Semaforo verde per il caos della crisi
- Ascesa e limiti del capitalismo automobilistico -
di Robert Kurz
Che cos'è un'automobile? Che domanda stupida: "automobile", abbreviata in auto, mezzo di locomozione terrestre azionato da un motore; spesso da un motore a combustione: è la definizione data dall'enciclopedia tedesca Brockhaus. Però, definizioni di questo tipo sono, purtroppo, assai limitate. Si limitano alla funzione tecnica: l'uomo dell'economia di mercato vuole solo relazionarsi funzionalmente ad oggetti inconsciamente presupposti. Tuttavia, l'automobile è "ovviamente molto più di un semplice mezzo di locomozione terrestre": per i tanti feticisti dell'automobile, è un oggetto erotico, per la maggioranza, un oggetto di prestigio, per alcuni, un vizio, un'arma per aggredire o un misero sostituto del partner. E' comprovato che l'automobile è il primo responsabile dell'inquinamento dell'ambiente. Per milioni di persone è anche, allo stesso tempo, "strumento di lavoro". E dal momento che la società automobilistica corre su grosse cilindrate e ad alta velocità in direzione della crisi, l'automobile è anche oggetto di crisi e di conflitto con il pubblico interesse. Ancora negli anni 1971, i funzionari del sindacato dell'industria metallurgica, operai e costruttori di automobili, difendendo il modello di vita basato sulla fede, sulla tecnica, sul mercato e sul denaro, attaccavano ciecamente, con grande violenza, i difensori dell'ambiente e gli altri critici. Già allora, si dimostrava il carattere ottuso del tipo di essere umano prigioniero di quel modo di vita. Oggi possiamo discutere con i sindacalisti dell'industria automobilistica, e persino con alcuni dirigenti, circa i pericoli ed il limite del capitalismo automobilistico. La crisi rende questo possibile: catastrofi ambientali e disoccupazione di massa hanno graffiato l'antico splendore dell'automobile. E' diventato quasi un luogo comune dire che "così non si può continuare". Il che non impedisce che tutto continui. Quanto meno, possiamo chiederci come siamo arrivati alla dipendenza totale dall'automobile.
L'annientamento del tempo della vita
L'apparente risparmio di tempo che deriva dalla velocità, resa possibile dai moderni mezzi di trasporto, inizialmente non era affatto desiderabile. Già la locomotiva a vapore aveva provocato delle critiche. Nel 1802, lo scrittore Johann Gottfried Seume era andato a piedi dalla Sassonia fino in Sicilia, ed aveva descritto il viaggio nel suo celebre diario di viaggio "Passeggiata fino a Siracusa". Una memoria del genere può forse suscitare impazienza nel feticista dell'automobile. Però, Seume era esplicitamente a favore del camminare contro la locomozione su ruota. Affermava che "tutto andrebbe meglio, se le persone camminassero di più". Ed avvertiva: "Nel momento in cui ci sediamo su una carrozza, allo stesso tempo ci allontaniamo di qualche grado dalla nostra umanità originale". Anche nella madrepatria del puro capitalismo e della successiva produzione di massa dell'automobile, negli Stati Uniti d'America, ben presto fece la sua comparsa un rifiuto nei confronti del "progresso" attraverso la mobilità tecnologica. Il professore, topografo e precursore di un modello di vita alternativa, Henry David Thoreau del Massachusetts, aveva incluso la ferrovia nel gruppo dei "mezzi perfezionati per uno scopo non perfezionato" e, come Seume, diceva: "Sono arrivato alla conclusione per cui chi va a piedi va più veloce". Seume e Thoreau erano semplicemente stupidi?
Il feticista dell'automobile tende a rispondere di sì, poiché ha perso la capacità di pensare. Tuttavia, Seume e Thoreau non erano "nemici della tecnica". Si preoccupavano di qualcosa di diverso: nutrivano il sospetto che l'ampliamento e l'accelerazione della mobilità non avrebbe avuto come risultato - come diremmo oggi - un miglioramento della "qualità della vita". Per Thoreau, gli uomini facevano degli sforzi enormi per degli scopi che erano loro alieni, soltanto per poter "guadagnare il denaro per il trasporto". Si riferiva alla relazione fra "lavoro", denaro e consumo tecnologico, che gli uomini del XIX secolo interiorizzavano. Per essere più chiari: il "fine non perfezionato" consiste nel fatto che le conquiste dell'industrializzazione si sviluppavano in una forma sociale che erigeva il denaro a finalità comune a tutte le attività. Il denaro, come sappiamo, è l'anima del capitalismo, e tale anima traspare anche in ogni sua creazione tecnologica. Si tratta, pertanto, di un'inversione dei mezzi e dei fini, attraverso cui, gli uomini, si sottomettono alle loro proprie creature. Il fine in sé della valorizzazione microeconomica del denaro non ha alcun senso. "Lavoro" e occupazione, che da essa derivano, portano - nondimeno senza senso - ad un fine in sé di consumo in massa della tecnologia. Come scimmie ammaestrate, capaci di divertirsi con delle sciocchezze, aprendo e chiudendo continuamente serrature. Così, il modo di produzione dell'economia di mercato porta l'essere umano adulto a situazioni in cui si lascia "impiegare" come un minore sotto tutela, senza mettere in discussione il senso, il contenuto e le conseguenze, e finisce per desiderarlo, trovandolo normale e necessario alla vita. Non sorprende che il consumo delle merci, prodotte in tale forma, finisca per assomigliare alle azioni di quelle scimmie. Attraverso la mobilità, senza alcun senso, e l'accelerazione permanente di tutti i processi di vita, "l'essere, in quanto guadagnatore di denaro", fa di sé la sua propria scimmia. Quello che così si perde è la qualità più importante della vita: la qualità del proprio tempo di vita. Andare a piedi dalla Sassonia alla Sicilia, come fece Seume, è stato un utilizzo estremamente lussuoso del tempo, qualcosa che nessun manager moderno potrebbe permettersi, anche guadagnando milioni l'anno e guidando l'automobile più veloce. Tuttavia, l'eliminazione del fine culturale ed umano, fatta da soli, disonora spaventosamente la qualità del tempo della vita. Non c'è bisogno di idealizzare le condizioni premoderne per capire che "l'abitudine di utilizzare la miglior parte della propria vita per guadagnare denaro" (Thoreau) può portare soltanto all'autodistruzione dell'uomo. Quanto più tempo apparentemente si economizza, tanto meno tempo si possiede e più importante diventa, improvvisamente, il "lavoro" per il "lavoro". Quest'assurdo, che oggi ancora una volta acquisisce speciale importanza nelle discussioni sulla localizzazione e sulla giornata di lavoro, è l'altra faccia della moneta, la disoccupazione che si produce nel medesimo processo. La contraddizione del sistema, cioè, l'irrazionalità dell'economia di mercato, non solo fa sì che alcuni vengano considerati "superflui", mentre allo stesso tempo esige dagli altri "più lavoro", ma porta anche gli stessi lavoratori a quasi auto-consumarsi in una servitù volontaria, in cui la finalità del "lavoro" è il "lavoro" stesso. Per quanto riguarda l'automobile, tutte queste contraddizioni ed incongruenze sociali si trasformano in rottami, in ferro vecchio. E' un fatto storico che soltanto con l'avvento dell'automobile e con la sua crescente produzione in massa, la moderna economia di mercato ha trovato il suo simbolo. Ha trovato anche, occupando tutti gli spazi, la sua forza succhiatrice di vita e di dispendio di tempo, attraverso l'economia del tempo. L'espressione "ammazzare il tempo" è un'invenzione capitalista. In essa si esprime quasi tutto il contenuto della vita di tutti i feticisti dell'automobile, considerando pensatori come Seume e Thoreau dei meri idioti, sebbene essi, nella loro "filosofia critica dell'andare", già alla vigilia della moderna mobilità di massa, avessero previsto il futuro collasso.
