lunedì 30 marzo 2015

Rischiare tutto

incompiuta

La rivoluzione teorica incompiuta
- Introduzione al libro "Denaro senza Valore" - Luglio 2012 -
di Robert Kurz

Le teorie grandi ed influenti sfociano sempre in scuole di interpretazione e percorrono una storia che va ben al di là delle loro origini, mediando con la storia della società. La teoria di Marx è ormai sedimentata in termini storici; più di 125 anni dopo la morte del suo creatore, ha provato da molto tempo di essere una delle più poderose di tutta la storia del pensiero - seppure non sia disponibile come un "insieme artistico", come Marx avrebbe voluto richiedere alla sua esposizione, ma più come un immenso tronco, costituito da masse di testo a volte eterogenee. Per la sua forma, questa teoria non può essere integrata nelle schematizzazioni del mondo accademico; essa affronta, in termini espitemici, anche la comprensione del cosiddetto metodo scientifico. Marx ha operato una cesura paradigmatica che dev'essere definita come una "rivoluzione teorica", e a ragione. Ma è proprio questo carattere delle riflessioni di Marx che ha dato e continua a dar luogo a dubbi e a conflitti, a causa del fatto che mai nessun "assalto" paradigmatico è stato consumato in una sola volta. Allo stesso modo, la rivoluzione teorica di Marx è, necessariamente, una rivoluzione incompiuta e, in questa misura, non è solo incompleta ma anche passibile, e carente, di interpretazione.
Come ogni teoria poderosa, anche quella di Marx viene filtrata per mezzo della sua storia interpretativa, soprattutto in due modi. Da una parte, la critica radicale dell'economia politica ha provocato una reazione affermativa della scienza borghese che, proprio a causa del suo carattere reattivo, si è vista essa stessa costretta ad una interpretazione dell'oggetto in esame e, senza volere, ha assorbito elementi dello stesso oggetto, seppure volesse negare "scientificità" a Marx - senza, tuttavia, essere capace di riflettere sul contenuto della sua teoria, veramente critico della scienza. Dall'altro lato, la teoria di Marx è stata recepita in maniera positiva ma, com'era inevitabile, attraverso una griglia interpretativa continua, condizionata dalla contemporaneità e dalla società, che si è manifestata come una storia del marxismo - la quale, simultaneamente, è stata determinata dalla controversia con le reazioni borghesi coeve (politiche e teoriche), costituendo insieme ad esse un vasto campo del discorso storico.
Il marxismo qui contenuto si è differenziato in scuole e relative battaglie interpretative, che si sono caratterizzate per l'intendimento che la rivoluzione teorica di Marx fosse conclusa, innalzando la sua opera principale ad una sorta di bibbia. Tolte alcune eccezione (come quella di Rosa Luxemburg, in maniera limitata), nella storia della sua ricezione non c'è stato alcun confronto aperto con i concetti fondamentali della teoria di Marx; la critica marxista a Marx si è riferita, tutt'al più, a fatti empirici la cui mediazione con le determinazioni della riflessione teorica rimaneva del tutto nell'ombra. Così, le basi categoriali della critica dell'economia politica sono state solo oggetto di interpretazioni diverse, ma non di un ulteriore sviluppo.
Apparentemente, Marx apriva una prospettiva che andava molto oltre l'orizzonte di comprensione di una determinata epoca. Come disse Rosa Luxemburg, "ci aveva superato in anticipo". Perciò, il carattere incompleto della teoria di Marx si manifestava solo indirettamente, nel confronto e nelle differenze interpretative, e questo la faceva assomigliare ad una disputa teologica. Sebbene le scuole filosofiche e scientifiche borghesi raramente si fossero comportate in modo diverso, la contro-reazione affermativa si aggrappò, grata, alla teologia interpretativa del marxismo per respingere interamente il testo della rivoluzione teorica e denunciarla come "ideologica" o "metafisica". Così si riuscì ad enfatizzare il carattere ideologico e metafisico del positivismo (borghese) con lo stesso successo del carattere della metafisica reale della stessa società feticista capitalista.
La storia interpretativa marxista mancava di spiegazione, ma tale spiegazione - e soprattutto la necessità della stessa - era possibile soltanto se la storia corrispondente fosse stata intesa in quanto tale nella sua limitazione. In realtà, tutto il campo del discorso storico cui il marxismo apparteneva si era appannato in maniera peculiare dalla fine del XX secolo, malgrado il fatto che i processi di crisi della società globale si stessero acutizzando in nuovi modelli -  o proprio per questo. Le attuali esigenze capitalistiche richiedevano a gran voce, più che mai, una critica radicale ma, apparentemente, con il cambiamento delle condizioni storiche, una tale critica non era più formulabile nel quadro della griglia interpretativa del marxismo, essendo da tale griglia paralizzata.
Tuttavia, la paralisi di un paradigma non ha mai impedito ai suoi difensori di trincerarsi identitariamente o di combattere in ritirata fino alla propria auto-dissoluzione. A volte, il processo di decomposizione viene mascherato da una "evoluzione" che, tuttavia, non rappresenta altro che delle varianti di un agganciamento, ostentato o inconfesso, alle teorie borghesi che si sono sviluppate storicamente in parallelo col marxismo. Qui si vede come ci si seppellisce, insieme ai vecchi avversari, in un campo discorsivo che ha smesso di essere veritiero. Le costellazioni e le congiunture di questa telenovela di una comprensione della teoria di Marx diventata obsoleta, possono essere viste mentre vanno in una successione sempre più veloce; non possiamo ignorare che la storicizzazione del marxismo, ivi inclusi i suoi epigoni, sia all'ordine del giorno della teoria critica, senza la cui riformulazione il "postulato della prassi" della sinistra può solo essere ridicolizzato.
