Ha passato una vita a raccontare storie vere, a girare documentari che ne hanno fatto un'icona, al punto che in Canada, dove risiede da decenni, Leonard Fife è considerato una sorta di monumento nazionale. Il suo primo lavoro ha smascherato la collusione tra il governo canadese e quello americano allo scopo di testare il famigerato Agent Orange. La sua ultima intervista dovrebbe essere la celebrazione di una vita straordinaria. L'amata moglie Emma, i suoi allievi, i suoi tecnici sono riuniti al suo capezzale per ascoltare, dalle sue labbra, come abbia cambiato il cinema documentario. Ma Fife, seppure posto davanti alla macchina da presa e non dietro, finisce per appropriarsene. E quella che racconta per la prima volta è la sua vera storia. Muovendosi agile nel tempo, ricostruisce la trama di fughe e tradimenti, di bugie e viltà che ne hanno fatto l'uomo che è, una sorta di eroe. Un'immagine idealizzata che Fife è deciso a distruggere.
(dal risvolto di copertina di: RUSSELL BANKS, "I tradimenti", Traduzione di Gianni Pannofino EINAUDI STILE LIBERO Pagine 368, €19,50)
Quanta grazia in un disgraziato mentre sbaglia
- di Silvia Avallone -
Da qualche parte a nord, sotto la neve, nella nuda e cruda provincia americana che non ti guarda in faccia, non ti promette niente e, specialmente se sei povero, non ci pensa nemmeno ad aiutarti; in una landa desolata di centri commerciali e drive-in da cui puoi solo desiderare di andartene, preferibilmente guidando un’auto rubata il più veloce possibile, meglio ancora se diretto all’estero, in Canada o in uno di quei Paesi caldi come la Giamaica, che sono il contraltare del capitalismo e il riassunto dei crimini dei bianchi contro i neri; via, lontano, come se non avessi radici, legami, una famiglia, a tu per tu con il tuo destino: benvenuti nel mondo di Russell Banks, uno dei miei scrittori preferiti. Padre di personaggi sfortunati e colpevoli, di un’umanità disarmante. Era Bob Debois ne La deriva dei continenti: riparatore di bruciatori di nafta, seppellito dal gelo del New Hampshire, che si trascina stanco tra bevute al bar, moglie e figli, ma sotto l’ennesima tormenta si dice: Perché sto ancora qui a prendere freddo? E allora fugge in Florida, inseguendo il sogno americano, per finire invischiato in un brutto giro legato agli immigrati clandestini provenienti da Haiti. Era Chappie, in arte Bone ovvero: osso, ne La legge di Bone: quattordicenne cresciuto nella famiglia sbagliata, fumatore di erba incallito, cacciato di casa, senza un soldo né mezza prospettiva, preso dall’America profonda di Au Sable a pedate nel sedere. Ma c’è sempre un autobus, nei libri di Banks, su cui salire con lo zaino in spalla. C’è sempre qualche fesso che scende dal pick-up con il motore acceso e le chiavi inserite nel cruscotto. C’è sempre un altrove in cui cercare un te stesso più autentico. E fuggire è l’unico modo per salvarti.
Infine, ecco Leonard Fife, l’ultimo eroe inquieto di Banks ne I tradimenti, attraversato da crepe che non si aggiustano e da desideri incontenibili. All’inizio pare uscito da un altro universo rispetto a quelli a cui l’autore ci ha abituato: in questo romanzo sulla giovinezza scritto da un’età in cui la si guarda da lontano (Banks ha ottant’anni e il personaggio Fife quasi) ci troviamo al cospetto di un regista famoso, dentro una casa lussuosa, circondato da una troupe che vuole girare un documentario su di lui. Niente alcol, droga, disperazione, povertà, sporcizia: possibile? Ma un autore, a maggior ragione se grande, è tale perché costruisce un immaginario unico intorno a un’ossessione scavata in profondità per tutta la vita. E, a dispetto del titolo, Banks è fedele al suo scavo, viscerale e coraggioso, nell’anima dei disgraziati.
Il famoso regista Fife, infatti, è un impostore al suo stadio terminale. La sporcizia c’è: è il sacchetto del catetere appeso alla sedia a rotelle, è il tumore che lo sta consumando e, soprattutto, è la colpa che si porta dentro. Perché anche lui, il celebre documentarista canadese, in realtà è un fuggitivo. Un poco di buono. Figlio della fredda e impietosa provincia americana. E ora, se non racconta tutta la verità a sua moglie, se non si confessa davanti all’occhio nero della telecamera che gli impone di essere sincero, non può compiere in pace l’ultima fuga: morire.
«Il tempo divora le nostre vite come il cancro» e Leonard adesso fa persino fatica a parlare, imbottito di morfina. «Quando un individuo non ha futuro e il presente non esiste, se non come coscienza, la sua identità si riduce al suo passato. E se, come per Fife, il suo passato è una menzogna, una finzione, allora non si può dire che questo individuo esista, se non come personaggio immaginario».