Perché la ferrovia venne sconfitta dall'automobile
Quando i signori Daimler e Ben promossero l'apertura decisiva, negli anni 90 dell'800, con l'invenzione del motore a combustione, altri tentativi, col gas e con altri composti, avevano già fallito, tecnicamente. In fondo, l'insistenza di quest'esperienza ha di che sorprenderci. Esisteva già un moderno mezzo di trasporto indipendente dalla trazione animale: la ferrovia, con già alle spalle un secolo di sviluppo, e tecnicamente più matura dell'automobile. Però, seppure la ferrovia fosse già impregnata dello "spirito del capitalismo", dal punto di vista capitalista essa recava ancora la macchia dell'imperfezione. Non in senso tecnologico, ma, in maniera assai più fondamentale, in senso economico e, in una certa maniera, anche spirituale.
In primo luogo, la ferrovia non aveva la capacità di muoversi in tutte le direzioni, come se fosse una particella in uno spazio vuoto, ma, come sappiamo, era prigioniera di rotaie fisse. Ma questo non è solo un problema tecnico, è anche un problema spirituale. La strada di ferro diventa imperfetta solo per una coscienza ridotta alla forma di una particella, "atomo sociale". L'impulso a poter andare "in qualsiasi luogo" (che corrisponde a "nessun luogo"), ossia, di non dipendere da rotaie e da fermate predeterminate, corrisponde ad una mentalità, da parte sua, determinata dall'arbitrio e dal capriccio. Il tipo umano che fa (quasi) tutto per denaro, perfino le cose più assurde, ed i cui interessi sono, pertanto, del tutto senza direzione, non desidera che la sua direzione di viaggio sia prestabilita.
In secondo luogo, la struttura del mezzo di trasporto ferroviario si basa su una collettività involontaria, sia per il semplice fatto di stare insieme ad altre persone durante il viaggio, sia per il carattere aleatorio di un tale incontro. Ma gli esseri umani, caratterizzati dal capitalismo, sono profondamente estranei gli uni agli altri in un senso molto più coercitivo di quello dovuto al semplice fatto che non si conoscono personalmente. Non possono esistere nella coscienza di una relazione comunitaria dentro ad una struttura culturale, poiché la relazione sociale stessa diventa per tutti qualcosa di minaccioso e di esterno, sotto la forma del denaro, che misura tutto tranne che una cosa: protezione. Per questo, gli esseri umani, socializzati in questa maniera fantasmagorica, sono separati come da pareti invisibili di vetro. Karl Marx ha chiamato questo "straniamento",e Jean Paul Sartre ha trovato un'altra formula: "l'inferno sono gli altri". Non c'è altra cosa al mondo che questi individui solitari possono sopportare meno della vicinanza gli uni agli altri. In treno, preferiscono stare seduti da solo in un vagone, esprimendo con sguardi vuoti il vuoto della propria vita, un vuoto da loro stessi prodotto. Così il treno diviene il luogo del malessere. L'individuo solitario preferisce, quindi, viaggiare isolatamente, rinchiuso in un involucro di latta in movimento.
In terzo luogo, infine, la ferrovia, dal punto di vista capitalista, ha una macchia irrecuperabile: quella di essere, necessariamente, anche sotto l'aspetto economico, un "bene pubblico". Si tratta, nella sua forma tecnica, di una macro-aggregazione sociale indivisibile, le cui parti possono funzionare solamente attraverso la mobilitazione di tutte le parti dell'ingranaggio: strade di ferro (cioè le rotaie), mezzi di locomozione (locomotive, vagoni, treni interi) e, finalmente, l'organizzazione del flusso dei trasporti (orari, funzionamento, manutenzione) formano un'unità che solo come tale può essere attivata. Bisognava formare società anonime gigantesche, facendo così un grande passo verso la socializzazione del capitale, per poter avanzare, come per esempio negli Stati Uniti, nel senso di un'occupazione continentale della ferrovia. Nella maggioranza dei paesi, la ferrovia doveva essere, alla fine, un'impresa statale o semi-statale, per la sua richiesta di una grande quantità di capitale. Il carattere sociale e l'alta intensità del capitale della ferrovia fanno, pertanto, della relazione fra produzione e consumo, una relazione fra grandi capitali, in quanto sovrainvestimento e, direttamente, una relazione fra capitale e Stato. Il consumo privato individuale, come ultima istanza del ciclo della valorizzazione capitalista, può proseguire solo col contagocce, sotto forma di domanda di biglietti ed abbonamenti.
Questo è l'opposto dello "spirito del capitalismo" e della sua logica economica. Si viene a creare un fondamentale problema di redditività, in quanto l'intensità del capitale di produzione e di funzionamento della ferrovia non può essere rappresentata come rendita microeconomica conseguente alla vendita di prestazioni di servizi. I biglietti diverrebbero talmente costosi che la grande maggioranza non sarebbe nelle condizioni di poter utilizzare la ferrovia. Per questo, in tutto il mondo, la ferrovia diventa un problema di deficit statale. Una privatizzazione, nei modi rivendicati dagli ideologhi neoliberisti, non sarebbe di alcuna utilità. La ferrovia non diventa redditizia nel suo essere assunta dallo Stato, ma esattamente il contrario: si è dovuta rimuoverla dalle sue origini private e consegnarla alla direzione statale, poiché non è redditizia dentro i principi capitalisti.
La privatizzazione porta allo stesso risultato che ha dato inizio alla penuria fiscale per lo Stato: riduzione massiccia dell'occupazione e disattivazione, in grande stile, di lunghe tratte, in quanto alcune linee ad alta velocità (che avrebbero dovuto fare concorrenza al trasporto aereo) attraversano il territorio esclusivamente per una minoranza con alto potere di acquisto. La ferrovia, in questo modo, non solo perde il suo carattere di trasporto sociale, ma anche il suo carattere di adattamento relativamente buono al paesaggio. Le vie ad alta velocità non adattate al paesaggio simbolizzano la mania astratta del "tutto è fattibile", caratteristica dell'economia di mercato, così come anche la sua anti-estetica distruttrice. Anche così, è impossibile formare una ferrovia sufficientemente redditizia. Secondo quanto riferito dalla rivista tedesca Wirtschaftswoche, la privatizzazione della ferrovia in Giappone sta portando ad una grande catastrofe, e lo stesso potrebbe avvenire in Germania ed in altri paesi. La ferrovia è, a lungo termine, incompatibile con il capitalismo, tanto nel suo aspetto spirituale-intellettuale, quanto nel suo aspetto economico, pur essendo essa stessa una creatura del capitalismo ed un supporto importante per lo sviluppo iniziale del sistema industriale. Tale incompatibilità consente anche di spiegare perché lo "spirito del capitalismo" abbia lavorato tanto insistentemente all'invenzione dell'automobile, indipendente dalle rotaie, e perché alla fine l'automobile si sia imposta globalmente. Inoltre, a differenza del sistema ferroviario, i diversi elementi di funzionamento del sistema automobilistico possono essere sociali ed economicamente separati. La costruzione statale delle autostrade può essere completata per mezzo dell'automobile, che si muove liberamente ed è individualizzata come macchina. La produzione dello stesso mezzo di trasporto perde così il suo carattere di difficile commercializzazione, in quanto è produzione di un super-bene di investimento sociale. Essa è pertanto - a differenza dell'imprenditorialità ferroviaria, di mera prestazione di servizi - capace di integrare il consumo individuale come ultima istanza della valorizzazione del denaro, poiché quello che si vende è il mezzo di trasporto, non il suo funzionamento. In questo modo, può essere sfruttata una gigantesca riserva di espansione del denaro, con carattere di auto-finalità, volta al superamento dei limiti del "ciclo della ferrovia". Allo stesso tempo, si trova così nella forma da dare all'individualità solitaria dell'essere umano, "guadagnatore di denaro", anche un'espressione tecnologica corrispondente. Si alimenta in questa maniera, il suo impulso alla mobilità senza meta e culturalmente sfrenata. La parola automobile, di origine greca e latina, non a caso può essere ridotta ad "auto". Poiché non si tratta di una mera auto-mobilità nel senso tecnico di essere indipendente da animali da tiro e dall'alimentazione manuale per mezzo di caldaie. Al contrario, l'automobile rappresenta lo "auto", il "per sé stesso" meccanico di un tipo umano, che ha sviluppato la sua "libertà individuale" solo per soggiogarla con maggior certezza ad una relazione più oggettivata e materializzata. Così come gli individui vengono valutati solamente, e si auto-valutano, secondo i rendimenti monetari, allo stesso modo la loro individualità viene inghiottita dalle loro stesse creazioni tecnologiche. Gli uomini si riconoscono soltanto dalle loro marche automobilistiche ("quello è un'Opel Manta", "quello è Golf GTI" e "quell'altro è BMW", ecc.). L'automobile ha inghiottito l'anima umana in modo tale che, ogni giorno al mattino, gli individui "liberi" dell'economia di mercato si muovono negli ingorghi infiniti del traffico per andare al loro "lavoro", ciascuno con la sua faccia da drogato, da soli in una scatola mobile e con uno spreco enorme di energia e di tempo.
