda metà del XX secolo, anche i massicci prestiti cinesi a favore di molti Paesi della periferia sono stati motivati a partire da questo tipo di calcolo strategico, secondo il quale l'impulso allo sviluppo delle infrastrutture che verrebbe innescato dalla costruzione di centrali elettriche, ferrovie o strade nei "Paesi in via di sviluppo", è associato alla stretta connessione strategica che questi Paesi hanno con la Cina. Pechino acquisirebbe in tal modo il dominio geopolitico in molte regioni dell'Asia, dell'Africa e persino dell'America Latina, grazie allo sviluppo economico finanziato dal credito. La Cina, che da tempo nella maggior parte delle regioni del Sud globale è diventata la principale potenza commerciale, diventerebbe in questo modo il più importante creditore e partner strategico, in grado di costruire un proprio sistema di alleanze incentrato sulla Repubblica Popolare - proprio come è stato in "Occidente", sotto la guida degli Stati Uniti.

Un gigantesco programma di investimenti e la sua spirale di indebitamento
Entro la fine del 2021 - secondo il Financial Times -  la Cina avrà investito l'equivalente di 838 miliardi di dollari in questo ambizioso programma di sviluppo [*1] , diventando così «il più grande creditore bilaterale del mondo». Questa posizione di rilievo è rivolta soprattutto alla periferia del sistema mondiale, visto che Pechino ha concesso più prestiti proprio a quei 74 Paesi che sono stati classificati dalla Banca Mondiale come Paesi a basso reddito, più di quanto lo siano tutti gli altri "creditori bilaterali" messi insieme. L'iniziativa  "Belt and Road" - come viene chiamata in inglese la strategia di investimento della "Nuova Via della Seta" - non solo è il più grande impegno di politica estera della Repubblica Popolare, fin dalla sua fondazione nel 1949, ma è anche il «più grande programma di infrastrutture transnazionali» che sia mai stato intrapreso da un singolo Paese. Persino il Piano Marshall, che oggi verrebbe a costare circa 100 miliardi di dollari, svanisce in confronto alle dimensioni della "Nuova Via della Seta"[*2]. Ed è per l'esattezza proprio questo gigantesco programma di investimenti ad aver causato alla Cina la prima grande crisi di debito internazionale. Sempre più Stati debitori che si trovano lungo la "Nuova Via della Seta", sono costretti a chiedere alla Cina una dilazione, o una rinegoziazione dei prestiti. Secondo i calcoli degli istituti di ricerca americani, circa 118 miliardi di dollari di questi prestiti cinesi, pari a circa il 16% degli investimenti totali [*3], si trovano a rischio di insolvenza. I paesi interessati fanno parte dell'Africa, dell'Asia meridionale e dell'America latina, sottolinea il Financial Times (FT), e sono quelli economicamente più danneggiati dalla recente crisi iniziata con la pandemia. Pechino si è vista costretta a rinegoziare i termini relativi a 52 miliardi di dollari di prestiti esteri relativi al  2020 e al 2021, rispetto a quelli che erano stati solo 16 miliardi di dollari di debito nel 2018 e 2019, prima dello scoppio della pandemia. Le trattative tra Pechino e i debitori del Sud globale girano intorno a dei rimborsi parziali del prestito, a pagamenti in ritardo o a riduzioni del tasso di interesse. Pechino deve, inoltre, anche emettere dei prestiti di emergenza sempre più frequenti, in modo da poter così mantenere la solvibilità dei suoi debitori alla periferia del sistema mondiale. Secondo il Financial Times, in tal modo la Cina, in molti investimenti finanziati da crediti su larga scala nel contesto della "Nuova Via della Seta", si trova ora a ricoprire progressivamente «il ruolo che generalmente viene assunto dal Fondo Monetario Internazionale (FMI)». Ironia della sorte, il FMI, i cui prestiti durante le crisi sono stati per decenni sempre legati a delle misure di austerità draconiane, a metà luglio ha chiesto alla Cina e ad altri creditori di fare concessioni ai Paesi debitori in difficoltà,e questo avviene mentre gran parte del Sud globale sta rischiando di collassare a fronte di una drammatica crisi del debito. Secondo il FMI, «un terzo delle economie emergenti, e due terzi dei Paesi in via di sviluppo sono in difficoltà a causa degli alti livelli di debito» [*4]. Da questo momento in poi, Pechino è stata vista come un «serio concorrente del FMI», e questo dopo che la Repubblica Popolare ha dovuto fornire «prestiti d'emergenza» e pacchetti di salvataggio per decine di miliardi di dollari agli Stati sovra-indebitati per evitare default o crisi del debito, afferma il FT, citando studi di istituti di ricerca statunitensi [*5]. Sempre secondo il FT, dal 2017, i tre maggiori debitori di Pechino - Pakistan, Sri Lanka e Argentina - hanno ricevuto, loro da soli, pacchetti di salvataggio per 32,8 miliardi di dollari. L'elenco dei Paesi che hanno dovuto essere stabilizzati da Pechino grazie a prestiti di crisi, comprende Kenya, Venezuela, Angola, Nigeria, Laos, Bielorussia, Egitto, Turchia e Ucraina. Per lo più, questi prestiti di emergenza sono serviti a evitare l'insolvenza relativa ai progetti infrastrutturali che erano stati finanziati dalla Nuova Via della Seta. Così facendo, Pechino è riuscita a evitare che i grandi progetti falliti portassero a crisi di pagamento, o a fallimenti statali. E la Cina è un creditore più popolare di quanto lo sia il FMI dal momento che - secondo il FT - concede ai suoi Stati debitori «prestiti sempre più d'emergenza», e lo fa senza richiedere in cambio di «ripristinare la disciplina di politica economica», o di effettuare i famigerati «processi di ristrutturazione» per mezzo dei quali il Fondo Monetario, a partire dalla crisi del debito degli anni Ottanta, ha devastato economicamente gran parte della periferia del sistema globale . Si presume che gli Stati in difficoltà di pagamento preferiscano i prestiti cinesi proprio per «evitare il FMI», il quale richiederebbe loro «riforme dolorose» - ha dichiarato un analista occidentale al FT. Questo, però, non farebbe altro che ritardare l'inevitabile "aggiustamento", rendendolo «ancora più doloroso». In ogni caso, molti dei prestiti cinesi per la Via della Seta starebbero seguendo quella che è una logica geopolitica di creazione di rapporti di dipendenza con i Paesi debitori, al fine di ridurre «le opzioni strategiche degli Stati Uniti e dell'Occidente».

Le dimensioni geopolitiche degli investimenti
La componente geopolitica della strategia di investimento cinese, appare particolarmente evidente a partire dall'elevato livello di prestiti nella regione post-sovietica; dove Pechino ha investito circa il 20% dei fondi destinati alla "Nuova Via della Seta" [*6]. Grazie a 125 miliardi di dollari, la maggior parte dei prestiti cinesi è andata alla Russia, seguita dalla Bielorussia con 8 miliardi e dall'Ucraina con 7 miliardi di dollari. Questi giganteschi investimenti che ha fatto Pechino, si trovano ora a essere minacciati dalla guerra in Ucraina; che al momento la Russia sembra perdere, e che potrebbe portare al collasso della sfera di influenza russa. La strategia di investimento della Cina in questa regione dipende letteralmente dall'esito della guerra. In ogni caso, Pechino può sperare di recuperare parte dei suoi prestiti attraverso il pagamento in prodotti naturali. Secondo gli accordi, la Russia può saldare i pagamenti arretrati pagandoli in petrolio o in gas, il che rende improbabile un default totale della Russia. Un altro punto focale degli investimenti cinesi è l'Africa subsahariana, dove, secondo le stime occidentali, sono stati concessi prestiti per circa 78 miliardi di dollari [*7]. Ciò rappresenta solo una piccola parte, corrispondente a circa il 12%, del debito estero di questa regione del mondo in gran parte economicamente isolata, dove i creditori privati occidentali, con il 35% del debito totale, detengono ancora una posizione dominante; e nonostante ciò, in questi ultimi anni la Cina è riuscita a riguadagnare terreno. Solamente tra il 2007 e il 2020, Pechino ha prestato 23 miliardi di dollari in partenariati pubblico-privati nella regione subsahariana, mentre Stati Uniti, Giappone, Germania, Paesi Bassi e Francia hanno investito insieme solo 9,1 miliardi di dollari [*8]. La Cina è assai ambita, come finanziatore nella regione, perché le sue condizioni di prestito sono molto più favorevoli di quelle imposte dalle istituzioni occidentali. Si dice che i tassi di interesse sui prestiti occidentali siano due volte più alti rispetto a quelli concessi dalla Repubblica Popolare. E non sono solo i progetti prestigiosi-  privi di significato in termini di sviluppo e che vengono alimentati dalla corruzione, come avviene nel caso dello Sri Lanka - quelli che vengono intrapresi in Africa. Grazie al capitale cinese, ad esempio, in Etiopia è stata finanziata una linea ferroviaria che riduce il tempo di viaggio, tra la capitale e la vicina Gibuti, da tre giorni a 12 ore. In Kenya è stata costruita una nuova linea tra Mombasa e Nairobi; mentre un nuovo collegamento ferroviario tra Tanzania e Zambia riduce drasticamente i tempi di percorrenza; in Uganda sono state costruite dighe; strade e progetti infrastrutturali per l'approvvigionamento idrico e l'elettrificazione, sono stati portati avanti in Africa e in Asia centrale. La strategia cinese di accumulare influenza geopolitica attraverso lo sviluppo economico sembrava funzionare in Africa, fino alla più recente crisi.