La storicizzazione significa che una storia è arrivata alla fine, ed essendo finita, deve essere oggetto di riflessione da una prospettiva nuova e differente. Le scuole della storia interpretativa marxista si sono esaurite, e la cosa rimanda all'esaurimento del loro campo di riferimento storico. Dalla "ortodossia" di Kautsky, al "revisionismo" di Bernstein, dalla teoria leninista della rivoluzione, alla "filosofia della prassi" di Bloch o di Gramsci e dal "marxismo occidentale" fino alle ramificazioni della cosiddetta nuova sinistra, esse appartengono tutte ad un'epoca defunta che va definita teoricamente se la critica sociale radicale vuole superare la propria impotenza.
Il fatto che sia arrivata l'ora di una profonda cesura si manifesta anche (spesso in modo involontario) nella letteratura accademica, sia di quella favorevole a Marx che di quella critica di Marx. In entrambi i casi, si afferma sempre più un punto di vista sinottico nel quale le scuole del passato vengono elencate e sono messe in relazione le une contro le altre. Il carattere, per la maggior parte dei casi limitato alla filologia, di tale letteratura di analisi critica - sotto forma di una sorta di "entomologia" del marxismo, con etichette e perfino con tabelle della storia della teoria - non riesce nemmeno a negare che si sta marcando una cesura storica ancora indefinita. Quello di cui essa consiste e quel che è il suo obiettivo è, come si dice, un assunto "polemico". Tuttavia, non ci troviamo più davanti ad una guerra di trincea tra posizioni formulate fino all'esaurimento che si differenziano in una determinata costellazione interpretativa ed il cui campo di riferimento principale (all'incirca dalla metà del XIX secolo, fino alla fine della II guerra mondiale) costituiva un punto cieco comune, o un presupposto incontestabile. Invece, la teoria di Marx viene, da una parte, collocata dal mondo accademico sul piano della storia delle idee ed accomodata in un museo classico, mentre, dall'altra parte, viene ecletticamente amalgamata con le attuali tendenze ideologiche e/o subordinata, in maniera leggittimatrice, alle necessità politiche dei movimenti pre-teorici, senza tornare a radicalizzarla - a livello del XXI secolo - come contrarietà sovversiva per l'ordine vigente.
In tal senso, si rende inevitabile un sondaggio e una definizione concettuale di un terreno ancora sconosciuto, in quanto solo a partire da questo si può gettare luce su una costellazione di per sé passata. Quando ciò non avviene, allora non si può formare, a causa delle alterate condizioni storiche, un campo discorsivo nuovo e stabile relativamente alla rivoluzione teorica di Marx ed al suo sviluppo ulteriore. Nella maggior parte dei casi, quello che si fa passare per questo fa parte, precisamente, del processo di dissoluzione del marxismo. In questo intermondo, la riflessione critica comporta necessariamente un rischio elevato e deve incontrare il suo destino solo nella determinazione della cesura storica. Bisogna chiarire non solo la relazione di tensione della storia del marxismo con la teoria di Marx così come, e soprattutto, il modo in cui il marxismo storico si sia alimentato dell'incompletezza di questa teoria a causa, precisamente, del suo postulato di completezza, tentando di risolvere le contraddizioni dei contenuti in maniera interpretativa ed unilaterale.
Il fatto che, in termini oggettivi, si sia aperto un nuovo terreno storico è ben presente - tanto nel discorso ufficiale quanto nel discorso di sinistra della critica sociale - nell'espressione corrente di "fine di un'epoca", dove per questo si intende, nella maggior parte dei casi superficialmente, il collasso del "socialismo reale" e la fine della Guerra Fredda. Tuttavia, questa rottura eclatante è stata solo il fenomento di un processo più profondo e che, da molto, si era già manifestato nella decadenza del vecchio movimento operaio e nell'affievolimento della "lotta di classe" storica. Lo sfondo di queste manifestazioni è costituito dallo sviluppo capitalistico delle forze produttive nella transizione della terza rivoluzione industriale della microelettronica, che non solo rappresenta una mutazione tecnologica nel disegno dei nuovi processi di razionalizzazione, forme di informazione e di comunicazione (Internet), così come capovolgimento delle condizioni sociali e culturali, ma ha anche costituito il capitale globale ed ha portato ad un processo di crisi planetaria di nuovo tipo.
Quel che ora importa sapere è se questa rottura si sia data nell'ambito di una storia continua, significando così solo una modificazione delle strutture basilari della società moderna, che ancora continua ad esser capace di svilupparsi sul suo proprio terreno, oppure se si tratti della fine di una storia in quanto storia della modernizzazione e, così, di una rottura strutturale di ordine superiore. Dalla risposta a questa domanda dipende il modo in cui vengono trattati i fenomeni a livello teorico e come vengono integrati nell'auto-riflessione della stessa critica radicale del capitalismo - ossia, se questa ha bisogno solo di modificarsi per tenere il passo con le alterazioni, oppure se deve operare in sé stessa una rottura cosciente che metta profondamente in discussione tutta la comprensione precedente. Quando la letteratura di analisi del marxismo, filologica e superficiale, rimanda in forma implicita e - nella maggior parte dei casi - inconscia ad una profonda cesura nella storia della teoria, ed alla fine di tutto un discorso, quest'allusione ad una cesura endo-teorica ancora non maturata appieno, può essere compresa solo nella misura in cui sia relazionata alla storia della società reale e con la "fine di un'epoca" di questa società reale. Di conseguenza, bisogna tematizzare le condizioni storico-sociale in cui si inquadra la discussione teorica. In questo saggio, a questo si può procedere solo marginalmente, soprattutto nel contesto dell'analisi critica della teoria della crisi di Marx, per la quale rimane la desiderata di un'elaborazione teorica e di un'ulteriore analisi.