Henry Ford e la produzione in massa
All'inizio, l'automobile era qualcosa di limitato ad una élite, un giocattolo per l'aristocrazia danarosa. Prodotta in maniera dispendiosa, ed artigianalmente, l'automobile era inaccessibile per l'essere umano medio, così come anticamente lo erano le carrozze ed altri mezzi di trasporto a trazione equina. Nel 1907, in tutta la Germania c'erano solo 16mila automobili registrate, ossia, un'auto ogni 4mila abitanti. Anche nelle grandi città, veder passare un'automobile era qualcosa di eccitante, soprattutto per ragazzini ed adolescenti. Inoltre, tale limitazione poteva apparire per lo "spirito del capitalismo", e per la sua logica economica, come un impedimento che doveva essere superato. Non a caso, l'automobile ha conosciuto la sua prima espansione con il consumo di massa negli Stati Uniti. Le dimensioni del mercato interno, che si estendeva da costa a costa, erano il miglior stimolo perché si passasse ad una produzione in massa. Già allo stadio artigianale della produzione, all'inizio del secolo, gli Stati Uniti superavano l'Europa in termini quantitativi di produzione annuale di automobili. La forte domanda e la possibilità di esplorare nuovi potenziali di mercato avevano dato luogo, nella produzione automobilistica degli Stati Uniti, a nuovi metodi di produzione che avrebbero acquisito carattere esemplare. Nel 1911, l'ingegnere americano Frederick Winslow Taylor (1856-1915) pubblicò la sua opera, "I fondamenti dell'amministrazione scientifica", ed il taylorismo, basato su quest'opera che ebbe fama mondiale, permise la sistematizzazione, il controllo e la meccanizzazione del processo del lavoro umano. Fino ad oggi, l'amministrazione moderna si nutre di tali fondamenti. Soltanto con la nuova scienza dell'organizzazione microeconomica, e della razionalizzazione, la "logica del denaro" ha potuto penetrare fino al nucleo del processo lavorativo. Insieme all'organizzazione rigida dei fornitori e della distribuzione (concessionari) e delle nuove forme di produzione in linea di montaggio, il taylorismo rese possibile un aumento violento della produttività, la quale, dapprima, divenne efficace nella giovane industria automobilistica americana. Fu, soprattutto, l'imprenditore automobilistico Henry Ford ad assimilare sistematicamente i nuovi metodi, sviluppandoli. Fu lui che impose per la prima volta il principio di riduzione permanente dei costi unitari. Un modo per fare questo, fu la standardizzazione e la semplificazione di tutti gli elementi di produzione, il montaggio preciso, dettato dal cronometro, ma soprattutto il nastro trasportatore. Il nastro trasportatore divenne effettivamente il simbolo del lavoro del XX secolo, ed Henry Ford divenne la figura leggendaria di tale epoca. Solamente con la produzione in massa dell'industria automobilistica, si realizzò, su grande scala, la concentrazione industriale dello "esercito del lavoro" prevista da Marx. L'operaio della catena, come una specie di robot umano, sarcasticamente caricaturizzato da Charlie Chaplin nel suo film "Tempi Moderni", veniva considerato, ora come un nuovo eroe, ora come la vittima della trasformazione sociale innescata dall'industria automobilistica. Henry Ford si giustificava attraverso una sorta di "religione del lavoro (industriale)", per mezzo della quale tentava di qualificare come progresso la standardizzazione, non solo nell'industria e nell'attività produttiva, ma anche nella stessa vita. All'inizio, il successo sembrò dargli ragione. I nuovi metodi di produzione, adottati in maniera più consistente nella fabbrica Ford, a Detroit, permisero di rendere economico il prodotto automobile, cosa che permise di scatenare il consumo di massa. Il prezzo unitario si abbassò rapidamente da più di mille dollari a quattrocento dollari. Mentre in Europa di producevano annualmente ancora solo alcune migliaia di unità, la Ford aumentava la produzione e riusciva a vendere, nel 1911, più di 30mila automobili. Nel 1914, si produceva già il fantastico numero di 248mila auto, che vennero tutte vendute. Il famoso modello "T", prodotto in serie ininterrottamente fino al 1927. sperimentò, fino a quell'anno, una produzione totale di 15milioni di vetture. Questo rappresentò un'apertura storica, non solo della produzione tecnologica in massa, ma anche di un modo di vita tecnologico e massificato, nel quale gli individui solitari, spinti dalla compulsione monetaria del "trarre vantaggio", cominciarono a sistemarsi come limatura di ferro su una lavagna magnetica.
L'aggressività maschile, prodotta socialmente, ed il tradizionale dominio maschile della formazione capitalista, portarono anch'essi a delle conseguenze per quanto riguardava la nuova produzione in massa dell'industria automobilistica. L'automobile, in quanto "auto"-espressione della personalità meccanizzata e "strutturalmente maschile", dimostrava simultaneamente forza e capacità d'imposizione. Questa dimensione psicologica emergeva anche in direzione dello stesso sviluppo tecnologico. Non fu solo per ragioni tecniche immanenti che lo sviluppo della "elettromobile", ancora indefinito fino al 1914, venne paralizzato. La maggiore autonomia, ma soprattutto la potenza e la velocità maggiori determinarono la vittoria del motore a combustione, aggressivo e nocivo per l'ambiente. "Il tempo è denaro" era la parola d'ordine. Motori, sempre più potenti, e la "ubriacatura da velocità", sempre maggiore, agitarono la capacità di imposizione individuale e la disposizione alla concorrenza.
Mobilitazione totale
Come non poteva non accadere, l'industria automobilistica, con il suo potenziale meccanico di aggressione, non solo trovò un suo utilizzo militarista, ma si militarizzò essa stessa. La prima guerra mondiale, nel 1914, vide ancora i patrioti, barbudos del XIX secolo, andare in guerra cantando, a piedi o a cavallo. Alla fine della guerra, quattro anni dopo, carri auto-mobilizzati rivoltavano la terra coi loro rumorosi cingoli. I soldati tornavano a casa come se fossero lavoratori industriali della guerra; cinici ed i volti pietrificati. L'industria automobilistica si era ottimamente sviluppata grazie ai massacri in massa svoltisi ai due lati del fronte. Esplorava nuovi campi di azione. Oltre ai camion ed ai carri armati, si costruivano cabine di comando e motori per l'aviazione. Imprese come la Mercedes, la Büssing e l'Opel, raggiunsero nuove dimensioni. I maggiori produttori di automobili, nei primi anni di guerra, duplicarono i loro dividendi.