L'illusione dello sviluppo in ritardo
Tuttavia, anche quei progetti che hanno senso in termini di politica di sviluppo si scontrano sempre più spesso con i loro limiti economici, a causa della crescente tendenza alla crisi globale: la linea ferroviaria tra Nairobi e Mombasa, costruita dalla società statale cinese Road and Bridge Corporation quattro anni fa, in tre anni prevede che perderà circa 200 milioni di dollari. Si sa che nell'Africa subsahariana la Cina ha accumulato i prestiti con maggiori probabilità di insolvenza. In questa regione sono stati rinegoziati più di cento contratti di finanziamento, contro i 21 dell'Asia, e i soli 12 dell'America Latina [*9]. Un ottimo esempio, di come questa strategia di sviluppo e di egemonia cinese nella realtà della crisi del tardo capitalismo si sia infranta, è lo Zambia, nell'Africa meridionale, il quale nell'anno della pandemia, nel 2020, è fallito, con passivi esterni di 17 miliardi di dollari. La Cina vi aveva già costruito una linea ferroviaria verso la Tanzania, una centrale idroelettrica, due aeroporti, due stadi sportivi e un ospedale, tutto ciò corrispondente a dei progetti di investimento stimati in 6 miliardi di dollari.
Al di fuori dell'Africa e dello spazio post-sovietico, ad aver ricevuto un afflusso particolarmente rapido di investimenti cinesi negli ultimi anni, non è stato lo Sri Lanka ma il Pakistan. Nello Sri Lanka, i prestiti cinesi ammontano a cinque miliardi di dollari, i quali rappresentano solo il 10% delle passività totali dello Stato economicamente collassato, laddove la corruzione e la cattiva gestione hanno avuto il loro culmine in progetti di investimento assurdi [*10], contribuendo ulteriormente al catastrofico peggioramento dell'attuale momento di crisi. Il Pakistan, che in quanto avversario del rivale geopolitico della Cina - l'India - ha sempre rivestito una grande importanza strategica per Pechino, ha ricevuto 62 miliardi di dollari dalle casse di Road and Bridge. Le attività di investimento cinesi, hanno spaziato dai progetti infrastrutturali, con fondi destinati alla produzione di energia e ai trasporti, all'espansione del porto di Gwadar, strategicamente importante, e fino alla costruzione di impianti produttivi in Pakistan al fine di sfruttare i bassissimi costi della manodopera di quel paese [*11]. Questa creazione di "lavoro esternalizzato" in Pakistan, su cui sono state trasferite attività ad alta intensità produttiva, si è talvolta verificata non solo nei centri economici pakistani, ma anche nelle instabili periferie infestate dall'islamismo e dalle "lotte tribali", come nella provincia di Chaibar Pachtunchwa. Le speranze di modernizzazione capitalistica sono svanite al più tardi nel 2020, poiché alcuni dei progetti di investimento cinesi sono stati sospesi dopo lo scoppio della pandemia e la successiva crisi economica, la quale ha reso rapidamente insostenibile l'onere del debito del Pakistan. I lavori per il progetto del porto di Gwadar, ad esempio, sono stati in gran parte interrotti [*12]. Per evitare la bancarotta dello Stato in seguito alla spirale economica negativa [*13], in cui l'inflazione, l'aumento del costo dei prestiti e il crollo delle entrate statali hanno causato una rapida diminuzione delle riserve di valuta estera, Islamabad ha dovuto ricorrere a prestiti d'emergenza da parte del FMI e della Cina: nel mese di luglio 2022, la valuta estera del Pakistan era sufficiente a coprire ancora per soli due mesi il costo delle importazioni nel Paese. Le banche cinesi hanno concesso "una serie" di prestiti, l'ultimo dei quali di 2,3 miliardi di dollari, a metà del 2022, per rafforzare la "riserva di valuta forte" sempre più in diminuzione. Il FMI, da parte sua, si è impegnato a concedere a Islamabad prestiti di emergenza per oltre 7 miliardi di dollari. All'inizio di agosto, il Paese impoverito, afflitto dall'islamismo e dal processo di erosione dello Stato, sembrava quanto meno aver evitato - dopo un nuovo accordo di prestito con il FMI, accompagnato dai soliti tagli, come quelli ai sussidi energetici e all'aumento delle tasse [*14] - un'acuta bancarotta nazionale.  