Il fatto è che il tuo essere in carne e ossa è vero, ma il modo in cui ti travesti e ti camuffi no. Puoi diventare ricco e famoso finché vuoi, puoi mettere anni luce tra i tuoi traguardi della maturità e il ragazzino che sei stato, ma in fondo, al centro di te stesso, rimarrai sempre quel ragazzino. Siamo la nostra giovinezza, le scelte ribelli che abbiamo compiuto sognando noi stessi come persone diverse dai nostri genitori. Siamo le stupidaggini dopo la scuola, le ubriacature colossali, le fughe con il nostro miglior amico su un’auto rubata, desiderando rifarci una vita in California a sedici anni, per tornare indietro con la coda tra le gambe qualche settimana dopo. Rimaniamo quel posto triste in cui siamo nati, con una drogheria aperta tutta la notte e un paio di strade. La prima esperienza sessuale sui sedili davanti allo schermo del drive in. In seguito, crescendo, potremo affrancarci, riscattarci, cambiare radicalmente vita, ma solo a patto, ci ammonisce Banks in questo romanzo struggente, di non nascondere, non negare, non mascherare, il nostro inizio. È un messaggio controcorrente in un’epoca come questa. Siamo ossessionati dal successo, chiamati a diventare tutti famosi, visibili, eccezionali per poter dire di esistere. Eppure i grandi romanzi americani, I tradimenti incluso, ci riportano a una realtà ben diversa: quando starai per morire e ti guarderai indietro, quando non avrai più nulla da perde-re e per cui mentire, setaccerai disperatamente i ricordi in cerca non delle medaglie, degli applausi, ma delle tue colpe. Le persone che hai tradito e abbandonato. Le azioni vergognose che hai compiuto. È questa la parte di noi con cui dobbiamo fare i conti: non la luce che vedo-no gli altri, calibrata apposta per abbagliarli, bensì la nostra verità buia e tempestosa. In particolare, gli errori da cui non siamo tornati indietro. Fare pace con noi stessi, renderci amabili come persone e non come personaggi, significa allora raccontarli, questi errori, e accettarli. Ce lo aveva spiegato Roth in La macchia umana: un’intera esistenza brillante costruita su una menzogna e, alla fine, è la menzogna che conta. Ce lo aveva detto Franzen ne Le correzioni, che la vita non serve a vincere. E adesso ce lo ribadisce meravigliosamente Banks in un racconto originale come la sua voce. Il ventisettenne americano Fife, in un certo giorno della sua vita, si troverà in bilico sul confine con il Canada. Alle sue spalle ci sono una moglie e un figlio che aspettano il suo ritorno, un assegno di 23 mila dollari per comprare la casa dei desideri, e la proposta generosa da parte del suocero di guidare la sua azienda. Davanti c’è l’ignoto: solo una fitta nebbia in cui non si distingue quasi nulla. Alle sue spalle c’è il sogno americano a un passo dall’avverarsi: famiglia, soldi, carriera. Davanti, la possibilità di tradire quel sogno e diventare altro. E proprio quando Leonard Fife, quarant’anni dopo, sarà in bilico su un altro confine irreparabile, quello tra la vita e la morte, ripenserà a quel giorno con un piede in America e uno in Canada.
Il passo in cui si fondono la fuga passata e la morte presente di Fife è così bello che vale la pena citarlo, sia per la grazia della scrittura sia perché i capitoli fondamentali della nostra vita sono quelli in cui valichiamo un limite: «Dal punto in cui si trova, su quel confine, vede il disco bianco del sole che emerge dalla foschia dietro la fila degli ontani all’orizzonte. Quando il sole è più alto degli alberi, la sua luce tra la foschia persistente appiattisce tutto ciò che esiste e lo rende perfettamente bianco. Ed è a quel punto che lui svanisce». I tradimenti è un grande romanzo sulla disubbidienza necessaria a diventare sé stessi. Disubbidire ai genitori, ai legami famigliari, alle ideologie del proprio Paese e della propria epoca. Ma è anche un romanzo sul prezzo da pagare che implica questa disubbidienza. Siamo tutti chiamati, a un certo punto della nostra storia, a scegliere se tradire noi stessi o le persone che amiamo. E cos’è peggio? Banks è uno dei miei scrittori preferiti perché sa illuminare la bellezza delle persone mentre sbagliano. Ha un modo di rivelare l’umanità contenuta in ogni essere umano che tocca il cuore e fa crollare le barriere sociali, economiche, etniche. Questo, a mio avviso, è il più grande potere etico e politico della Letteratura.
Leggere Banks significa immergersi sotto la pelle di una donna haitiana migrante (l’altra protagonista de La deriva dei continenti) e impastarsi visceralmente con le sue paure e i suoi desideri: un’esperienza che cambierà per sempre il vostro modo di leggere qualsiasi notizia sulla migrazione. Significa immedesimarsi senza difese con un ragazzino sporco, tossicodipendente, con una cresta da moicano e l’anello al naso (La legge di Bone), che se lo vedeste per strada, scuotereste la testa contrariati e passereste oltre. E significa, in quest’ultimo romanzo, imparare ad amare un vecchio morente non per i film famosi che ha girato, ma per i suoi difetti incurabili, finalmente ammessi. I tradimenti ci insegna una cosa fondamentale: solo la verità vale. Le maschere non servono a niente, e nemmeno il successo. Ciascuno di noi è una storia complicata da cui non si fugge. Non siamo riassumibili da alcuna morale, da alcuna categoria: vincenti, perdenti, straccioni, famosi, figli, genitori, mariti fedeli, traditori. Queste sono solo apparenze, solo traguardi e fallimenti transitori che poi il tempo stravolge, cambia. Quel che resta, l’essenziale, è la nostra volontà di amare e di essere amati per chi siamo e non per chi sembriamo. L’amore è la ragione per cui Leonard Fife, nell’ultimo giorno della sua vita, combatte contro il tempo fino allo stremo e trova il coraggio di raccontare la verità. Che è sempre colpevole, commessa in giovinezza. E sempre liberatoria.
- Silvia Avallone - Pubblicato su La Lettura del 28/8/2022
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