Rob Wallace e le radici sociali della pandemia di Covid-19
- di Nuno Miguel Cardoso Machado -
Centinaia di milioni di persone contagiate, 6,3 milioni di morti e una gravissima crisi economica, rendono la pandemia di Covid-19 il fenomeno più eclatante della crisi del primo quarto del 21° secolo. In un mondo che è stato quasi colto del tutto a sorpresa, Rob Wallace - noto biologo evoluzionista e filogeografo [*1] che ha lavorato con l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) e con il Centro statunitensi per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) degli Stati Uniti - è tra i pochi scienziati che da anni, lucidamente, ci stanno mettendo in guardia circa l'inevitabilità di una pandemia. La tesi centrale di "Big Farms Make Big Flu: Dispatches on Influenza, Agribusiness, and the Nature of Science" (© Monthly Review Press, 2016) [*2], e di "Dead Epidemiologists: on the origins of Covid-19" (Monthly Review Press, 2020) sostiene che i virus non sono solo fatti biologici, ma anche eminentemente sociali. La loro diffusione è il risultato di «combinazioni [...] tra circostanze agro-ecologiche [...] e relazioni economiche» (WALLACE, 2020b, p. 432). In altri termini, i «meccanismi» della «diffusione delle malattie» virali trovano «la loro mediazione sociale» (WALLACE, 2020b, p. 429) nel funzionamento di «sistemi di produzione che hanno luogo nel tempo e nello spazio» (WALLACE, 2020a, p. 26). Secondo Wallace, questo contesto storico-sociale «non è semplicemente un campo sul quale le relazioni causali si svolgono. [...] Il contesto È la causalità» (WALLACE, 2020b, p. 357, enfatizzazione nell'originale). Nella modernità, la riproduzione della società e degli individui obbedisce in maniera predominante ai dettami del capitale in quanto forma sociale. Pertanto, il metabolismo tra gli esseri umani e la natura viene subordinato alla "dinamica" distruttiva del "capitalismo" (WALLACE, 2020b, p. 200). In un'economia capitalistica, la forma quasi-universale dei prodotti del lavoro è la merce; ora, le imprese «producono merci» non perché tali merci abbiano un «valore d'uso», ma perché esse contengono un "valore" monetario (WALLACE, 2020b, p. 97). La produzione pertanto assegna la sua priorità al «profitto [...], un'astrazione che impatta sulle fondamenta del mondo reale» (WALLACE, 2020a, p. 103). Ad esempio, le modifiche che vengono promosse nel valore d'uso delle merci al fine di massimizzare il valore economico creato «può avere delle conseguenze[...] pericolose» (WALLACE, 2020b, p. 97). Ciò appare evidente nel settore agro-industriale, dove degli «organismi viventi e respiranti» vengono alterati per aumentare la «produzione di valore» (WALLACE, 2020b, p. 97). La situazione appare essere particolarmente grave nel settore dell'allevamento: «Sono stati imposti dei cambiamenti fondamentali in quello che è il modo in cui vengono creati gli animali destinati al consumo (e, ivi incluso, CIÒ di cui essi sono fatti). La zootecnia e l'allevamento industriale di pollame incarnano sempre più l'economia capitalista. La genetica, la procreazione, la nascita, la messa all'ingrasso, l'alimentazione, il loro confinamento artificiale, la gestione dei rifiuti, il trasporto, la macellazione, la lavorazione, il confezionamento e la spedizione vanno organizzati innanzitutto in base ai tassi di profitto» (WALLACE, 2020a, p. 110, enfatizzazione nell'originale). In sostanza, l'«agro-business» sta cercando di «trasformare, a qualsiasi costo, la biologia [...] l'animale [...] in denaro». (WALLACE, 2020b, p. 176).