Poi, però, sono arrivate le inondazioni, storicamente senza precedenti, caratteristiche degli estremi meteorologici, e che stanno aumentando a causa della crisi climatica [*15]. Circa un terzo della superficie del Pakistan è stato inondato, e più di 33 milioni di persone sono state colpite da queste inondazioni. Il Paese è ora minacciato da una crisi alimentare e dall'avanzata dell'estremismo [*16], e questo in un'economia che si trova sull'orlo del collasso [*17]. Secondo le prime stime, i ministri del governo pakistano hanno valutato i danni dell'alluvione in circa dieci miliardi di dollari [*18]. Questa crescente interazione tra la crisi del debito e la crisi climatica [*19] - tra quelli che sono i limiti interni e  quelli esterni della capacità di sviluppo del capitalismo - che ha devastato intere aree del Pakistan, è stata ampiamente ignorata dall'Occidente. È questo il contesto di crisi globale di un sistema mondiale tardo-capitalista che si sta disfacendo nelle sue contraddizioni, e nel quale la Cina ha dato inizio al suo grande tentativo di costruire il proprio sistema di alleanze attraverso un ambizioso programma di investimenti, in modo da ascendere così a una nuova egemonia. Le montagne di debito globale, sempre più alte, e l'escalation della crisi climatica vanificano i calcoli imperiali di Pechino, che in realtà stavano solo imitando quella che era stata l'ascesa degli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale [*20].
L'ascesa egemonica di Washington dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, era avvenuta nel contesto del lungo periodo di espansione fordista degli anni '50 e '60, il "miracolo economico" idealizzato in Germania. La motorizzazione massiccia e la penetrazione totale della logica della valorizzazione in tutti i settori della società postbellica, che era già annunciata nel corso della mobilitazione totale dell'economia di guerra [*21], riuscirono per quasi due decenni, attraverso il sistema Taylor, a utilizzare masse gigantesche di forza lavoro in un processo di accumulazione ad alta intensità di lavoro. Questo regime di accumulazione fordista, con l'industria automobilistica come settore principale, è stato la base economica dell'egemonia statunitense, e ciò fino a quando, negli anni '70,  non è stato gradualmente abbandonato per essere sostituito dalla finanziarizzazione neoliberale del capitalismo [*22]; cosa che ha di fatto provocato il sempre più crescente formarsi del deficit globale, il quale porta a bolle finanziarie, e a sempre nuove crisi di indebitamento. Gli Stati Uniti riuscirono a diventare l'indiscussa e accettata potenza leader dello "Occidente" - egemone - anche perché il duraturo boom economico permise a Washington di concedere spazio allo sviluppo economico dei suoi alleati; cosa che è stata ampiamente utilizzata dal Giappone e dalla Repubblica Federale Tedesca anche nel corso del "miracolo economico", superando ben presto l'industria statunitense in termini di qualità. La breve "alta marea" del fordismo ha sollevato tutte le barche. Fino a quando il capitale ha potuto espandersi in nuovi mercati, che erano emersi solo grazie al fordismo (automobili, "elettrodomestici", elettronica, ecc.), la concorrenza tra "luoghi economici" - anche per quel che riguarda il "conflitto di sistemi" - rimaneva secondaria.