Con la prima guerra mondiale ebbe inizio. pertanto, uno sviluppo in cui la mattanza statale si scientifizzava, si meccanizzava e, soprattutto, si auto-mobilizzava. L'enfasi della potenza di armamento si trasferiva poco a poco dalla vecchia industria pesante all'industria automobilistica. La seconda guerra mondiale, una guerra mobilizzata e pienamente industrializzata, diede continuità ad una tale tendenza, che si mantiene a tutt'oggi. Così, non è stato casuale, bensì dovuto alla logica interna di una lunga tradizione, il fatto che le imprese automobilistiche ancora oggi aggiornano le loro attività di distruzione militarista. Ancora una volta, l'industria automobilistica entra con il suo capitale nella produzione degli armamenti. Nel 1985, la General Motors ha comprato fabbriche di armamenti, per un valore di 5miliardi di dollari, che producono razzi, elicotteri e satelliti militari. Ancora nel 1985, sotto la direzione di Edzart Reuter, la Daimler-Benz ha comprato una catena di fabbriche militari, ed oggi è la maggior impresa di armamento dell'Europa Centrale. Quest'industria è letteralmente un un'industria della morte, com'è comprovato da tutta la sua traiettoria storica. Il legame aggressivo fra lavoro di massa, consumo di massa e distruzione di massa, ha dato inizio ad un processo che ha superato di gran lunga la produzione bellica. Lo scrittore Ernst Jünger, autore di una delle testimonianze più polemiche del XX secolo, nel suo primo libro, "Nelle tempeste d'acciaio" (In Stahlgewittern), ha glorificato la "esperienza" della battaglia dell'equipaggiamento militare industrializzato. Più tardi, ha tentato di giustificare la sua propria fascinazione per la mega-macchina della guerra totale. Con il concetto di "mobilitazione totale" (1934) che ha fornito una parola-chiave ai nazionalsocialisti, egli non ha fatto solo un'allusione all'immagine dell'aspetto esteriore in senso militare. Con tale concetto, che ha segnato un'epoca, ha tentato di sviluppare l'idea di un'automatizzazione cieca e di una dinamica totale della società automobilistica del lavoro. Jünger diceva che la guerra mondiale faceva parte delle doglie del parto della nascita di questa società. Accanto agli eserciti del "lavoro", dice Jünger, appaiono i "nuovi eserciti del trasporto" ed una "integrazione assoluta dell'energia potenziale" della società”.
Quindi, sarebbe un'interpretazione erronea, ed anche un'illusione, limitare il concetto di "Mobilitazione Totale" al Nazional-Socialismo ed alla Seconda Guerra Mondiale. La produzione di automobili, apparentemente così banale, nasce come il cuore meccanico robotico di un processo storico che perdura fino ad oggi e che, comunque, è penetrato nell'auto-coscienza delle masse e di ciascun individuo. In Europa, le due guerre mondiali hanno promosso le condizioni favorevoli alla diffusione del taylorismo dell'amministrazione imprenditoriale e scientifica, come era avvenuto negli Stati Uniti, grazie alla dimensione quasi inesauribile del suo mercato interno. La Repubblica Federale Tedesca del dopoguerra, con il suo carattere suppostamente civile, non fermò lo scatenamento distruttivo della società del lavoro totale, ma, al contrario, ne fece lo stato normale quotidiano, democratico. L'automobile continuò ad essere la portatrice di questa mobilitazione totale ed eccessiva.
Il terribile consenso a questo processo totalitario unifica i campi apparentemente ostili della storia della modernizzazione automobilistica. Non è a caso che Lenin e Stalin si entusiasmarono per il taylorismo e per i metodi di produzione di Henry Ford. Il comunismo sovietico del lavoro, burocratico-statale, anche se esteriormente così distante dall'individualizzazione occidentale, ripeteva, solamente sotto altre condizioni, i suoi motivi centrali. Solo che non andava oltre una sorta di capitalismo ferroviario siberiano. Anche nelle sue ramificazioni occidentali, esso arrivava a sviluppare la produzione automobilistica individualizzante in una forma degenerata, il che non gli impediva di implementare la stessa logica e gli stessi desideri meccanizzati nella sua popolazione. Anch'esso prevedeva una "mobilitazione totale" irrazionale sia in guerra che in pace. Non riuscì mai a distanziarsi decisamente dallo "spirito del capitalismo" e dalla "forma" del lavoratore astratto evocata da Ernst Jünger.
Questo valeva ancora di più per il Nazional-Socialismo ed anche per il Fascismo italiano. Questi regimi, peggio ancora, erano, per molti versi, vere e proprie macchine della modernizzazione. L'installazione dell'industria automobilistica in tali regimi, cosciente e forzata statalmente, costituiva il centro di attacco dei cambiamenti sociali. Così come i pianificatori statali russi, anche i nazional-socialisti guardavano con cupidigia ai successi di Henry Ford. Ancor prima del comunista italiano Antonio Gramsci, l'economista tedesco Friedrich von Gottl-Ottlilienfeld, che si trasformerà poi nel papa dell'economia nazionale del "Terzo Reich", creò il concetto di "fordismo" per descrivere la relazione fra "industria e ragione tecnica" (1926). Com'è noto, l'odierna maggior impresa automobilistica in Europa, la Volkswagen, venne totalmente creata dal Nazional-Socialismo, così come le rispettive creazioni delle "Autobahn" (autostrade) e "BlitzKrieg" (guerra lampo), espressioni che si sono integrate, nella loro forma tedesca, in molte lingue. Queste relazioni indicano una certa identità interna fra capitalismo fordista degli Stati Uniti, nazionalsocialismo tedesco ed economia di Stato sovietica. E' vero che quest'identità occulta si impose in ambienti ed in costellazioni storicamente differenti.
Tuttavia, essa ha permesso che pensatori politicamente così distanti, come Gramsci e Gottl-Ottlilienfeld, potessero riferirsi al fordismo nella medesima maniera positiva. Non si trattava, in nessun modo, di mera identità di un grado di sviluppo tecnologico, totalmente slegata dall'essenza delle differenti società. Al contrario, venne a crearsi, nonostante tutte le opposizioni esterne, una forma di relazione sociale sostanzialmente identica, ed un'immagine comune dell'uomo meccanico, "plasmato dall'automobile". Quest'immagine dell'uomo oggi (ed ora in tutti i paesi della terra) è entrata fin dentro le nostre viscere.
Sorprendentemente, tale identità occulta traspare anche in un'altra parte del processo di produzione ideologica. La "religione del lavoro" industriale, difesa, nelle sue modalità specifiche, tanto da Lenin e da Stalin, quanto da Henry Ford e da Adolf Hitler, non vuole riconoscere la sua subordinazione oggettiva alla logica del denaro. Al contrario, il "lavoro industriale onesto" dovrebbe comandare sul denaro. In tutte le società in uno stadio di sviluppo fordista, ci sono state delle tendenze che hanno attribuito il dominio permanente del denaro, incompatibile con la pretesa del "lavoro onesto", ad un'immagine di nemico esterno e fantastico: il "capitale finanziario ebraico". L'arciAmericano capitalista Henry Ford, figura simbolo dell'ascesa degli Stati Uniti, mostra un vero e proprio odio per gli ebrei. Il suo libro, "L'ebreo internazionale", venne ampiamente accolto nella Germania nazista. Dall'altra parte, solo ora comincia ad essere scritta la storia della persecuzione stalinista nei confronti degli ebrei. L'antisemitismo è la storia segreta del capitalismo automobilistico e della sua mobilitazione totale del lavoro industriale e dell'amministrazione scientifica. In Germania, questa storia segreta sfociò in un aperto regime di sterminio. Auschwitz era, in questo senso, un fenomeno profondamente fordista, e le sue terribili forme di organizzazione "scientifica", un ritratto fedele dell'industria automobilistica.