Wallace afferma che le malattie virali hanno perciò «origini sociali» che sono state spesso nascoste: la diffusione di un numero crescente di virus tra gli esseri umani può, in parte, essere compresa come la conseguenza involontaria di tutti gli «sforzi volti a dare all'ontogenesi e all'ecologia animale una direzione verso la redditività» (WALLACE, 2020b, p. 87). Nell'ottica dell'autore, «la stessa biologia» dei virus ormai si trova «intrappolata nell'economia politica del business alimentare» (WALLACE, 2020b, p. 80). In un simile ambito, «biologia» ed «economia» si trovano oramai fuse in quelle che sono delle «complesse reti di azione umana, animale e patogena» (WALLACE, 2020b, p. 445).Pertanto, in quelli che sono dei contesti agro-ecologici sempre più «capitalizzati», dove gli «organismi viventi» vengono mercificati, abbiamo «intere catene di produzione» che diventano «vettori di malattie» (WALLACE, 2020a, p. 87). Come concretizzerò nei prossimi paragrafi, il movente del profitto si riflette nella forma (storicamente) specifica di organizzazione dell'agro-business, le cui caratteristiche generali sono altrettante condizioni che facilitano le malattie infettive. In particolare, la monocoltura industriale e intensiva di animali in dei «mega-allevamenti» - che, «a partire dagli anni '70, [...] si è diffusa in tutto il pianeta da le sue origini negli Stati Uniti sud-orientali» (WALLACE, 2020b, p. 66) - contribuisce allo sviluppo di una «vasta gamma» di agenti patogeni, in particolare la «epizoozie, che sono peculiari della nostra epoca» (WALLACE, 2020a, p. 113). Per prima cosa, «milioni di maiali e di uccelli ammassati l'uno accanto all'altro» generano «un'ecologia che è quasi quasi perfetta perché si evolvano vari ceppi virulenti» (WALLACE, 2020b, p. 66), e questo proprio a causa del contatto permanente e «prolungato» (WALLACE, 2020b, p. 195) [*3]. Secondo Wallace, «una maggior dimensione e una maggior densità popolazionale, facilitano tassi di trasmissione più elevati» dei virus (WALLACE, 2020b, pag. 91). Questo soprattutto in una situazione di «confinamento», la quale deprime la «risposta immunitaria». (WALLACE, 2020b, p. 91) [*4]. Inoltre, i livelli di produttività estremamente elevati nel ramo dell'industria zootecnica sono responsabili «di un'offerta continuamente rinnovata di potenziali ospiti, i quali sono il carburante per l'evoluzione della virulenza»(WALLACE, 2020a, p. 34). E come se tutto ciò non bastasse, gli animali creati industrialmente sono sovralimentati, in modo da crescere rapidamente (WALLACE, 2020a, p. 111) e così possano raggiungere il peso commercialmente «appropriato» nel più breve tempo possibile (WALLACE, 2020b, pag. 91-92). Nel caso del pollame, le loro tiroidi vengono manipolate geneticamente «in modo che non si rendono conto quando il loro stomaco è pieno» (WALLACE, 2020a, p. 111). Ora, «abbassare l'età della macellazione [...] contribuisce a selezionare gli agenti patogeni che sono in grado di sopravvivere» anche ai «sistemi immunitari più robusti» (WALLACE, 2020a, pagg. 51-52). In altri termini, quella che aumenta è «la pressione esercitata sui virus affinché essi raggiungano la loro soglia di trasmissione - insieme a quella del carico di virulenza - a un ritmo assai più accelerato», e questo prima che l'ospite venga abbattuto (WALLACE, 2020b, p. 92). Un altro aspetto problematico riguarda l'«omogeneizzazione genetica» degli animali consapevolmente promossa dagli allevamenti intensivi (WALLACE, 2020b, p. 380). Di fatto, «l'agro-business produce in laboratorio quelli che sono i suoi pochi lignaggi [...] a partire da degli stock genetici» (WALLACE, 2020b, p. 317). Questa creazione di «animali [...] destinati al consumo, avendo dei genomi virtualmente identici» (WALLACE, 2020a, p. 51) impedisce che si attui la «selezione naturale, in quanto servizio ecologico gratuito e in tempo reale» (WALLACE, 2020b, p. 364), e inoltre «rimuovono quei ritardanti immuni che nelle popolazioni più diversificate rallentano