Qui si tratta soprattutto di un contesto avvolgente che getta qualche luce sulla rivoluzione teorica di Marx e sul suo carattere incompiuto, per poter indicare la strada di un'ulteriore evoluzione - il che comporta sapere in cosa consista il "nucleo temporale" della teoria di Marx, ossia, tanto i suoi limiti storici quanto i momenti che puntano oltre tali limiti. La pretesa storicizzazione, pertanto, non può essere definitiva, ma soltanto trasformativa. In tal modo, ci si assegna un compito del tutto nuovo, per cui non può essere risolta, né continuare ad essere collocata e formulata in quanto tale sul terreno del marxismo, come lo intendiamo ora.
Questa forma di porre il problema può ancor meno essere attribuito a qualche "post-marxismo" attuale. Tutti i "post" sono oriundi dell'ideologia postmoderna la quale è, ad ogni titolo, incompatibile con la critica dell'economia politica di Marx, così come lo è con il "tipo di teoria" o comprensione concettuale di base corrispondente, ed il cui aspetto principale consiste nel sabotare qualsiasi chiarificazione teorica nella nuova situazione storica ed affogarla nell'eclettismo. La teoria critica si sostituisce ad una percezione superficiale fenomenologicamente riduttiva, ovvero al positivismo discorsivo "decostruttivo". Essenzialmente, si tratta di un'ideologia della classe media che costituisce l'espressione affermativa di una virtualizzazione del capitale nel contesto di crisi all'inizio del XXI secolo. Sotto il termine di "post-marxismo" possiamo riassumere tutti gli sforzi per "postmodernizzare" il marxismo, il che equivale - invece di soppiantare criticamente il marxismo partitario e del movimento operaio - a virtualizzare solamente il vecchio paradigma e renderlo compatibile con la classe media.
Per far avanzare il contenuto radicale della teoria di Marx nel senso di una concretizzazione approfondita della rivoluzione teorica, contro le tendenze "post-marxiste" di dissoluzione e di volatilizzazione, è necessaria una definizione più circostanziata del concetto di trasformazione, in quello che la differenzia dalla vecchia opposizione fra ortodossia e revisionismo. Quest'opposizione deriva il suo nome dall'antidiluviana controversia fra Kautsky e Bernstein alla fine del XIX secolo, ma, oltre a questo, è diventata la definizione delle controversie politiche fra, e all'interno di, tutte le scuole marxiste, da quell'epoca fino al "marxismo occidentale" e alla "nuova sinistra" degli anni 1960, In questo processo, il concetto di revisionismo è diventato più o meno una parola che appare essere il sinonimo del riformismo, nel mentre che l'ortodossia venne supposta essere equivalente alle posizioni "rivoluzionarie". Già allora si poteva dire che, con l'esaurimento del suo ambito di riferimento storico, tutto lo spettro dei marxismi ha dato le dimissioni da qualsiasi tipo di ambizione rivoluzionaria, così come era sempre stata intesa, e (secondo i suoi stessi vecchi termini) è caduto in una specie di revisionismo. Da questo punto di vista, la vergognosa fine del "socialismo reale" in quanto segnale esterno della fine di un'epoca, non ha fatto altro se non ratificare uno sviluppo ideologico che era già iniziato molto tempo prima.
E' evidente che l'associazione dell'ortodossia a posizioni radicalmente critiche, e del revisionismo alla pura ideologia del conformismo, è stata da sempre sbagliata in questa sua unilateralità. Durante la I guerra mondiale furono molto gli ortodossi che votarono a favore dei prestiti di guerra, mentre il revisionista Bernstein, nonostante tutto, levò la sua voce contro quei prestiti ed affrontò il patriotardismo socialdemocratico. In termini generici, è certo che gli ortodossi ed i revisionisti delle diverse fazioni e scuole marxiste manifestarono nella pratica, nel corso dei decenni, il medesimo orientamento contro-rivoluzionario o riformista - il che fa già intuire che entrambe le parti appertenevano, quando osservati da un punto di vista teorico e storicamente superiore, ad un determinato campo delimitato che era loro comune, senza che avessero coscienza di questo fatto.
La vera opposizione immanente consisteva, a prima vista, nel trattamento diverso della contraddizione nella teoria di Marx, da una parte, e nella pratica riformista di una mera "lotta per il riconoscimento" dei lavoratori salariati sul terreno delle categorie capitaliste, dall'altra. Così si definisce già un punto di vista decisivo: quello categoriale. La teoria di Marx si riferisce essenzialmente al piano categoriale del contesto formale sociale fondamentale del "lavoro astratto", merce, forma del valore, denaro e valorizzazione del capitale. I momenti decisivi della definizione critica dei concetti fatta da Marx (specialmente l'analisi del carattere feticista della socializzazione capitalista) venivano ugualmente elusi da entrambe le parti, che non li comprendevano. Ma, mentre la cosiddetta ortodossia aveva pietrificato l'opera di Marx in termini teorici, canonizzando su piani diversi i suoi enunciati parzialmente sconosciuti e contraddittori e convertendoli in una sorta di catechesi marxista - che si contrapponeva come qualcosa di esterno alla vera prassi "politica" e rimaneva, in larga misura, senza conseguenze - il revisionismo tendeva innanzitutto ad affermare le necessità di questa vera prassi dei partiti e dei movimenti contro la teoria "distante dalla realtà". Da un lato, si avvicinava così alla critica borghese a Marx, la quale, alla fine, parlava di mistificazioni, promesse di salvezza, costrutti filosofici, ecc. "non scientifici" della teoria di Marx. Dall'altro lato, prendeva in considerazione la difesa del buon senso del movimento operaio contro le imposizioni delle distanze teoriche nei confronti della vita quotidiana - il che riguardava non solo la routine politico-partitaria e sindacale nella "gabbia della servitù" di cui ha parlato Weber, ma anche, quanto meno, il radicalismo della sinistra soggettivista di tutti i tempi e paesi. L'impulso dell'ostilità verso la teoria è stato, da sempre, profondamente revisionista nel senso della falsa immediatezza del volontarismo, del sentimento istintivo, dell'espressione esistenzialista, dell'orizzonte presente degli eventi e delle ideologie di moda contro le difficili astrazioni teoriche della critica dell'economia politica. In un certo qual modo, anche oggi il pensiero di "sinistra" postmoderno fa parte di questo tipo di revisionismo - quando fa ancora qualche riferimento a Marx.