L'impossibilità di un nuovo sistema egemonico nella crisi del capitalismo
Da parte sua, invece, la Cina deve operare in un sistema mondiale in crisi, nel quale l'enorme livello di produttività globale dell'industria produttrice di merci ha portato a una crisi sistemica di sovrapproduzione, che a sua volta si traduce nell'incessante accumulo di montagne di debiti, dal momento che il sistema iperproduttivo di fatto funziona a credito. Inoltre, la mancanza di un nuovo settore trainante, e di un nuovo regime di accumulazione porta a una crescente enfasi sulla politica economica riguardo le esportazioni e sulle relative guerre commerciali, nel corso delle quali i Paesi capitalisti centrali cercano di sostenere le loro economie a partire dalle eccedenze delle loro esportazioni - a spese dei concorrenti, i quali spesso reagiscono con misure protezionistiche. Il perseguimento delle eccedenze di esportazione, perfezionato soprattutto dalla Repubblica Federale Tedesca nel quadro di questa politica dell'ognuno per sé, a partire dalla quale la crisi sistemica di sovrapproduzione verrà di fatto "esportata", è pertanto fonte di tensioni interstatali permanenti tra le "località" minacciate dal declino.  Ed è proprio da questo che scaturiscono gli ostacoli, quasi insormontabili, che impediscono la costruzione di un sistema egemonico nell'attuale crisi mondiale del capitale. L'egemonia, vale a dire la posizione di comando accettata o tollerata dai poteri subordinati in un sistema di potere, è concepibile solo al prezzo di un finanziamento attraverso il credito, dal momento che per essa non esiste una base economica sotto forma di un nuovo regime di accumulazione. Le riserve valutarie della Cina sono già scese da 4.000 a 3.000 miliardi di dollari, secondo il FT, e questo in parte a causa degli ingenti investimenti messi in atto nella "Nuova Via della Seta", e ciò è stato dovuto anche un massiccio calo dei prestiti all'estero da parte di Pechino. Mentre nel 2015 la Repubblica Popolare aveva concesso più di 55 prestiti, per un valore di oltre un miliardo di dollari ciascuno, entro il 2021 invece questo numero è sceso a meno di dieci prestiti. Tuttavia, il ridursi dei generosi flussi finanziari di Pechino, che hanno invece stimolato le economie di Africa e Asia, ora aggrava ulteriormente l'attuale crisi della periferia del sistema mondiale. La Cina può quindi concedere prestiti a breve termine, nell'arco di diversi anni, guadagnando in tal modo influenza, ma a causa dell'elevato livello di produttività globale non può creare un nuovo settore trainante che utilizzi manodopera salariata di massa nella produzione di merci. E la stessa Cina, in quanto parte del sistema globale, che ora risente della crisi mondiale del capitale. Ciò è evidente nelle tendenze verso una politica di ciascuno per sé, poiché anche la Repubblica Popolare capitalista di Stato sta ora cercando di ottenere le maggiori eccedenze di esportazione possibili, a spese dei suoi concorrenti, e la cosa va contro la formazione dell'egemonia. A causa della crisi del debito [*23] - latente nell'anemico settore immobiliare cinese [*24] - e del rallentamento dell'economia interna dovuto alla pandemia, ecco che ora le eccedenze delle esportazioni stanno diventando sempre più importanti per la politica economica, anche per Pechino. Solo nello scorso giugno, la Cina ha registrato un surplus commerciale di 98 miliardi di dollari, un nuovo record! [*25]
  Ma non avviene solo negli Stati Uniti che le eccedenze della Cina si trasformano in deficit. Nel periodo citato, il gruppo di nazioni dell'Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico ha registrato un deficit commerciale con la Cina di 17 miliardi di dollari. Anziché costruire un sistema egemonico, in cui anche i vicini della Cina avrebbero beneficiato economicamente dell'ascesa della Repubblica Popolare, ora c'è invece una feroce lotta per le quote di mercato, dal momento che viviamo in un mondo in cui la "domanda assoluta" sta diminuendo e sono in corso "brutali guerre di prezzo" per entrare in possesso di una fetta della "torta che diventa sempre più piccola" [*26].

Il cambiamento della posizione della Cina nell'economia mondiale
Sembra che in tal modo, l'«officina del mondo» stia per tornare alle origini della sua metaforica fulminea ascesa, che nella sua fase iniziale era stata guidata proprio da un estremo orientamento all'esportazione; dal raggiungimento di giganteschi surplus di esportazioni. Fino alla crisi finanziaria globale del 2007/2008, innescata dallo scoppio della bolla immobiliare transatlantica, verificatasi negli Stati Uniti e nell'UE, l'industria delle esportazioni aveva funzionato come il più importante motore economico della Cina. Gli estremi surplus commerciali cinesi rispetto a quelle che erano le "economie in deficit" degli Stati Uniti e di alcune parti d'Europa, le quali funzionano a credito, non solo hanno spinto l'industrializzazione e la modernizzazione delle esportazioni della Repubblica Popolare, ma sono stati anche accompagnati dall'esportazione del debito, così come aveva fatto fino a poco tempo fa anche la Germania; più volte «campione mondiale di surplus di esportazioni» [*27]. Tuttavia, con lo scoppio della crisi del 2008, l'esplosione delle bolle immobiliari negli Stati Uniti e in Europa, contrastata a livello globale attraverso enormi misure di stimolo economico, anche il modello di accumulazione cinese è cambiato radicalmente. L'enorme domanda statale di stimoli, attivata da Pechino attraverso vari pacchetti di stimolo economico, nel 2009 ha fatto dell'economia cinese la locomotiva economica globale [*28]. Le massicce misure di sostegno attuate dal governo cinese, in risposta alla crisi del 2008, hanno anche innescato una trasformazione delle dinamiche economiche della Cina: le esportazioni hanno perso peso, e l'industria delle costruzioni, le infrastrutture e il settore immobiliare, finanziati dal credito, sono diventati i motori centrali della crescita economica; che oggi rappresentano una quota assurdamente alta, corrispondente al 29% del PIL [*29]. La modernizzazione della Cina, alimentata e spinta dalle sue esportazioni e dall'esportazione del debito, che a volte ha reso gli Stati Uniti il principale creditore della Repubblica Popolare, si è pertanto così trasformata in un'economia in deficit alimentata dallo Stato; sfuggita da tempo al controllo statale.