la diffusione» (WALLACE, 2020a, p. 51). Va anche notato che «l'incapacità a costruire una resistenza naturale agli agenti patogeni circolanti viene integrato nel modello industriale, prima che insorga un singolo focolaio» (WALLACE, 2020b, p. 317). Un ulteriore fattore addizionale che facilita la diffusione virale è l'enorme «portata geografica» delle catene di produzione (WALLACE, 2020b, p. 343). Si può infatti parlare di quella che è una vera e propria «rete globalizzata di produzione e commercio [...] di animali confinati», dove questi animali vengono trasportati «da regione a regione» e persino esportati in Paesi terzi (WALLACE, 2020b, p. 123). Nelle parole di Wallace, «le merci alimentari sono il mezzo attraverso il quale anche la contea isolata può avere collegamenti con le epidemie globali» (WALLACE, 2020a, p. 66). In secondo luogo, bisogna sottolineare come «coltivazioni» e «pascoli» capitalista «su larga scala [...] stanno sostituendo rapidamente la foresta, la savana le praterie e la macchia» (WALLACE, 2020a, p. 106). La deforestazione accelerata contribuisce a eliminare «i servizi auto-integranti che la natura generalmente fornisce» (WALLACE, 2020b, p. 422), in primis la «biodiversità» (WALLACE, 2020b, p. 429) e la «complessità», le quali sono tipicamente in grado di contenere i «patogeni "selvaggi"» (WALLACE, 2020a, p. 83), oltre a prevenire una «trasmissione continua» (WALLACE, 2020b, p. 482). Questa distruzione della «resilienza agro-ecologica» (WALLACE, 2020a, p. 126) offre, da un lato, le condizioni perfette per l'evoluzione degli agenti patogeni, in particolare quella dei «fenotipi più virulenti e infettivi» (WALLACE, 2020a, p. 34), mentre, dall'altro lato, consente che quei virus «precedentemente incubati» si diffondano «nel bestiame locale e nelle comunità umane» (WALLACE, 2020a, p. 33). Pertanto, nella prospettiva di Wallace, le «relazioni di produzione» di mercato «amplificano la diffusione delle malattie» verso gli esseri umani (WALLACE, 2020a, p. 90). Tutto questo ci porta, finalmente, alla spiegazione del Covid-19: «La genetica del virus SARS-CoV-2 mostra come esso sia un riarrangiamento di un coronavirus dei pipistrelli, con un ceppo proveniente dal pangolino, che in seguito si è sintonizzato con il sistema immunitario umano, durante o poco prima del focolaio dell'epidemia di Wuhan». (WALLACE, 2020b, pag. 544)
Wallace sostiene l'opinione condivisa secondo cui il Covid-19, causato dal SARS-CoV-2, è dovuto proprio a un fenomeno di "overflow". Grazie alla loro «virtuosità immunitaria», i pipistrelli ospitano un'«impressionante diversità di virus» (WALLACE, 2020a, p. 162). La distruzione del loro habitat naturale, causato dalla deforestazione, spinge, sia direttamente che indirettamente, a un aumento dell'interazione «tra gli esseri umani e i pipistrelli della frutta» (WALLACE, 2020b, p. 476). Questo aumenta le probabilità di infezione. Da un lato, ciò avviene attraverso morsi, graffi e all'esposizione alle secrezioni dei pipistrelli (WALLACE, 2020b, p. 477). E da un'altra parte, attraverso il contatto con altre specie selvatiche precedentemente infette, soprattutto «nei mercati di prodotti freschi» e nelle macellerie «di carni di animali selvatici» (WALLACE, 2020b, p. 346). Nel caso della Cina, tanto il consumo di «alimenti selvaggi che vengono sempre più capitalizzati» (WALLACE, 2020a, p. 24) quanto i «circoli periurbani con la loro estensione e con l'aumento della densità demografica in continua crescita» sono fattori di rischio infettivo, dal momento che aumentano «l'interfaccia (e l'overflow) tra fauna selvatica e popolazioni umane dalle aree rurali recentemente urbanizzate» (WALLACE, 2020b, p. 545). Tuttavia, Wallace ritiene che concentrare esclusivamente l'«attenzione sulle zone dei focolai iniziali, offuschi quelle che sono le relazioni sociali, economiche e agro-ecologiche comuni agli attori economici globali» (WALLACE, 2020a, p. 49). È in questo che risiede l'originalità della sua teoria esplicativa: la