Dobbiamo continuamente scegliere come vogliamo leggere. Ora più che mai è necessario capire in che modo il mezzo di lettura influenza l’apprendimento e quali strategie ci servono per usare in maniera efficace tutti i formati. In Come leggere, Naomi Baron attinge da un vasto patrimonio di conoscenze per spiegarci le differenze nel modo in cui ci concentriamo, comprendiamo e memorizziamo con i vari mezzi a disposizione, senza parteggiare per un formato o per l’altro e aprendo nuove prospettive per la lettura. Il libro coniuga le conclusioni delle ricerche scientifiche e le applicazioni pratiche, offrendo metodi concreti per favorire l’apprendimento con la carta stampata, il testo digitale, l’audio e il video. Poiché gli schermi e l’audio sono ormai strumenti di lettura diffusi e riconosciuti, dobbiamo riflettere su come aiutare i lettori di ogni livello a usarli in modo più consapevole. Questo libro ci mostra come farlo.
(dal risvolto di copertina di: "Come leggere. Carta, schermo o audio?", di Naomi S. Baron. Raffaello Cortina, pagg. 306, € 25)
Carta, schermo o audio: ciò che conta è imparare. Come leggere
- di Lorenzo Tomasin -
Il libro di Naomi S. Baron Come leggere. Carta, schermo o audio? non è solo un utile strumento per insegnanti alle prese con le sfide della didattica digitale. Pur non ambendo ad esserlo, è anche l’invito ad una riflessione ampia e generosa su che cosa significhi e che cosa implichi oggi la lettura. Queste parole potranno essere lette sul foglio di un giornale o su uno schermo, anzi, su vari possibili supporti digitali. E non c’è dubbio che appunto le parole resteranno le stesse, e medesima sarà – in molti casi – la reazione ch’esse susciteranno. Ma credere che la lettura (la percezione, la memorabilità, la comprensibilità più o meno superficiale) non sia in alcun modo influenzata dal supporto; credere, insomma, che dal punto di vista dei testi il fatto di essere veicolati da una pagina cartacea o da uno schermo sia ininfluente, significa semplificare le cose oltre la misura ormai ammessa dagli studi più approfonditi. Baron, linguista emerita in una università di Washington DC, è una studiosa di lungo corso che dall’inizio di questo secolo ha volto la sua ricerca dai problemi classici dell’acquisizione linguistica alle nuove questioni poste dai supporti digitali.
Il libro si basa sul presupposto, ormai ben documentato, che il mezzo non sia, appunto, indifferente, e che valga la pena di chiedersi in che cosa leggere su diversi supporti, oppure servendosi della lettura mediata dall’ascolto (audiolibri e simili) differisca dal punto di vista di chi legge. Il problema che sta più a cuore a Baron è quello dell’apprendimento studentesco e delle diverse forme di studio e di organizzazione delle conoscenze. Le conclusioni a cui giunge sono che il mezzo non è anodino, che i diversi canali a disposizione sono più o meno adatti ai diversi tipi di testo (un romanzo, un articolo di giornale o un manuale di anatomia non corrono allo stesso modo nella pagina o nel tablet, quanto al modo in cui il cervello li acquisisce e li processa), e più o meno efficaci per i diversi fini della lettura (dall’acquisizione effimera alla comprensione approfondita, dallo studio ricapitolativo a quello capace d’imprimersi nella memoria e di agire nel pensiero).
Non ci sono, insomma, mezzi buoni o cattivi in sé. Ma ci sono combinazioni oggettivamente migliori e oggettivamente peggiori di testi e di strumenti con cui li si legge: e nel caso della lettura profonda il digitale perde senz’appello. Studi su campioni studenteschi, risultati di focus group e test di verifica prodotti sperimentalmente: i risultati parlano di un’acquisizione più laboriosa ma anche più fruttuosa quando si passa per la carta, e di un apprendimento più labile – utile solo in alcune condizioni – quando ad accompagnare le idee nel cervello sono uno schermo o un file audio.
Baron procede nei modi tipici di tanta pubblicistica americana, ama esibire dati numerici e in molti casi anche monetizzazioni, nonché rinvii a studi che forse a volte si vorrebbe vedere più da vicino («uno studio ha dimostrato che…»: ma gli studi disponibili, purtroppo, ormai dimostrano un po’ troppe cose, e i dati – come talvolta si dice – non sono dati, perché sono presi, e ognuno tende a procurarsi solo quelli che gli servono). Ma più ancora delle conclusioni evidence based, in queste pagine convincono le riprese di alcuni contributi fondamentali (come il libro di Maryanne Wolf,Proust e il calamaro, edito in Italia da Vita e Pensiero), le deduzioni e gli scatti argomentativi che mi sentirei d’indicare come gli acquisti più solidi, perché più problematici, del lavoro: «La mia preoccupazione – scrive ad esempio Baron – è che stiamo abituando le prossime generazioni a dare per scontato che il digitale sia sempre un adeguato sostituto della stampa. La tecnologia non sarà responsabile del declino della stampa. Lo saranno gli editori e gli educatori». O con riferimento all’abbuffata tecnologica iniziata in America già ai tempi del virus H1N1 e poi concretizzatasi con la pandemia: «la minaccia della malattia ci aveva aiutato a passare dalla stampa integrale a quella frammentaria in modo digitale, una mossa che il Covid-19 ha ulteriormente accelerato. La motivazione in entrambi i casi era un’improvvisa necessità pratica, non una scelta pedagogica ponderata». E le ultime parole andrebbero meditate dai troppi apostoli del digitale a scuola che gli ultimi due anni hanno suscitato (e spesso già deluso).
- Lorenzo Tomasin - Pubblicato su La Domenica del 28/8/2022 -
1 commento:
Mah, per me il problema non è dove si legge (il Mezzo) ma che oggi non si legge
(Lo scopo).
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