L'effetto revisionista delle necessità della partecipazione pratica sul piano del mero trattamento della contraddizione nel quadro irriflesso delle categorie capitaliste si fece sentire, in termini teorici o metodologici, sotto forma di un orientamento positivista ed empirista di "sinistra". Qui, la critica a Marx che ne conseguiva si riferiva al piano categoriale, le cui definizioni erano, quando andava bene, rifiutate come "filosofiche" o "speculative", senza che se ne analizzasse il contenuto. Al contrario, contro determinati enunciati analitici di Marx, si invocava un mondo fattuale cambiato, come accadeva, per esempio, relativamente alla formazione di una nuova classe media al posto della crescente polarizzazione fra borghesia e proletariato industriale (anche in questa misura, il revisionismo classico appartiene alla galleria degli antenati del pensiero postmoderno). Allo stesso modo, la teoria della crisi di Marx, che non aveva ricevuto un trattamento sul piano categoriale, venne considerata refutata su un piano superficiale empirico e datato. Anche gli ortodossi facevano riferimento ad un empirico cambiato in termini politici e superficialmente analitici, ma cercavano di conciliarlo astrattamente con il dogma, oppure smettevano di continuare a mettere la teoria da "catechesi" accanto alle circostanze empiriche, fianco a fianco, in quanto esterne l'una all'altra e non mediate, laddove, in termini pratici e programmatici, non andavano molto lontano dalla posizione contraria dei revisionisti.
Il vero tratto comune fra ortodossia (inclusa quella leninista e quella della sinistra radicale) ed il revisionismo consisteva nell'intendere le categorie della critica dell'economia politica, in fondo, come "definizioni" positive della fattualità oggettiva e, in larga misura, trans-storica della cosiddetta economia, in quanto supposta "base" della società umana in quanto tale. Fino alla I guerra mondiale, ancora emergevano occasionalmente concezioni oscure di un superamento socialista delle forme del valore e del denaro ma, in primo luogo, erano proiettate in un futuro immaginario e molto distante. In secondo luogo, erano intese soprattutto in senso tecnocratico, cioè, non come una loro applicazione cosciente e "pianificata", di modo che forma valore e denaro potessero semplicemente "sparire" in termini fenomenologici (o "deperire" pacificamente), senza che la relazione del feticcio soggiacente al "lavoro astratto" dovesse simultaneamente sparire anch'essa (come avviene, per esempio, in Hilferding). Dopo la Grande Guerra, questo piano di riflessione, già così poco frequentato, finì per evaporare sempre più dal discorso marxista, anche sotto i colpi della produzione pianificata di merci del "socialismo reale", ed oggi viene evitato più accuratamente che mai da quasi tutte le correnti residuali e post-marxiste, come se si trattasse di peste. In buona coscienza, dal punto di vista categoriale, possiamo definire tanto l'ortodossia quanto il revisionismo, e quello che di loro rimane, come profondamente positiviste.
Naturalmente, si pone la questione di come relazionare la rivoluzione teorica di Marx ed il suo carattere incompiuto con questa storia della ricezione, ora già chiusa e da storicizzare. Questa domanda, che prima non era nemmeno possibile, è stata preparata attraverso una riflessione teorica nel contesto della nuova sinistra, fin dagli anni 1960, e veniva presentate come "ricostruzione della critica dell'economia politica" - "ricostruzione", in primo luogo, perché si suppone, in breve, che il marxismo tradizionale di partito, con tutte le sue fazioni e correnti, avesse sparso e canonizzato un'interpretazione superficiale e ridotta della teoria di Marx. In secondo luogo, d'accordo con l'idea fondamentale, soprattutto filologica, per cui tale interpretazione, tuttora, si riferisce ad una materiale editoriale limitato. Importanti testi di Marx sono stati pubblicati solo nel corso del XX secolo e, in particolare, i tuttavia famosi Grundrisse sono tornati ad essere accessibili solo dopo la II guerra mondiale. Un impulso importante è stato dato dall'ampio commentario di Roman Rosdolksky, con "Genesi e struttura del Capitale di Marx" (Rosdolsky, 1968), il cui fulcro erano i Grundrisse. A partire dai primi scritti di Marx, aveva avuto origine una corrente interpretativa propria della "teoria dell'alienazione" (per lo più, superficialmente filosofica o moralizzante), dove i Grundrisse apparivano ora al centro di una nuova e diversa riformulazione. La critica dell'economia di Marx doveva essere ricostruita dettagliatamente sulla base del materiale delle fonti nel frattempo scoperte, e depurata delle interpretazioni "revisioniste" erronee.