Il modo di vita fordista
La situazione del lavoratore nel processo di produzione fordista, quasi quella di un robot, fin dall'inizio provocò delle critiche. La razionalizzazione, che anche oggi va continuamente avanti a tappe, si dimostra una dittatura duratura, capace di estorcere il massimo dal produttore, spremendolo fino all'ultima goccia. Ford si giustificava con l'argomento per cui solo così era possibile pagare alti salari e diminuire il prezzo del prodotto per il mercato di massa. Ovviamente, solo gli operai dell'industria automobilistica non potevano comprare automobili prodotte in massa. intorno al nucleo dell'industria automobilistica si sviluppò rapidamente tutto un anello magico di industrie, le quali cominciarono ad imitarne l'esempio. Si formarono, così, le industrie di elettrodomestici e di apparecchi elettronici, così come le industrie degli alimenti, con catene di grandi magazzini e supermercati. Non va dimenticato che anche il sistema di credito al consumatore ed il pagamento a rate vennero creati negli Stati Uniti. Inoltre, l'agricoltura venne ristrutturata, dappertutto, secondo i modelli fordisti. Il modello di base consisteva nel fatto che i nuovi produttori in massa diventavano, allo stesso tempo, consumatori in massa, sotto la legge generale e comune della valorizzazione del denaro. Il denaro capitalizzato si trasformava, solo in questo modo, in quella grande ruota di impulso sociale che oggi caratterizza, come se fosse naturale, l'immagine della nostra società. In altre parole: la subordinazione alla dittatura fordista del tempo e del lavoro venne "ricompensata" dal consumo in massa delle automobili, frigoriferi, lavatrici, radio, TV, ecc.. Questo ingranaggio di produzione, rendita monetaria, vendita e consumo, venne denominata "sistematizzazione fordista" (Elmar Altvater). Ma, con questo, avvennero modificazioni per tutto il modo di vita che non erano state immaginate. Fino alla prima guerra mondiale, il capitalismo non si estendeva ancora a tutta la vita umana, appropriandosene. Ovunque, il capitalismo era ancora permeato e circondato da elementi della vecchia economia domestica (orti, officine, lavanderie, ecc.). Incluso il fatto che la maggioranza dei lavoratori industriali, soprattutto le donne, producevano ancora molte
cose di necessità quotidiana. Tuttavia, proprio queste attività venivano considerate sempre più inferiori, per il fatto che non rendevano denaro. Anche così, esisteva una certa relazione reciproca tra il "settore tradizionale" dell'economia domestica ed il "settore dell'economia di mercato" del capitalismo, come ha dimostrato, in una sua importante ricerca, il sociologo di Monaco Burkart Lutz. Partendo dall'industria automobilistica, questa relazione cominciava ora a svilupparsi. Prima, negli Stati Uniti, fra le due guerre mondiali, e, posteriormente, anche in Europa, la vita si organizzava in forma industriale, coprendo tutto il territorio, guidata dal calcolo della redditività microeconomica, e dipendente dai grandi spazi anonimi del mercato. Anche questo era un aspetto della mobilitazione totale.
Aumentava quindi l'utilità di molti beni e, inoltre, si integravano al consumo necessità del tutto nuove. Questo caratterizzava la grande forza d'attrazione del nuovo modo di lavoro e di vita. Ma i vantaggi costavano molto cari. Venivano pagati con la perdita totale del controllo, da parte degli uomini, sulle loro proprie vite, abbandonati ai poteri anonimi ed alle norme oggettive del mercato totale. Come un "tossico" paga il "viaggio" che gli dà la droga con la servitù impostagli dalla necessità di procurarsi denaro, così i piaceri meccanici del consumo dei lavoratori fordisti, avevano bisogno di essere pagati con la servitù sotto forma di una totale dipendenza dallo "impiego". Anche il sollievo relativo al lavoro domestico per mezzo della meccanizzazione, sotto la coercizione del denaro, era un'arma a doppio taglio. Le donne potevano, in questa maniera, sottomettersi anche al lavoro salariato industriale. Molti beni del cosiddetto consumo di livello elevato anche oggi possono essere ottenuti dalle masse per mezzo di un sistema di "doppio reddito". Ma arrivando così, invece di ridurre il carico di lavoro delle donne, ad un doppio carico, poiché le donne si trovano integrate sia nel lavoro domestico che in quello salariato. Gli uomini non pensavano nemmeno di accettare una distribuzione del lavoro più equa e così erano loro a trarre i principali vantaggi dal modo di vita fordista. Anche oggi, questo non è cambiato molto. Questo modo di vita della dipendenza totale dal reddito monetario ha portato, alla fine, ad uno straniamento fra marito e moglie, fra padre e figli. Le vecchie relazioni familiari, assai spesso rudi, non venivano sostituite da una relazione umana migliorata.
Invece, l'occupazione crescente, quasi autistica, degli "individui isolati" rispetto a loro stessi, completava, con costosi giocattoli tecnologici, quell'individuo solitario, il quale, come atomo di una massa senza volto, si era già formato da tempo alla logica interna dello sviluppo capitalista.
La miseria della società automobilistica del tempo libero
Il consumo tecnologico di massa, apparentemente così magnifico, è stato fin dall'inizio nient'altro che la mancanza di equilibrio della dittatura innaturale del tempo di "lavoro". Non solo non è riuscito a trovare un equilibrio, ma, al contrario, ha aumentato ulteriormente la mutua alienazione degli uomini, i quali si sanno relazionare gli uni con gli altri. In Germania era stato lo stesso nazional-socialismo assassino che, insieme ad un programma di modernizzazione fordista del "lavoro", aveva dato inizio, simultaneamente, ad un programma del tempo libero per tutta la società, come parte della sua campagna di mobilitazione totale: “Kraft durch Freude” (KdF) (“Forza attraverso la gioia”). La Volkswagen (auto del popolo) faceva parte di questo programma totale. La società del tempo libero e la società del lavoro, due facce della stessa moneta, preparavano insieme il cammino. Ed è ovvio che l'automobile divenne il giocattolo numero uno del tempo libero.
E' vero che si in questa maniera si ampliò l'orizzonte degli uomini fordisti. La massificazione di una mobilità, che anticamente era il privilegio di pochi ricchi, rese possibile, per la prima volta, che dei semplici salariati potessero viaggiare all'estero, al sud, al mare. Ma, poiché queste conquiste non potevano essere culturalmente decenti, dal momento che erano permeate dal fetore pestifero della valorizzazione coercitiva del denaro, non riuscirono a portare a nessun avvicinamento interno all'altro ed a nessuna esperienza naturale. L'ondata automobilistica del tempo libero e delle ferie vomita, da allora, uomini omogeneizzati fordisticamente, al ritmo di una macchina settimanale ed annuale; sia per una natura, adattata in funzione di un tempo libero meccanizzato e subordinata all'economia, sia per i ghetti da turista, che ben presto cominciarono ad essere terribilmente simili a luoghi di lavoro e a dormitori fordisti. Nonostante tutta questa "individualità", sempre invocata nel mondo della pubblicità, gli uomini automobilistici, dietro i loro parabrezza, riuscirono a fare solo esperienze identiche e standardizzate. Sia le vacanze stereotipate nel Mediterraneo, che le gite domenicali nel "verde", ora grigio, non hanno niente a che vedere con le esperienze individuali. Si viene a creare, sempre più, solo uno pseudo-evento normalizzato e confezionato con elementi culturali prefabbricati. "Individuale" non è il contenuto dell'esperienza, ma soltanto la forma tecnica del trasporto, i quale, a sua volta, distrugge i monumenti artistici e la natura dei paesaggi turistici. Una vecchia pubblicità della Ford sembra oggi una beffa totale: "Tutti quelli che guadagnano un salario ragionevole, hanno la possibilità di comprare un'automobile per godere con la propria famiglia il loro svago, puro e divino, all'aperto" (1923). Ma la cosa peggiore è che nel tempo libero fordista, in fondo, il "lavoro" continua con altri mezzi; più o meno come in un'esperienza terribile, che si ripete infinitamente in un incubo. Ancora una volta, è stato Ernst Jünger a rappresentare questo problema nel suo modo straordinario, metà conservatore-critico, metà affascinante. Egli ha constatato che gli uomini fordisti, anche nel tempo libero, non si liberano "dal cerchio magico degli automi" e dal "ritmo degli orologi", essi "rimangono in uno spazio, determinato dalle due immagini, della ruota e del nastro trasportatore". Poiché anche le autostrade o i film sono "nastri trasportatori", ed il tempo libero continua, come il "lavoro", ad esser parte o segmento "di un gigantesco movimento circolare" (Il libro dell'orologio a polvere, 1954, Milano, Adelphi 1994). La mobilitazione totale si impone anche, pertanto, in uno spazio solo apparentemente "libero" e personale.
Il lavoratore fordista, in quanto uomo automobilistico, viene messo in movimento anche fuori dalla propria relazione di compulsione, Il ritmo della macchina del "guadagnar denaro" continua come impulso interiorizzato ed astratto in tutti gli ambiti della vita. La cosiddetta ricreazione consuma la vita tanto quanto lo fa il "lavoro".