La bolla immobiliare cinese
L'economia deficitaria cinese, la quale ha creato una gigantesca bolla immobiliare, ha conosciuto il primo grande focolaio di crisi nell'estate del 2021, quando una delle maggiori società immobiliari cinesi, Evergrande, si è trovata sull'orlo del fallimento. Il gruppo, che è stato salvato dalla bancarotta dallo Stato cinese all'inizio del 2022, attraverso un "programma di ristrutturazione" [*30], ha accumulato 300 miliardi di dollari di debiti, dei quali 20 miliardi dovuti a investitori stranieri. A livello nazionale, ci sono più di 1,5 milioni di acquirenti di una casa che attendono che in 500 cantieri vengano completate le abitazioni progettate e pagate. Nel frattempo, i creditori del gruppo stanno tentando di capire chi si accollerà le inevitabili perdite [*31]. Quanto è grande la bolla immobiliare, e del debito, che il capitalismo di Stato cinese ha creato; la quale può essere benissimo paragonata alla speculazione immobiliare negli Stati Uniti nel 2008? In uno studio su queste dinamiche speculative, l'economista americano Kenneth Rogoff è giunto alla conclusione [*32] che i settori dell'edilizia e delle immobiliari cinesi generano circa il 29% del prodotto interno lordo (PIL) della Cina, con degli effetti diretti e indiretti. Pertanto, la formazione di bolle nella "Repubblica Popolare" statal-capitalista non deve temere in alcun modo il confronto con l'Occidente, non solo in termini di cifre assolute, ma anche in relazione alla sua produzione economica. In Spagna, nel 2006, al culmine della bolla immobiliare transatlantica, il settore immobiliare rappresentava circa il 28% del PIL, in Irlanda circa il 22%.
La situazione è ancora più drammatica se il livello dei prezzi nei più importanti mercati immobiliari della Repubblica Popolare viene messo in relazione con il livello dei salari. A Pechino, Shanghai e Shenzhen, sono necessari più di 40 canoni medi annui di affitto, per poter acquistare un immobile, mentre a Londra, una delle città più costose dell'Occidente, la cifra è di 22 e a New York "solo" di 12. Rogoff ha parlato di una crescita «che ti lascia senza fiato», e per le principali economie, di una dimensione «senza precedenti» a partire dalla quale il capitalismo di Stato cinese, guidato dal mercato finanziario, ha creato la sua bolla immobiliare. Ciò appare evidente anche nel rapporto tra spazio abitativo e popolazione, che, secondo Rogoff, nella Repubblica Popolare ha raggiunto da tempo il livello della Francia e della Gran Bretagna, e supera addirittura quello della Spagna. Se la febbre edilizia servisse davvero a fornire alloggi alle persone, allora il mercato immobiliare cinese sarebbe già saturo da tempo. In realtà, il disastro di Evergrande è solo la proverbiale punta dell'iceberg di un capitalismo di Stato cinese, autoritario, che condivide con i suoi concorrenti occidentali una tendenza fondamentale alla crisi: funziona a credito. Nel 2020, tutte le passività accumulate dalla Cina (governo, settore privato, sfera finanziaria) ammontavano a circa il 317% del PIL della Repubblica Popolare [*33], un valore solo leggermente inferiore alla media mondiale del 356% [*34]. Malgrado le dichiarazioni della leadership di Pechino, e l'intensificazione degli sforzi per ridurre i prestiti, dal 2008 le montagne del debito cinese sono cresciute più velocemente di quello che è il prodotto interno lordo del "laboratorio del mondo"; così come in molti dei Paesi debitori della Cina.  Tutti i dati ufficiali di Pechino vanno trattati con cautela, e questo perché in Cina molte cose vengono semplicemente nascoste sotto il tappeto. Si dice anche che ci sia una gigantesca montagna di debiti che grava sulle municipalità cinesi, e che secondo Goldman Sachs potrebbe arrivare a 8.200 miliardi di dollari - i debiti sono stati esternalizzati su dei cosiddetti "veicoli finanziari" [*35] in modo da non apparire nelle statistiche [*36]. Si tratta di circa il 52% del PIL della Repubblica Popolare. Tra l'altro, i comuni sovra-indebitati, durante il boom immobiliare, hanno sfruttato un'importante fonte di finanziamento: hanno venduto terreni alle società immobiliari che vi costruiscono sopra i loro immobili speculativi. La montagna di debiti ufficialmente non registrati che si dice siano stati accumulati dalle banche ombra cinesi, viene stimata in circa 13.000 miliardi di dollari [*37].