Questo progetto di ricostruzione aveva una carattere ambivalente, Da un lato, gli si doveva attribuire il grande merito di avere di reso accessibili nuove grandi masse di testi dell'opera di Marx e, soprattutto, di essere tornato a collocare al centro dell'interesse il trascurato piano categoriale della critica dell'economia politica, più o meno ridotto ad astrazione a causa del suo trattamento accademico e, in gran misura, malinteso sulla base delle definizioni positiviste. Dall'altro lato, questi tentativi di ricostruzione avvenivano in un ambiente peculiare. L'abbandono del marxismo di partito aveva anche ragioni strutturali. Alla fine, in ultima analisi, la cristallizzazione dogmatica o la dissoluzione revisionista del marxismo di partito derivavano dal fatto che il movimento e i partiti operai si erano istituzionalizzati da molto tempo in termini capitalistici e, in fondo, non avevano più necessità della teoria di Marx - tranne che, forse, per operazioni nostalgiche. Il marxismo teorico era stato accademizzato e trasformato in una manifestazione marginale di discussioni scientifiche borghesi. A questo corrispondeva una limitazione filologica al Marx del progetto di ricostruzione, che aveva come lemma quello di più o meno appurare con minuziosità certosina "quello che Marx aveva realmente detto". Così come l'inquadramento delle proprie intenzioni e dell'oggetto del loro rifiuto nello sviluppo storico concreto della società, aveva portato, in larga misura, ad occupare il piano categoriale della teoria di Marx, allo stesso tempo non aveva portato a stabilire nuovi obiettivi per la critica radicale, ma aveva permesso, occasionalmente, la prosecuzione delle carriere accademiche, seppure solamente nel campo delle discipline esotiche. Così, il progetto di ricostruzione filologica era andato acquisendo impercettibilmente il colorito di una coscienza accademica di classe media, come, del resto, accadeva con tutta la nuova sinistra, il cui ambito di riferimento "proletario" non era mai andato oltre la pura ideologia nostalgica, per quanto marziali fossero le loro evocazioni. Inoltre, non aveva potuto restare immune, evidentemente, all'attivismo superficiale del movimento del 1968 e delle sue necessità politichesi. In parte, era tornato a legarsi, nel nome della "capacità di intervento politico", seppure con una pretesa "critica", ai vecchi partiti operai in acuta decadenza ideologica (SPD, DKP, eurocomunismo), o agli apparati sindacali e, dall'altro lato, ai cosiddetti nuovi movimenti sociali della classe media e al loro sbocco nel partito dei Verdi. Con questi orientamenti, le elevate pretese di "ricostruzione" tendevano forzatamente a morire, almeno rispetto alla maggior parte dei teorici.
Il progetto di ricostruzione non poteva essere classificato inequivocabilmente; in una determinata fase la nuova sinistra vi partecipava, ad un grado minore o maggiore, con teorici di quasi tutte le correnti, e tutti soffrivano la pressione delle necessità pratiche e politiche dell'ideologia del movimento, la cui preponderanza non portava a niente se non al pantano ideologico. Per quanto riguardava l'occupazione della teoria di Marx, si suddivideva, grosso modo, in un'ortodossia cosiddetta recente, da una parte, e una denominata "Nuova lettura", dall'altra. L'aggettivo che indica la novità rimanda, in entrambi i casi, non solo alla nuova sinistra nell'ambito della classe media accademica, ma anche al passaggio (con caratteristiche diverse per ciascun caso) attraverso il progetto, filologicamente esigente, di ricostruzione, i cui risultati tuttavia dobbiamo ricercare, con fatica, noi bibliofili.
E' stata proprio l'ortodossia recente a mostrarsi disposta, in maniera significativa, ad avventurarsi sul piano categoriale della teoria di Marx, seppure solo in maniera condizionale e sempre più marginale, nella maggior parte dei casi più per fini formativi (come, per esempio, nelle lezioni introduttive al Capitale di W.F. Haug) che nel senso di una mediazione storica concreta ed analitica, come già avveniva con la vecchia socialdemocrazia. L'abbandono di questo piano può esser visto esemplarmente nella cosiddetta teoria della regolazione, o "scuola della regolazione", che all'inizio si riferiva ancora alle categorie fondamentali della critica dell'economia politica, ma che non tardò a sganciarsi da sé sola a beneficio di una elaborazione teorica superficiale, caratterizzata da un empirismo positivista. In termini globali, si può dire che fu proprio l'ortodossia recente che non solo si limitò a comportarsi come quella vecchia ma, a dirla tutta, finì essa stessa per adottare, almeno implicitamente, un orientamento revisionista in senso classico. L'enfasi dell'elaborazione teorica e delle pubblicazioni (nello spazio linguistico tedesco, per esempio, in riviste come Das Argument, Sozialismus o Prokla) si allontanò irreversibilmente dalle discussioni intorno alle categorie fondamentali (teoria del valore e del denaro, lavoro produttivo ed improduttivo, il "problema della riduzione", il "problema della trasformazione", ecc.), che rimanevano senza soluzione in vista, in favore di un'analisi riduttiva, frequentemente sociologica e soprattutto fenomenologica, dei processi di sviluppo, tendenze e conflitti sociali - in parte, di porte già spalancate alle ideologie oriunde del mondo accademico e correnti indotte dallo spirito dell'epoca. Di una mediazione categoriale nel senso della critica di Marx, già si poteva parlare poco, per lo più con riferimenti superficiali; fu, del resto ciò che avvenne proprio riguardo alle relazioni fra i sessi (così, la rivista Argument, contrariamente alla maggioranza delle altre riviste teoriche di sinistra, ebbe il grande merito di un'apertura alla teoria femminista, ma rimase assente sul riferimento categoriale).
In realtà, la questione delle categorie fondamentali e della loro interpretazione compariva ancora nell'ambito dell'ortodossia recente soprattutto quando veniva fuori il conflitto latente con la Nuova Lettura di Marx. Fu quest'ultima che (soprattutto nei lavori di Hans Georg Backhaus ed Helmut Reichelt e, successivamente, nella riformulazione di Michael Heinrich) proseguì il progetto di ricostruzione, concentrandosi più che mai sugli aspetti variati dell'analisi che Marx aveva fatto della forma del valore. Il prezzo da pagare fu, sotto diversi punti di vista, la quasi completa rinuncia alle analisi concrete dei processi sociali e della loro propria situazione storica, dal momento che cominciava ad evidenziarsi una peculiare "divisione del lavoro" sotto forma di deficit simmetrici e complementari. Se, per l'ortodossia recente, il piano categoriale della teoria si diluiva sempre più in una contemplazione superficiale delle tendenze, per la Nuova Lettura di Marx, al contrario, il piano di analisi empirica della teoria rientrava in una auto-sufficienza categoriale filologica. Con la sua tematica "esoterica", tutto questo approccio sembrava qualificarsi come "eterno consiglio di iniziati" per un'esistenza nell'ombra, nel mondo accademico di sinistra e nelle frange delle pubblicazioni specializzate. La problematica teorica veniva cucinata a fuoco lento nelle occasionali incursioni dell'ortodossia recente che, almeno sul suo stesso nuovo terreno catechistico, accondiscendeva a volersi mantenere "ortodossa" e si opponeva ai sondaggi di profondità concettuali della Nuova Lettura di Marx con sempre maggior diffidenza.

