Alto funzionario dell'OCSE in pieno Sessantotto, incaricato di coordinare gli studi sulla crescita economica che avrebbero guidato la politica dei governi occidentali, Cornelius Castoriadis (1922-1997) nascondeva una doppia vita di militante rivoluzionario nel movimento Socialisme ou Barbarie, da lui fondato nel 1949. Attraverso l'omonima rivista, per vent'anni ha utilizzato clandestinamente quegli stessi studi per sviluppare una critica radicale del capitalismo e della burocrazia, ispirando il pensiero libertario ed ecologista. All'opportunismo dei comunisti occidentali ha opposto una visione senza sconti dell'esperienza russa e cinese, individuando nel socialismo reale un'immagine del futuro del capitalismo mondiale; alle certezze degli economisti liberali ha opposto un'originale teoria della crisi della società moderna come crisi di senso prima ancora che economica. Sempre in anticipo sui tempi, Castoriadis lo è ancora oggi a un secolo dalla nascita, assieme ai concetti che lo hanno reso celebre: la burocratizzazione dell'economia, la centralità dell'immaginario, la critica dello sviluppo e l'autonomia. Questa antologia ne riassume il percorso attraverso la pubblicazione di testi inediti o introvabili in italiano.
(dal risvolto di copertina di: "Contro l’economia. Scritti 1949-1997", di Cornelius Castoriadis. Luiss University Press, pagg. 195, € 24)
La doppia vita di Castoriadis
- Funzionario dell’Ocse di giorno, radicale pensatore nel tempo libero. Per tutta la vita ha demolito il capitalismo -
di Giuseppe Sciortino
Il capitalismo si nutre delle proprie contraddizioni e prospera grazie ad esse. La cosa non cessa di irritare i molti che, generazione dopo generazione, sono in perenne attesa della sua inevitabile crisi. Eppure, la regola conosce poche smentite. Appena qualcuno scopre un buon motivo per maledire il capitalismo, qualcun altro lo appiccica subito su qualche maglietta da vendere a caro prezzo. Appena qualcuno lo dichiara sull’orlo del precipizio, qualcun altro comincia a vendere i biglietti numerati per lo spettacolo.
L’antologia degli scritti di Cornelius Castoriadis curata da Raffaele Alberto Ventura è un ottimo esempio. Il volume, intitolato Contro l’economia, è pubblicato dalla casa editrice della Luiss, che, come è noto, è un’università privata. Non solo: la stessa casa editrice annuncia che si tratta di un’edizione limitata pure gold stampata in sole 70 copie numerate (secondo il sito, ai fortunati acquirenti vanno anche sette misteriosi stikers). Non male per il libro di un pensatore radicale che ha sostenuto per tutta la vita che il capitalismo, producendo artificialmente scarsità, è un limite al potenziale comunicativo e creativo della specie umana. Nel caso di Contro l’economia, questa sfacciata tensione tra contenuti e prodotto non disturba. Sembra anzi una scelta particolarmente appropriata. Perché la centralità delle contraddizioni strutturali e la costante attesa della crisi finale sono la cifra più autentica della biografia di Castoriadis e della sua opera.
Partiamo dalla biografia. Come Ventura evidenzia, con una devozione quasi filiale, la vita di Castoriadis è stata un capolavoro di duplicità creativa. Chi si interessa di teoria sociale francofona sa che Castoriadis è stato uno degli intellettuali marxisti (nonché post-, semi-, neo-, finti-, marxisti) più lucidi e innovativi del Novecento. Viene ricordato come il fondatore, nel 1949, di un gruppuscolo di intellettuali parigini che pubblicavano (come sempre a quei tempi) una rivista dal titolo sfumato:Socialisme ou barbarie. La rivista, apparsa tra il 1949 e il 1965, viene considerata, con qualche esagerazione, l’ispirazione del maggio ’68. Se questo merito è incerto, un altro è invece sicuro. Su Socialisme ou barbarie non si trova la benché minima traccia di simpatia (o anche solo di comprensione) nei confronti del socialismo reale. È una rivista capace di denunciare le furbizie staliniste di Sartre. Nel 1953, tra gli intellettuali parigini, richiedeva un po’ di coraggio.