La terza guerra mondiale sulle strade
L'automobile consuma, a sua volta, il consumatore. Questo non va inteso in maniera figurata, ma letteralmente. Già Ernst Jünger si era espresso cinicamente a proposito del mortale macchinario automobilistico della prima guerra mondiale, dicendo che sui campi di battaglia "un consumo sanguinoso aveva assunto il ruolo di consumatore (!)". L'inversione capitalista dei mezzi e del fine, del soggetto e dell'oggetto, appare qui come un'inversione del consumatore e del prodotto: si consuma l'uomo stesso. Dapprima attraverso il "lavoro", poi con l'automobile. Non c'è nessuna novità nel fatto che questo "consumo sanguinoso" debba continuare in tempo di pace e che in questo trovi i suoi punti culminanti. Fino ad oggi sono stati assassinati, in tutto il mondo, in incidenti automobilistici, 17milioni di persone, ed un numero molto più alto è stato ferito e mutilato. Ogni anno, tutti i paesi raggiungono un numero di morti e mutilati per incidenti stradali, che si avvicina al numero di caduti delle maggiori guerre del XIX secolo. Già, durante la guerra del Vietnam, ci sono stati più morti causati da incidenti automobilisti negli Stati Uniti che vittime di guerra in Vietnam. Durante la Guerra del Golfo, le forze armate statunitensi hanno subito, nei deserti dell'Arabia Saudita, più perdite in incidenti stradali fra i loro stessi veicoli, che a causa di intervento bellico del nemico.
Non si riesce ad immaginare la città senza auto, e neppure senza sedie a rotelle. E la maggioranza delle persone condannate alla sedia a rotelle sono vittime di incidenti stradali. Pertanto, non è affatto un'esagerazione dare alla produzione ed al consumo automobilistico di "Terza guerra mondiale non dichiarata" (Heathcoate Williams, 1992). Le situazioni apocalittiche della festa settimanale di mattanza stradale, così come Jean-Luc Godard le ha evocate nel suo angosciante film "Weekend" (1968), sono diventate realtà. L'artista della grande mattanza, Ernst Jünger, che ha estetizzato la battaglia degli ordigni della prima guerra mondiale, si sorprende per il fatto che le persone accettino, "con una certa naturalezza", l'enorme quantità di vittime della strada. Sospetta che le vittime appaiano "necessarie" perché "sono adeguate al nostro spazio, cioè, allo spazio del lavoro" ( "Über den Schmerz" - Sul dolore- in Foglie e pietre, Milano, Adelphi 1994). Questo cinismo è già quasi un'autogiustificazione. Dov'è la protesta di tutti quegli umanisti liberali e socialisti di sinistra - che abitualmente commemorano le loro giornate contro la guerra - contro il programma sistematico delle vittime fatali della produzione automobilistica fordista? I partecipanti ai movimenti pacifisti non stanno affatto moralmente al di sopra dell'autore di "Tempeste di Acciaio", dal momento che tutti loro sono anche meri conduttori di automobili, cioè, assassini potenziali "per errore". Inoltre, sono preferibilmente assassini di bambini, poiché i bambini piccoli, per loro natura i meno adatti alla "disciplina del traffico", appartengono al gruppo di vittime più frequenti dell'automobile. La sanguinosa "tempesta della lastra di ferro" nelle strade non è mai finita. E' la normalità quotidiana automobilistica della nostra vita attuale sprovvista di coscienza. Una società, in cui il tempo libero è sempre "lavoro", e nella quale la pace significa sempre guerra, una società che nonostante il "consumo sanguinoso" di vite umane e di tempo di vita, viene intesa come "società civile del benessere", una simile società non ha più bisogno di nessun "Big Brother" per fare della neolingua orwelliana il suo idioma quotidiano.
Chiudere il rubinetto
Analizzando il capitalismo fordista secondo il suo contenuto materiale, constatiamo che esso è un sistema di combustione di materiali di energia fossile. Nella forma di tali materiali è stata immagazzinata, sulla terra, nel corso di centinaia di milioni di anni, energia solare. Diversamente dalle civiltà agrarie, che si accontentavano del fuoco di legna, il modo di produzione capitalista ricorre a materiali fossili di combustione come fonte di energia più importante. Il problema non è il cambiamento della base energetica in sé, ma, innanzitutto, l'enorme accelerazione e l'aumento eccessivo del consumo, il che corrisponde alla mancanza di moderazione della legge di valorizzazione del denaro. Anche sotto quest'aspetto, l'industria automobilistica sta di nuovo al centro, perché soltanto il motore a combustione, e la "mobilitazione totale" e la "sistematizzazione fordista", che su esso si basano, scaldano il fuoco infernale capitalista e mantengono accesa la sua fiamma. L'industria automobilistica e l'uso dell'automobile in massa sono così diventate la condizione fondamentale per la continuazione dell'esistenza del capitalismo. Per questo, devono anche essere "protetti" i "campi strategici di petrolio" (soprattutto nel Vicino Oriente) per mezzo di minacce permanenti di violenza e di sanguinosi interventi militari. Ovviamente, e di nuovo, attraverso il consumo gigantesco di energia fossile sotto forma di portaerei, aerei da guerra, missili, ecc.. Di fatto, col consenso di molti lavoratori fordisti d'Occidente che, da tempo, hanno venduto la loro anima alla macchina di combustione globale e che preferirebbero che venissero uccisi tutti gli aravi, piuttosto che mettere in discussione, anche solo per un secondo, il loro ridicolo stile di vita.
Tuttavia, viene così anche tracciato, con mortale sicurezza, un primo limite della società del lavoro e dell'automobile. Dal momento che le riserve di materiale fossile sono assolutamente limitate. Non possono essere state pietrificate così tante piante e così tanti animali, nella preistoria biologica e geologica, sufficienti a mantenere il capitalismo fordista, contando a partire da oggi, per più di un mezzo secolo. Invece, esso ha realizzato uno spettacolo pirotecnico tale che l'energia solare accumulata in milioni di anni è esplosa tutta in un sol colpo. Un lavoro ben fatto. Potremmo rotolarci dalle risate.
Ma, le riserve dilapidate dalla follia infantile di questo modo di produzione non saranno più a disposizione per tutta l'umanità futura, né per obiettivi più intelligenti di quello dell'utilizzo delle automobili. Già all'inizio della decade del 1970, vennero fatti calcoli relativamente precisi, informando che le riserve globali di petrolio si sarebbero esaurite in poche decadi (Dennis Meadows, "I limiti della crescita", 1972). Il materiale si sta esaurendo. Le restrizioni comuni, proposte contro questo, non convincono. Anche se si scoprono ancora nuovi giacimenti di petrolio, essi sono sempre più piccoli e di qualità inferiore. Cioè, la mineralizzazione del petrolio costa sempre più cara. E' impossibile spendere proficuamente così tanto "lavoro" per poter equilibrare, da un lato, le spese estremamente crescenti di un futuro sfruttamento delle fonti di energia fossile e, dall'altra parte, la quantità sollecitata dall'attuale consumo di massa. E quanto più nazioni entrano nel ciclo fordista (per esempio, la Cina ed il Sudest asiatico), tanto più rapidamente si esauriscono le risorse.
Inoltre, non sono in vista altre fonti di energia come sostituto. L'energia nucleare non solo trascina problemi insolubili di produzione e di smaltimento delle scorie nucleari. Essa, inoltre, è oltremodo cara e troppo capital-intensiva (anche più della ferrovia) per poter essere individualizzata nell'economia di mercato. Un reattore nucleare sotto il cofano è impensabile. Il grado di efficienza dell'energia solare diretta, sul lungo periodo, è insufficiente a mantenere il funzionamento della macchina totale capitalista. Essa è, secondo la sua natura, una "energia lenta", così come altre fonti di energia (dipendenti dalla topografia), come il vento e l'energia idraulica. E' quindi un errore credere che la logica economica del capitalismo sia minimamente compatibile con un'altra energia basica, che non sia la materia fossile di combustione. Il fordismo, col motore a combustione e l'automobile come cuore, con jet e razzi come organi di ampliamento, è realmente la forma definitiva, ed in sé, del capitalismo. Quanto maggiore è il successo dell'economia totale della combustione, tanto più velocemente ci avviciniamo alla chiusura dei rubinetti dell'energia.