incompiuta 2

La contesa guadagnò nuovo respiro nel discorso degli anni 1990, quando la ricostruzione di Marx, fatta dalla Nuova Lettura di Marx, si convertì poco a poco in critica. A questo contribuirono le pubblicazioni teoriche di Michael Heinrich che, con la sua Die Wissenschaft vom Wert, non solo allargò il terreno di ricostruzione di analisi fondamentale della forma del valore all'analisi della totalità del Capitale di Marx, ma acutizzò anche la questione della critica di Marx, superando i suoi riferimenti teorici. Già nell'introduzione alla sua opera principale dice chiaramente, a proposito del progetto di ricostruzione: "E' un fatto che la rivelazione e la sistematizzazione dei testi di Marx che risultano sotto questo titolo negli anni 70, sono stati un passo importante verso l'appropriazione della teoria di Marx. Tuttavia, presupponevano l'esistenza di un discorso coerente e corretto che semplicemente sarebbe distillato dai vari manoscritti di Marx, ossia, 'ricostruito' e protetto dalle volgarizzazioni ed interpretazioni erronee, essendo rimasta la capacità critica di fronte al testo di Marx, sistematicamente limitata".
Si può dire che, per Heinrich, la "capacità critica" in relazione a Marx costituiva il nocciolo degli sforzi teorici. Ora, bisogna evidentemente conoscere in che senso il concetto di critica deve qui essere inteso. Da un lato, può riferirsi al carattere necessariamente incompiuto della teoria di Marx e, in questa accezione, alla sua natura storicamente datata, ma può anche riferirsi ai fondamenti stessi ed al modus della teoria di Marx. Anche nel caso di una critica formalmente immanente, tutto dipende dal criterio; essa piò designare l'incompiuto, sviluppare la teoria a partire dal suo interno, secondo il suo proprio impulso, o può valutare la teoria per quel che dice riguardo la sua realizzazione immanente a partire da un criterio esterno di definizioni del contenuto oppure dalla teoria della scienza, e così abbandonare o perfino negare quest'impulso. Nel primo caso, si tratta della già citata trasformazione della teoria di Marx, mentre nel secondo si tratta ancora una volta, alla fine , della sua mera revisione - in questo caso, però, molto al di là del revisionismo classico, si tratta di abbandonare gli stessi fondamenti categoriali, proprio perché ne viene riconosciuto il loro carattere negativo e, insieme ad esso, il potere esplosivo di un tale piano.
Dalla metà del decennio 1980, e soprattutto negli anni 1990, la qui preconizzata interpretazione della teoria di Marx alla luce della critica del valore, o (includendo la moderna relazione fra i sessi) della critice della dissociazione e del valore, è sorta, fra gli altri combattenti, come una specie di UFO nel campo del dibattito della critica sociale. Dopo i tentativi falli di metterla a tacere, essa è stata coinvolta in un'accesa polemica con entrambe le parti, ossia, tanto con l'Ortodossia recente quanto con la Nuova Lettura di Marx (ed essa, da parte sua, non ha potuto fare a meno di rispondere), non essendo ancora oggi completamente chiaro se sia la nostra insistenza sulle definizioni fondamentali del Marx critico del feticcio oppure se sia la critica trasformativa del Marx del "movimento operaio", formulata in questo preciso senso, che motiva la maggior enfasi. Questo non solo ha una connotazione identitaria per motivi nostalgici, ma deve anche rimanere nel cuore della teoria per continuare a poter essere "corretto" sullo stesso piano superficiale sociologico (più concretamente, nel senso dell'ideologia della classe media di sinistra postmoderna), mentre che "l'altro" Marx continua ad essere ignorato oppure svalorizzato come se fosse un po' "tonto".
Tuttavia, la critica della rivoluzione teorica incompiuta deve contenere in sé gli impulsi per la sua prosecuzione, e non per la sua revoca parziale o totale. La questione è: andare con Marx oltre Marx, o senza Marx dietro Marx? Un ulteriore sviluppo trasformativo - se è questo che viene chiesto sul serio e non solo per finta - nel senso di un adattamento alle relazioni capitalistiche del XXI secolo, presuppone la critica della teoria di Marx unicamente nel senso dei suoi limiti storici relativi e la sua collocazione in rapporto alla nostra attuale posizione storica. Dal punto di vista dell'apprezzamento qui preconizzato, la delimitazione storica al XXI secolo è stata doppia, essendo i due momenti legati.