Quello che affascina di Castoriadis, tuttavia, è la compresenza di una seconda vita. Perché la stessa persona che, come intellettuale militante, cercava il modo per fare precipitare l’incipiente crisi era anche impegnata, nei panni di alto funzionario dell’Ocse, a scongiurarla. Si, Castoriadis ha fatto una rispettabile carriera proprio in quell’organizzazione internazionale che viene generalmente chiamata «il club dei paesi ricchi». Di sera, insieme a un Lyotard non ancora convertito al postmoderno, Castoriadis si interrogava sulle contraddizioni del capitalismo. Di giorno, disegnava un modello econometrico del commercio internazionale o si incontrava con qualche ministro delle finanze per suggerire la liberalizzazione di questo o quel settore produttivo. Marx, per scrivere Il Capitale, ha fatto ampio uso dei rapporti delle organizzazioni capitaliste. Castoriadis quei rapporti se li scriveva da solo. Un caso esemplare di dottor Jekyll e signor Hyde, salvo che in questo caso non è ben chiaro chi sia il buono e chi il cattivo.
L’interesse biografico, tuttavia, è solo uno dei due motivi di interesse del libro. Egualmente importante è la disponibilità di una scelta intelligente di alcuni testi chiave di uno dei più sofisticati studiosi della «crisi» come dimensione fondamentale della modernità. Dal primo scritto del 1949 all’ultimo del 1997, Castoriadis ha infatti costantemente, ossessivamente, sistematicamente cercato di identificare i fattori che rendevano impossibile, a suo giudizio, un ordinamento stabile per una società di mercato. Non ha mai rinunciato a cercare ciò che ne avrebbe inevitabilmente comportato il superamento. L’ordine cronologico dei brani consente di seguire passo per passo gli sviluppi di questa ricerca. Il primissimo Castoriadis è relativamente ortodosso in termini marxiani: sarà lo stesso sviluppo economico del capitalismo a scavargli la fossa. La famigerata caduta del saggio di profitto non è lontana.
Molto presto, Castoriadis, intuendo la povertà intellettuale di questa tesi, adotta un’interpretazione sempre più weberiana: il capitalismo, essendo in grado di sopravvivere solo a prezzo di dosi via via crescenti di pianificazione, finirà inevitabilmente per soffocare il mercato sotto una fitta coltre di burocrazia. Alla fine degli anni 60 - dopo il movimento studentesco e dopo molti anni di psicoanalisi (e avendo nel frattempo abbandonato l’Ocse) - Castoriadis sarà pronto a rinunciare consapevolmente ad ogni interpretazione economica del capitalismo. A partire dagli anni 70, la crisi diventa crisi ontologica. Il vero, insormontabile, problema è il conflitto inevitabile tra l’aspirazione umana all’autodeterminazione (sollecitata di continuo dal mercato) e la realtà della disciplina e della subordinazione. Le società democratiche di massa generano costantemente desideri che costantemente deludono. Il loro sviluppo è quindi destinato a scontrarsi con la natura, esterna (degrado ambientale) e interna (l’endemica, cieca frustrazione dei consumatori che non riescono mai ad essere davvero cittadini). In 195 pagine, il lettore attraversa con Castoriadis tutte le principali illusioni del Novecento: il marxismo, la tecnocrazia, la psicanalisi, persino la geopolitica. Ritrovandosi sempre di fronte alla stessa scelta: o il socialismo o le barbarie. Cinquanta anni di studi, e mai un paragrafo in cui si intraveda il sospetto che le alternative potrebbero essere altre.
- Giuseppe Sciortino - Pubblicato su Domenica del 21/8/2022 -
Nessun commento:
Posta un commento