La società automobilistica soffoca
Potrebbe accadere, tuttavia, che il modo di produzione e di vita della "mobilitazione totale" finisca prima. Gli "effetti secondari indesiderati" della produzione industriale fordista tracciano con ferrea oggettività un secondo limite. Se il critico Thoreau, nel XIX secolo, aveva già messo in guardia a proposito di un "livellamento del mondo", a fronte della costruzione della ferrovia, oggi ci troviamo in uno stato di impermeabilizzazione del paesaggio, che difficilmente potrà essere aumentato. Anche così, l'infrastruttura del trasporto sta esplodendo. L'alta marea della lastre di ferro cresce incessantemente. Secondo una previsione della Shell tedesca, di qui alla fine del millennio, nel mondo, dovrebbero circolare più di cinquecento milioni di automobili. Secondo uno studio del Ministero dell'Ambiente, il numero di automobili nella Germania Orientale dovrebbe più che raddoppiarsi. In Germania, nel suo intero, il numero di autovetture registrate salirà a 46 milioni (senza parlare dei camion, ecc.). La "mobilitazione totale" ci porta verso l'assurdo di un "ingorgo totale". L'automobile diventa una "auto-statica".
Tuttavia, non solo il traffico, ma anche gli uomini e la natura, come sappiamo, soffocano. Distruzione delle foreste, buco dell'ozono, catastrofi dovuti ad inondazioni o alla siccità, distruzione del clima o nuove malattie: il processo crescente di distruzione ecologica è, senza dubbio, un risultato dell'economia fordista della combustione e, principalmente, dell'automobile. Uno studio dell'Istituto di Medicina per l'Igiene Ambientale di Düsseldorf e dell'Istituto di Igiene e di Medicina del Lavoro di Aachen, ha scoperto che gli alunni del primo anno delle elementari, nei centri di agglomerazione urbana, hanno nel sangue un'alta concentrazione di benzene e soffrono di deficienza delle funzioni polmonari e di elevata propensione allergica. Le cause sono i gas di scarico delle auto. Una ricerca di Greenpeace ha mostrato che nel traffico le sostanze che provocano il cancro superano tutti i limiti. Secondo le misurazioni effettuate "nelle narici dei bambini", l'inquinamento è maggiore a bassa altezza. Ma gli imprenditori fordisti non hanno la minima pietà neppure per i propri figli. Fanno sempre riferimento alle "necessità" economiche.
E' quasi un conforto sapere che i signori della creazione capitalista vengono colpiti dagli effetti della loro orgia di combustione in un punto molto delicato. Il sessuologo francese Xavier Boquet suppone che solamente a causa dello stress da traffico, la metà di tutti gli abitanti maschi di Parigi soffre di impotenza temporanea. Questo non è sufficiente. Secondo ricerche recenti, i residui nell'acqua di alcuni prodotti chimici, derivanti, fra le altre cose, dalla produzione di plastica, creano composti, simili all'ormone sessuale estrogeno femminile, e che si legano anche ai corrispondenti recettori nel corpo umano. La conseguenza che è tali sostanze provocano gli stessi processi biochimici degli estrogeni naturali. Nel sangue degli uomini, riducono il livello dell'ormone sessuale, il testosterone. Si parla di "pene minuscoli". Ed il medico danese Niel Skakkebaek ha scoperto che la quantità di spermatozoi, dal 1938, si è molto ridotta, mentre nello stesso periodo si sono triplicati i casi di cancro alla prostata. L'uomo, capitalisticamente socializzato, può cominciare a prepararsi perché, in futuro, non solo i suoi cento o duecento cavalli di aggressività meccanica rimarranno bloccati nello "ingorgo totale", mentre egli rimarrà seduto, sessualmente deformato, al volante della sua potenza: per così dire, fordisticamente castrato.
La crisi dell'economia mondiale fordista
Il terzo limite è stato tracciato dalla grande crisi sociale ed economica del capitalismo della combustione che, fino a pochi anni fa, nessuno poteva immaginare. Ma, ora, il sistema dell'amministrazione scientifica delle imprese porta, anche economicamente, all'assurdo. Questo poteva essere già previsto da qualche tempo. La razionalizzazione ha adattato, fin dai memorabili inizi del 1911/1914, nelle fabbriche di Ford a Detroit, innanzitutto, la forza lavoro umana, "anche all'interno della sua stessa attività", agli imperativi dittatoriali del tempo, mentre ampliava il mercato per mezzo dell'abbattimento del prezzo dei prodotti. Di modo che c'era bisogno di sempre più forza lavoro su grande scala. Soltanto in questa forma poteva avvenire la sistematizzazione fordista.
Le nuove ondate di razionalizzazione, dall'inizio del decennio del 1980, per così dire, ha "de-razionalizzato" in massa la forza lavoro umana. La microelettronica, come si sa, è la base tecnologica di questo processo. Il corso del lavoro umano, già adattato al ritmo della macchina, ora può essere sostituito dal comando tecnico e dalla robotica. Nell'industria automobilistica, socialmente in una posizione centrale, troviamo questo processo in forma più avanzata. Milioni di posti di lavoro sono stati "de-razionalizzati" ed il processo sembra non avere ancora fine. Accanto alla "auto", prodotto fordista (o automobile), abbiamo lo "auto", l'uomo di latta (o automa), il cui cervello è formato soltanto da circuiti elettronici.
I "colleghi robot" possono costruire le vetture in un modo ancora più efficiente, producendo ancora più in massa. Però, una cosa essi non potranno mai fare nella loro vita di acciaio e di lamiera: comprare automobili. A questo punto, si rompe la "sistematizzazione fordista", quest'ingranaggio della produzione in massa, questo potere di comprare in massa, successo di mercato e consumo di massa, che Henry Ford evocava per giustificarsi. Questo modo economico si dimostra ora, anche economicamente, come illusorio: storicamente di breve durata e capace di riprodursi solo per alcuni decenni. Il cobra della razionalizzazione ingoia la sua stessa coda.
Questa contraddizione economica insolubile diventa sempre più acuta a fronte dell'espansione globale e della generalizzazione del capitalismo fordista. Questo processo non si apre soprattutto verso i nuovi consumatori, ma, al contrario, per i nuovi concorrenti. La produzione automobilistica in Giappone, nella Corea del Sud e, più recentemente, in Cina, pesa ora in maniera complementare sul mercato mondiale, che si presenta di già abbastanza teso. I "nuovi arrivati" asiatici, fin dall'inizio, non riescono a creare, nei loro mercati interni, un sufficiente potere d'acquisto per uno sviluppo razionalmente equilibrato. A causa della combinazione di bassi salari nella prefabbricazione e di alta tecnologia nel montaggio finale, essi dipendono dalle offensive unilaterali dell'esportazione verso le vecchie regioni centrali fordiste dell'Occidente. La concorrenza diventa così una lotta per il cibo, al buio.
Le industrie automobilistiche occidentali, a loro volta, reagiscono alla crisi abbassando la pressione dei costi, per mezzo di altri licenziamenti in massa, riduzioni di salari ed aumentando la pressione dei prezzi per i loro fornitori. Questi, a loro volta, sono costretti a razionalizzare, o vengono spinti al fallimento. Secondo ricerche realizzate dalla società di consulenza Price Waterhouse, la proiezione è che, solo nella Repubblica Federale Tedesca, di tremila imprese ne sopravvivranno solo cinquecento. Questo sviluppo porta, allo stesso tempo, ad una concentrazione di capitale tra gli stessi produttori di automobili. Le maggiori imprese comprano i concorrenti falliti, i quali soccombono alla concorrenza. In questo modo, la Volkswagen ha ingoiato la Seat (spagnola) e la Skoda (ceca) e nel frattempo sta fabbricando le sua auto a Shangai (Repubblica Popolare Cinese). La Mercedes-Benz produci, fra gli altri luoghi, a Vittoria (Spagna), e a partire dal 1977 in Alabama (Stati Uniti). La BMW ha comprato nel gennaio del 1994, sorprendentemente, ad un prezzo di più di 2 miliardi di marchi, la tradizionale impresa britannica Rover. Con una tale concentrazione, sono state create sovra-capacità gigantesche, sempre seguendo la parola d'ordine: il fallimento è per gli altri!