responsabilità del SARS-CoV-2 non può essere imputata (solo) alla Cina e la sua origine non è dovuta solo a fattori di natura biologica. Si tratta di una «pandemia che nasce dal modo di produzione capitalistico» applicato al settore agricolo animale (WALLACE, 2020a, p. 53). Pertanto, «la causa della Covid-19 [...] non si trova solo [...] in una qualche agente infettivo o nel suo decorso clinico, ma anche nell'ambito delle relazioni ecosistemiche che il capitale [...] ha instaurato a proprio vantaggio» (WALLACE, 2020a, p. 55), vale a dire che si verifica una «convergenza di meccanismi patogeni e socioculturali» (WALLACE, 2020b, p. 131). La prova di ciò è l'infezione di esseri umani da parte di una considerevole quantità di nuovi virus negli ultimi decenni, le cui origini e la cui diffusione possono essere attribuite inequivocabilmente al modo di (ri)produzione di mercato: «La SARS-CoV-2, [...] che ha causato la pandemia Covid-19 [...], rappresenta solo uno dei nuovi ceppi di agenti patogeni che sono improvvisamente emersi come minacce per l'uomo in questo secolo. Tra questi vi sono il virus della peste suina africana, [...] l'ebola di Makona e Reston, [...] l'afta epizootica, l'epatite E, la listeria, il virus Nipah [...], la salmonella [...] e alcune nuove varianti dell'influenza A [come l'influenza aviaria e l'influenza suina] [...]. Questi focolai [...] sono collegati direttamente o indirettamente a cambiamenti della produzione o dell'uso del suolo associati all'agricoltura intensiva. Monocoltura ad alta intensità di capitale - sia per l'allevamento che per la produzione di bestiame. e l'agricoltura - spinge la deforestazione e le imprese che incrementano la tasso e gamma tassonomica di diffusione di agenti patogeni [...] da animali selvatici a quelli del bestiame e da questi ai lavoratori del settore» (WALLACE, 2020b, p. 527).
Alla luce di questa diagnosi, la domanda è: che fare?
In primo luogo, è necessario smettere di trattare il capitalismo e, in particolare, la sua incarnazione neoliberista come se fosse un modo di vita sociale ontologico, quasi naturale (WALLACE, 2020b, p. 437), e invece esaminare criticamente i suoi "presupposti" (WALLACE, 2020b, p. 200).
Wallace auspica una «scienza alternativa» che sia in grado di comprendere «tutti i processi fondamentali soggiacenti alle ecologie del benessere, come la partecipazione e la produzione, le reminiscenze storiche di lungo periodo e l'infrastruttura culturale che sta dietro al cambiamento nel paesaggio e che producono le minacce per la salute» (WALLACE, 2020b, p. 440). In secondo luogo, fermare (temporaneamente) i focolai virali «per mezzo di una vaccinazione non fa scomparire il contesto sociale che ne determina la loro circolazione stessa» (WALLACE, 2020b, p. 484). Vale a dire, se il «nocciolo della questione», come dimostrato da Wallace, «risiede nel modello di produzione» agroalimentare (WALLACE, 2020b, pag. 513), allora è necessario trasformarlo radicalmente. In caso contrario, ci saranno «molteplici agenti patogeni» che continueranno, uno dopo l'altro, ad acquisire un «improvviso status di celebrità globale» (WALLACE, 2020a, p. 33). È necessario, pertanto, contrapporsi alla mercificazione della natura, delle specie vegetali e animali destinate al consumo umano e alla loro trasformazione in alimenti, privilegiando il valore d'uso a scapito del valore di scambio (WALLACE, 2020b, pag. 284, 300, 355). In altre parole, diventa urgente «combattere l'agro-business in quanto paradigma» (WALLACE, 2020b, p. 171). Al suo posto va costruito «un eco-socialismo che superi la frattura metabolica tra ecologia ed economia, insieme a quella tra urbanità, ruralità e ambiente selvaggio, impedendo fin da subito che emergano i peggiori tra questi agenti patogeni» (WALLACE, 2020a, p. 28). Si tratta di stabilire un'«agricoltura ecologica» che sia in grado di soddisfare i «bisogni delle persone» (WALLACE, 2020b, p. 176), integrando «produzione alimentare» ed ecosistemi (WALLACE, 2020b, p. 350).