Da una parte, sebbene la rivoluzione teorica di Marx rappresenti una rottura con la razionalità illuminista del capitalismo, in accordo con le condizioni dell'epoca e con le sue forme di espressione teorica, essa conserva le scorie di tale razionalità (come, soprattutto, la metafisica borghese della storia e del progresso nella sua rappresentazione hegeliana). Una rottura pià ampia non era neppure possibile nelle condizioni storiche date, dal momento che il capitale e la ragione avevano ancora davanti un lungo sviluppo a partire dalle sue stesse basi. E' per questo che la critica categoriale della costituzione feticista del capitale inciampa, a volte, nei resti dell'ontologia borghese contenuta nel pensiero di Marx. Dall'altra parte, Marx lega necessariamente la sua teoria, sotto molti aspetti, al movimento operaio allora incipiente, il cui obiettivo immanente, tuttavia, era soltanto il suo riconoscimento come soggetto funzionale sul terreno delle categorie capitaliste: un compito che faceva parte della stessa "modernizzazione" capitalista, e non della rottura con essa. Da qui nasceva una tensione, non solo fra la teoria di Marx e l'ideologia borghese del movimento operaio, ma anche in seno alla stessa teoria di Marx. La vecchia ortodossia allora aveva risolto questa tensione, in gran misura unilateralmente, facendo ricorso al paradigma della modernizzazione e del riconoscimento. Così, possiamo caratterizzare tutto il marxismo fino ad oggi come un "marxismo del movimento operaio" sotto il controllo (o il vincolo) delle categorie del contesto formale capitalista. Ma oggi, all'inizio del XXI secolo, il capitalismo si è già sviluppato fino a rendere nota la sua essenza feticista e la sua maturità per la crisi. Proprio per questo, il marxismo finora esistente si deve esaurire in tutte le sue correnti, nella misura in cui l'intento della modernizzazione e del riconoscimento è diventato puramente e semplicemente irrilevante.
Al contrario, la critica a Marx da parte della sua Nuova lettura, soprattutto nella versione di Michael Heinrich, è, in accordo con il suo percorso, di natura molto più strettamente filologica, senza un inquadramento storico approfondito e, in questa riduzione, legata soprattutto alla scienza economica borghese e al suo rispettivo sviluppo accademico, ponendo la questione della "rottura (di Marx) con il campo teorico dell'economia politica" (Heinrich) in una penombra sospetta, come verrà dimostrato. Questo si applica specialmente al problema di sapere in che relazione la critica di Heirich a Marx si trova con l'economia neoclassica borghese e con l'ideologia postmoderna (a loro volta, legate).
Ora, potrebbe sembrare che l'Ortodossia recente si opponga e resista alla discussione intorno alla critica di determinati elementi della teoria di Marx che qui si definisca per affermare la sua vecchia identità, ma questo è vero solo fino ad un certo punto. Evidentemente, i grandi capi di una lettura che, inn termini globali, di preferenza è orientata secondo modelli di comprensione tradizionali (o, in ogni caso, per una narrazione lineare ed ininterrotta del marxismo), si agitano davanti all'espressione "doppio Marx" che è da tempo corrente nella teoria critica della dissociazione e del valore, o con la determinazione, da essa risultante, di un Marx "essoterico" ed un Marx "esoterico" - differenziazione dell'opera di Marx che avviene per la prima volta in Stefan Breuer (1977). Queste designazione vennero usate dallo stesso Marx (in Teorie sul Plusvalore) per Adam Smith, il vero fondatore della "scienza economica" moderna. Secondo Marx, il lato "essoterico" della teoria di Smith consiste nel cominciare a fare una semplice descrizione dei fenomeni capitalisti, ossia, a determinare le categorie solo rispetto al loro modo di essere superficiali. La parte "esoterica" di Smith, al contrario, si sarebbe sforzata, anche se in modo erroneo ed affermativo, di determinare teoricamente l'essenza del "nesso interno" categoriale. W.F. Haug ora insorge contro la possibilità che si possa procedere secondo questa differenziazione, seppure in un altro modo, per lo stesso Marx: "Uno dei fenomeni grotteschi della forma verbalmente radicale di misurarsi con Marx nel post-comunismo consiste nell'applicare retroattivamente una simile differenziazione al suo autore, Marx" (Haug). Per Haug, e non solo per lui, è insopportabile vedere designati i momenti di mera teoria della modernizzazione, della metafisica del progresso e "del movimento operaio" della teoria di Marx, come "essoterici" e storicamente decadenti, e i momenti critici del feticcio, riferiti al carattere di fine in sé della "ricchezza astratta" e al "soggetto automatico" del valore, al contrario, essere designati come "esoterici" e dotati di vitalità futura.
Nell'invettiva di Haug viene espressa soltanto la caparbietà nel voler interpretare la teoria di Marx nell'orizzonte della supposta infinita "storia della modernizzazione", sulla base di fragili premesse ispirate tanto dalla Realpolitik quanto dall'opportunismo del movimento e sul terreno delle categorie fondamentali del capitalismo, che non deve essere messo in discussione, né teoricamente né praticamente. Questa opzione, però - ed è in questo che consiste la dialettica di un proseguimento di un marxismo che viene supposto ininterrotto e solo modificato secondo la modernizzazione - non può essere attuata senza operare, sotto diversi aspetti, delle rotture non ammesse. Così, da un lato, anche la supposta ortodossia è stata da tempo bucherellata cone un formaggio svizzero, dal modo di pensare postmoderno - cosa che non costituisce quasi sorpresa, dal momento che l'ortodossia stessa ha smesso di offrire qualche resistenza sul piano categoriale, e la grettezza dell'analisi, fenomenologicamente sociologica e "praxeologicamente" politicastra, deve rimanere sottomessa al positivismo del discorso decostruttivista postmoderno, ad essa conforme.