La conseguenza di tutto questo è di nuovo la razionalizzazione e il licenziamento (come è recentemente avvenuto nel caso della Seat). Si tratta, pertanto, di una spirale di crisi che si auto-rinforza. Razionalizzazione, competizione, concentrazione di capitale distruggono il potere sociale d'acquisto, portando così ad una nuova razionalizzazione ecc., ecc.. In nessun luogo è in vista un nuovo sviluppo, che potrebbe con un tocco di magia far apparire la ciecamente sperata "prosperità". Ma come? Un ritorno alla "sistematizzazione fordista" non è più possibile. Si tira poco a poco la coperta di almeno quattro milioni di "posti di lavoro", che, solo nella Repubblica Federale Tedesca, sono in totale dipendenza dell'automobile. Si riuniscono più di tre, quattro milioni di posti di lavoro indirettamente legati all'automobile, per non parlare delle rimanenti industrie del capitalismo della combustione. Non si tratta più di un "buco della congiuntura", ma qui, nel caos di crisi, tutto un modo di vita è in fase terminale.
A tutto gas verso l'abisso
Pur se i limiti oggettivi sono ormai evidenti per quasi tutti, la maggioranza fordista conserva la sua parola d'ordine: "a tutto gas continuando nello stesso modo". La brutalità della volontà di continuare si manifesta attraverso fenomeni diversi. Secondo quanto scrive il bollettino informativo del “VDI-Nachrichten”, la stragrande maggioranza della popolazione desidera "il proseguimento di costruzione di strade", fino ad arrivare alla "autostrada ad otto corsie". Qualsiasi limitazione del trasporto, anche in forma parziale, provoca proteste adirate da parte di un massa di automobilisti imbecilli. Le limitazioni, in fondo assolutamente inconsistenti, del traffico nei centri della città, provocano la resistenza arroccata del commercio al dettaglio, che teme la riduzione delle vendite, nel momento in cui i feticisti dell'automobile non possono più dirigere le loro vetture fino alla porta dei negozi. E secondo una ricerca dell'Istituto del Tempo Libero, molti dei motoristi tedeschi entrano in una sorta di delirio sibaritico quando pensano nel caos del traffico. L'imbottigliamento, soprattutto quel genere di ingorgo estremo che comporta il pernottamento in macchina con il cibo servito dalla polizia o dalla Croce Rossa, viene vissuto sempre più con lascivia sensazionalistica. Sembra che la vita capitalistica normale sia diventata così povera di contenuto e talmente miserabile, che perfino un imbottigliamento acquista "valore d'esperienza". Sono soprattutto gli uomini, dell'età fra i 20 ed i 40 anni, che godono, col telefono cellulare in macchina, di tali sensazioni neurotiche ed infantili. In tutto questo, sono anche coinvolte fantasie aggressive militari, che trasformano l'ingorgo delle automobili in un'esperienza bellica. L'inconscio collettivo sviluppa un desiderio soffocante per le catastrofi. Appartiene alla stessa sindrome, il fatto che aumenti il numero di pestaggi, o di sparatorie conseguenti a problemi di parcheggio. Aumentano anche gli attacchi nervosi in pieno traffico. Nelle città della Germania Occidentale, tra gli adolescenti ferve la febbre del "Mantaismo" (Manta = modello di automobile della GM, per nuovi ricchi), i quali, beffandosi di qualsiasi sentimento ecologico ed umano, disputano le loro "gare" illegali. In tutto il mondo, crescono, nel quotidiano, crisi reattive irrazionali, che non differiscono più dalla follia completa. I nuovi razzismi ed antisemitismi, germinano in tutti i gruppi sociali e in tutte le fasce d'età, e devono essere associati a tali processi di crollo psichico. Lo stesso vale per gli incendi contro i rifugiati politici e per il nuovo disprezzo verso le donne. Il cinismo della "Fiera delle Automobili", svoltasi nel 1994 a Ginevra, il cui tema era "L'automobile del piacere", in fondo, è legato al piacere procurato dalla "brutale mattanza" degli esseri umani. Ancora una volta, ritroviamo qui la decadente normalità fordista. Le immagini dei nemici non sono, in alcun modo, occasionali, poiché la sindrome antisemita, il razzismo e il disprezzo contro il femminile, appartengono a tutta la storia della cultura fordista di morte. Richiamano attenzione particolare, ultimamente, le crescenti aggressioni contro i disabili su sedie a rotelle, nei quali si riconosce l'uomo automobilistico deformato. Sfoga così il suo proprio auto-odio ed auto-disprezzo. La protesta morale ufficiale delle persone che vengono considerate i "pilastri della società", in relazione al terrore urbano, viene smascherata come pura ipocrisia, poiché tali pilastri procedono nello stesso percorso cieco del Crash. Se il presidente della Volkswagen, Ferdinand Piech, può descrivere la lotta concorrenziale solo per mezzo del linguaggio della violenza e del razzismo, si manifesta così la parentela stretta fra i rappresentanti fordisti e le bande di strada. Solo che gli "skinheads in smoking" pensano ed agiscono su altre dimensioni. E' soprattutto nella Repubblica Federale Tedesca che non c'è bisogno di un "Partito dei motoristi e degli automobilisti" - un partito radicale di destra come c'è in Svizzera - poiché in Germania tutti i grandi partiti, da sempre, sono "partiti del motore e dell'automobile", dislocandosi ogni volta sempre più a destra. Un semplice "cambio della guardia politico" a Bonn, non cambierebbe niente, poiché il Partito SocialDemocratico (SPD) si è presentato, fin dai suoi inizi, come un partito del capitalismo della combustione. E' stato Hans Jochen Vogel, poi presidente del SPD, che nel 1961, allora sindaco di Monaco, fece la propaganda della "città adattata all'automobile". Scharping e Schröder, gli attuali "mattatori" del SPD, non vogliono altro che non sia spingere fanaticamente la "capacità di concorrenza" ed il consumo di combustibile. Scharping ha rimosso personalmente la voce di "limite di velocità delle automobili" dal programma del partito. L'aumento dell'imposta sul carburante è stato congelato. E Schröder ha perfino difeso l'esportazione degli armamenti bellici.
Non inganniamo noi stessi! Gli esseri umani, ostaggi sotto tutela del mercato e dello Stato, che gridano con ferocia, ma invano, per avere un "posto di lavoro", sono attaccati alla logica autonomizzata del denaro, così come l'impiccato è attaccato alla corda. E l'amministrazione democratica della crisi esclude sempre più esseri umani dalla "dignità umana". Fino a quando gli ingranaggi compulsivi dell'economia di mercato continueranno ad essere interiorizzati, le persone non saranno capaci nemmeno di porsi le questioni decisive: di cosa abbiamo realmente bisogno? Come organizzare la nostra vita in comune? Come amministrare con buon senso le risorse? Quale ricchezza e quale felicità ci può essere nel consumo assassino della combustione?
Nell'attuale modo di economia e di vita non c'è nessuna riparazione che possa aiutare, C'è bisogno, inevitabilmente, di una rottura profonda dei principi. Perché questo possa avvenire, gli uomini hanno bisogno di recuperare il controllo sulla loro stessa vita, distribuire le attività autonome superando il lavoro salariato e la loro dipendenza totale dai "posti di lavoro" dell'economia di mercato. Non rimane più molto tempo per la minoranza pensante nei sindacati, e fra i dirigenti ed i politici. Finora, essi hanno agito senza prospettive e senza assumersi tutta la responsabilità.
- Robert Kurz - ( Laboratório de Geografia Urbana do Departamento de Geografia da FFLCH da Universidade de S. Paulo, ano 1, n. 1, Abril de 1996 )
fonte: EXIT!
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