In conclusione, si può affermare che Rob Wallace svolge un'eccellente attività di analisi dei fattori storici, sociali ed ecologici associati all'emergere e al manifestarsi del fenomeno dell'inquinamento e alla diffusione di agenti patogeni mortali. L'autore mette il capitalismo neoliberale sul banco degli imputati, evidenziando come il suo modello di produzione agricola e zootecnica - l'agro-business - comporti tutta una serie di minacce sistemiche all'ambiente e agli esseri umani. In particolare, si tratta di un settore di attività che favorisce e promuove malattie infettive, ivi inclusa la più recente pandemia di Covid-19. Nonostante i loro indubbi meriti, entrambe le opere recensite soffrono di alcune carenze. Da una parte, Wallace non mette in relazione il fenomeno virale con la crisi economica che ha colpito la riproduzione del capitale globale nel suo complesso; come è stato invece sottolineato da Anselm Jappe e altri (2020). Del resto, l'autore non analizza gli effetti politico-giuridici, in termini di sicurezza (stato di eccezione/emergenza, lockdown obbligatorio di enormi popolazioni), legati alle misure di lotta alla pandemia messe in atto praticamente da quasi tutti i governi, come fa ad esempio Slavoj Zizek (2020). Tuttavia, Tuttavia, queste carenze non pregiudicano il fatto che si sta parlando di quelli che sono tra i migliori studi critici circa le origini sociali del Covid-19, scritti finora.
- Nuno Miguel Cardoso Machado - Pubblicato su Physis: Revista de Saúde Coletiva, Rio de Janeiro, 2022 -
NOTE:
[*1] - Come chiarisce l'autore, in qualità di «filogeografo [...] utilizzo le sequenze genetiche di virus e batteri [...] per fare scoperte sulla diffusione geografica e sull'evoluzione degli agenti patogeni» (WALLACE, 2020b, p. 605).
[*2] - Opera pubblicata originariamente in inglese nel 2015. L'edizione portoghese comprende due saggi aggiuntivi specificamente sul nuovo coronavirus.
[*3] - Wallace definisce la virulenza come «la quantità di danni che un patogeno causa all'ospite»(WALLACE, 2020b, p. 264).
[*4] - Si noti che a essere incapsulati e iperconcentrati, non sono solo gli animali. Nel caso di Covid-19, la "mortalità" è stata massimizzata dalla «concentrazione di persone anziane» - quelle con un sistema immunitario indebolito - «nelle case di cura» (JAPPE et al., 2021).
RIFERIMENTI:
JAPPE Anselm, Gabriel Zacarias, Clément Homs, Sandrine Aumercier - Capitalismo in quarantena. Pandemia e crisi globale, Ombre Corte, 2021.
WALLACE, R. - Dead Epidemiologists: on the origins of Covid-19. Nova Iorque: Monthly Review Press, 2020a.
WALLACE, Rob - Pandemia e Agronegócio: doenças infeciosas, capitalismo e ciência. São Paulo: Editora Elefante, 2020b.
ZIZEK, S. - Virus.Catastrofe e Solidarietà. Ponte alle Grazie, 2020.
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