Le crisi multiple come espressione della crisi del capitalismo globale
Pertanto, a partire da tutto questo, la leadership cinese non deve affrontare solo una crisi esterna, ma anche una crisi interna del debito, il quale oltre a essere sorprendentemente simile alla bolla immobiliare scoppiata in Occidente nel 2008, rievoca anche le stesse distorsioni in atto in molti Stati debitori della Repubblica Popolare. Finora Pechino, attraverso sempre nuovi interventi e iniezioni finanziarie, è riuscita a rallentare l'esplosione di questa bolla, ma a un certo punto il processo di svalorizzazione dovrà inevitabilmente verificarsi, soprattutto nella misura in cui si intensificheranno le ricadute politiche dovute alla bolla del debito interno cinese: più di recente, ad esempio, a Zhengzhou, capitale della provincia centrale cinese dello Henan, si sono verificati scontri tra le forze di polizia e i clienti delle banche salvate, che hanno manifestato contro il congelamento dei loro conti dopo che le banche locali sono state coinvolte in uno scandalo e sono andate in tilt [*38]. Inoltre, il Partito Comunista Cinese ha dovuto far fronte a uno sciopero dei mutui scatenato da acquirenti di immobili scontenti, i quali hanno interrotto in massa i loro pagamenti dei mutui, in attesa che le loro case venissero completate [*39]. Infine, neanche la crisi climatica si ferma davanti alla Repubblica Popolare - che con il suo programma di investimenti globali sta cercando di esportare il proprio modello di modernizzazione fossile, e che ha reso la Cina il più grande emettitore di gas serra al mondo, alla periferia e alla semi-periferia del sistema capitalistico mondiale - dal momento che le nuove industrie "rigenerative", che dovrebbero consentire la trasformazione ecologica del capitalismo, sono ad alta intensità di capitale e utilizzano pochissimi lavoratori [*40]. Non solo il Pakistan, che è indebitato con la Cina, ma quest'estate anche la Repubblica Popolare ha sofferto di un clima estremo senza precedenti, con una combinazione di siccità prolungata e un'ondata di caldo estremo [*41] che ha messo sotto pressione le forniture energetiche, l'attività economica e la sicurezza alimentare [*42]. Il caldo insopportabile ha letteralmente portato a perdite di produzione che non solo offuscano le prospettive di crescita della Cina, ma potrebbero addirittura mettere nuovamente a dura prova le catene di approvvigionamento globali [*43]. La lotta contro il collasso sociale indotto dal clima che è emersa nell'estate degli orrori di quest'anno, non solo in Cina ma anche nell'UE e negli Stati Uniti, rischia quindi di far sembrare assurda l'idea stessa di egemonia globale nei prossimi anni. Mentre le tensioni e le lotte interstatali indotte dalla crisi si intensificano fino a sfociare in una guerra neoimperialista in Ucraina, i mostri decadenti degli Stati tardo-capitalisti, nei prossimi anni saranno ancora più preoccupati di scaricare sui loro concorrenti le conseguenze della crisi, al fine di ritardare il proprio collasso.

- Tomasz Konicz - Pubblicato il 18/10/2022 su Konicz.info -

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NOTE:

1 https://www.ft.com/content/ccbe2b80-0c3e-4d58-a182-8728b443df9a
2 https://www.nature.com/articles/s41599-018-0077-9
3 https://www.dw.com/de/g%C3%B6rlach-global-die-vielzahl-der-krisen-wird-f%C3%BCr-china-zum-problem/a-62618116
4 https://www.diepresse.com/6164054/iwf-draengt-china-zu-steuererleichterungen-fuer-entwicklungslaender
5 https://www.ft.com/content/f27a543b-7678-4130-9c05-db0492d9c240
6 https://cepr.org/voxeu/columns/chinas-overseas-lending-and-war-ukraine
7 https://www.merkur.de/politik/china-afrika-schulden-investitionen-eu-global-gateway-kenia-wahlkampf-zr-91714454.html
8 https://www.voanews.com/a/china-s-loans-to-sub-saharan-africa-outweigh-those-of-western-nations-/6436250.html
9 https://www.ft.com/content/ccbe2b80-0c3e-4d58-a182-8728b443df9a
10 https://timesofindia.indiatimes.com/world/south-asia/sri-lanka-opens-china-funded-white-elephant-tower-to-tourists/articleshow/94245383.cms
11 https://www.dw.com/en/china-pakistan-investment-ties/a-58734281
12 https://www.ft.com/content/ccbe2b80-0c3e-4d58-a182-8728b443df9a
13 https://foreignpolicy.com/2022/08/05/pakistan-sovereign-debt-imf-inflation/
14 https://www.cnbc.com/2022/08/10/pakistans-finance-minister-says-country-headed-in-right-direction.html
15 https://www.nytimes.com/2022/09/14/world/asia/pakistan-floods.html
16 https://www.rescue.org/press-release/pakistan-floods-will-devastate-economy-likely-leading-widespread-hunger-and-violence
17 https://www.aljazeera.com/economy/2022/9/7/after-record-floods-now-pakistan-has-to-worry-about-economy
18 https://www.bbc.com/news/business-62719659
19 https://www.xn--untergrund-blttle-2qb.ch/wirtschaft/schuldenberge-im-klimawandel-7112.html
20 https://www.xn--untergrund-blttle-2qb.ch/politik/theorie/krise-krieg-ozeanien-eurasien-7070.html
21 Robert Kurz, Semaforo verde per il caos della crisi. Ascesa e limiti del capitalismo automobilistico, in:https://francosenia.blogspot.com/2015/03/societa-automobilistica-del-lavoro.html
22 https://www.untergrund-blättle.ch/wirtschaft/theorie/stagflation-inflationsrate-6794.html
23 https://www.konicz.info/2021/11/27/einstuerzende-neubauten/
24 https://www.faz.net/aktuell/finanzen/umfrage-schwache-prognosen-fuer-chinas-immobilienmarkt-18054854.html
25 https://www.reuters.com/breakingviews/chinas-economy-could-beggar-its-neighbours-2022-07-15/
26 https://www.konicz.info/2022/07/26/schluss-mit-ueberschuss/
27 https://www.zeit.de/online/2008/46/boerse-tokio-konjunkturprogramm-china
28 https://www.cnbc.com/2021/11/09/chinas-property-market-debt-an-issue-for-the-economy-george-magnus.html
29 https://www.faz.net/aktuell/finanzen/staat-eilt-krisenkonzern-china-evergrande-zu-hilfe-17748055.html
30 https://www.faz.net/aktuell/finanzen/glaeubiger-von-evergrande-lehnen-vorschlag-fuer-zahlungsaufschub-ab-18164421.html
31 https://cepr.org/voxeu/columns/can-chinas-outsized-real-estate-sector-amplify-delta-induced-slowdown
32 https://www.chinabankingnews.com/2020/05/20/chinas-total-domestic-debt-hits-317-of-gdp-for-record-quarterly-increase-iff/
33 https://www.axios.com/2021/02/18/global-debt-gdp
34 LGFV – veicoli di finanziamento degli enti locali. Società di finanziamento costituite allo scopo di finanziare specifici progetti infrastrutturali. Le loro passività sono scambiate sui mercati finanziari, ma non compaiono nelle statistiche come debito pubblico.
35 https://www.scmp.com/economy/china-economy/article/3150556/china-hidden-local-government-debt-rises-over-half-gdp-us82
36 https://asia.nikkei.com/Spotlight/Caixin/China-s-13tn-shadow-banking-sector-gets-clearer-definition
37 https://www.fr.de/politik/china-protest-zhengzhou-demonstration-banken-xi-jinping-henan-zr-91663184.html
38 https://www.handelsblatt.com/finanzen/immobilien/immobilien-wer-hat-mein-geld-immobilienkaeufer-in-china-streiken-die-politik-ist-alarmiert/28533716.html (Sabine Gusbeth, „Wer hat mein Geld?“: Immobilienkäufer in China streiken, die Politik ist alarmiert, 21.07.2022).
39 https://www.konicz.info/2019/07/05/kann-ein-green-new-deal-den-klimawandel-aufhalten/
40 https://multimedia.scmp.com/infographics/news/china/article/3190803/china-drought/index.html
41 https://www.voanews.com/a/china-s-drought-threatens-nation-s-energy-food-and-economic-security-/6725241.html (Dennis Wong/Han Huang, China’s record heatwave. Worst drought in decades, 31.08.2022)
42 https://www.cnbc.com/2022/08/19/chinas-heatwave-could-have-knock-on-effect-on-its-economy-economist-.html

fonte: https://www.konicz.info/

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