Dall'altro lato, l'Ortodossia recente (e molto più i suoi cugini dell'Est del vecchio "socialismo reale") ha sofferto un colpo tale, col collasso della RDT e dell'Unione Sovietica che, alla fine non si è alzata in piedi e l'arbitro della storia teorica ha dovuto contare fino a dieci. Gli occhi tumefatti, il naso disfatto ed il cervello ridotto in pappa, ora anche il marxista residuale di ferro ritiene di doversi trascinare verso nuovi lidi: "Che in quest'ambito andiamo sempre oltre Marx, è sottinteso" (Haug). Ma come, ed in che stato, e soprattutto: per dove? Guarda dove stai andando, è tutto quello che possiamo dire; soprattutto quando Haug continua facendo una citazione di sé stesso: "Per il pensiero marxista, si deve considerare escluso il riferimento a Marx in termini acritici" (ivi). Anche qui occorre, all'inverso, interrogarsi sul contenuto e sulla tendenza della critica a Marx, che quanto meno a partire dal 1989 è alla portata di tutti, invece di dichiarare una nuova e piacevole passeggiata del discorso e andare a dare una benevola occhiata. L'integrazione politichese dell'Ortodossia recente (che si trova già nell'orbita del Linkspartei) fa proprio sospettare che la critica di Marx intrapresa abbia come obiettivo, innanzitutto, la legittimazione delle necessità di partecipazione e di adattamento, al fine di leccarsi le ferite dopo essere stati messi al tappeto dalla storia reale. Con simili premesse, il rifiuto apparentemente ortodosso di una storicizzazione del Marx del movimento operaio assomiglia ad una critica di Marx ispirata meramente dallo spirito dell'epoca, essa stessa revisionista, che regredisce fino a prima del Marx "essoterico".
Pertanto, lo sfondo che sta dietro l'intenzione di un più o meno chiaro ripudio di Marx, sia da parte dell'Ortodossia recente che da parte della Nuova Lettura di Marx, è costituito, da un lato, dal collasso del "socialismo reale", la fine della Guerra Fredda e la terza rivoluzione industriale e, dall'altro lato, dalla necessità e dall'ideologia postmoderna sull'orizzonte di una coscienza della classe media di sinistra. In questo confronto si decide se avrà luogo una trasformazione della teoria di Marx, nel senso di un avanzamento della rivoluzione teorica, o nel senso di un revisionismo di nuovo tipo. Al centro di questo processo si trovano necessariamente le categorie fondamentali della critica dell'economia politica ed il loro statuto. Rispetto a questo ci sono, almeno, cinque gruppi di questioni che devono essere trattati e chiariti, non potendo il presente saggio fare altro che delimitare solo il terreno, in modo da fornire un panorama delle linee guida dell'inevitabile conflitto teorico.
Il primo gruppo riguarda la questione di sapere in che misura le categorie di Marx non rappresentano mere categorie teoriche o un "modello" meramente ipotetico, bensì categorie reali o, secondo Marx, "forme oggettive di esistenza", alle quali corrispondono "forme oggettive di pensiero". In quest'ultimo approccio, però, la differenza tra la situazione storica reale e la sua riflessione teorica non è ancora del tutto appianata. Nella teoria, lo statuto delle categorie dev'essere diverso dalla realtà. Da qui consegue il famoso "problema di esposizione" nello sviluppo sequenziale della teoria di Marx, che è stato sistematizzato dalla Nuova Lettura di Marx, ma in una maniera non adeguatamente risolta.
Il secondo gruppo di questioni si riferisce alla storicità delle categorie in duplice senso. Da un lato, è in causa il suo statuto nella storia pre-moderna o pre-capitalista. Dovrebbero essere intese come trasversali alle formazioni o addirittura trans-storiche, almeno per quel che riguarda le culture dette superiori a partire approssimativamente dalla rivoluzione neolitica, oppure si applica, in senso stretto, solo al capitalismo? In cosa consiste allora la differenza, e come può la costituzione storica primordiale del capitale venire tradotta in categorie? Dall'altra parte, si deve determinare lo statuto delle categorie nella storia interna del capitalismo. Si tratta di forme di esistenza intrinsecamente dinamiche, che possono solo apparire come sempre uguali nell'astrazione teorica, o sarebbero statiche in sé, confrontandosi così con una storia di accadimenti esteriori, e meramente empirica? Dalla risposta a questa domanda dipende non solo sapere se un'esposizione definitiva del "capitale in generale" è del tutto possibile, ma anche se esiste un limite storico interno alla valorizzazione del capitale (teoria della crisi).
Il terzo gruppo si occupa della relazione fra categorie e totalità capitalista ovvero il "processo globale" (Marx) del capitale, che è trattato solamente nel terzo volume dell'opera principale di Marx. Qui, la questione dello statuto delle categorie si riferisce alla relazione fra la particolarità e la generalità sociale. Potrebbero le categorie della critica dell'economia politica essere concettualmente rappresentate nella merce e nel capitale, considerati individualmente, o si tratta dell'incontro di categorie della totalità che, in quanto tali, si applicano solo al tutto e appaiono non corrette dal punto di vista dei soggetti economici individuali e della loro condotta? Questo significherebbe anche che il concetto di "valore individuale" di Marx è errato, dovuto solamente al suo "problema di esposizione", nel quale implicita ed inavvertitamente si manifesta "l'individualismo metodologico" delle scienze sociali borghesi, ostruendo la prosecuzione della rivoluzione teorica.
Il quarto gruppo attiene allo statuto delle categorie nella relazione fra essenza ed apparenza. Si tratta, nel caso delle categorie della critica dell'economia politica, di determinazioni dell'essenza di un "apriorismo trascendentale" che non può manifestarsi immediatamente in quanto tale, ma costituisce così, ancora, la realtà sociale, oppure i fenomeni capitalistici possono essere compresi direttamente nelle categorie e possono esistere sotto forma indipendente?
Come categorie reali trascendentali, non possono essere empirici; e, se venissero intesi come empirici, non necessiterebbero di definizione trascendentale. Nel primo approccio, teoria ed empiria non possono fondersi l'una con l'altra e le apparenze devono essere, innanzi tutto, decifrate; nel secondo, l'essenza e l'apparenza, e insieme ad esse anche la teoria e l'empiria, coincidono immediatamente, ossia le stesse categorie sono immediatamente empiriche. In tal caso, esistono solamente, a ben vedere, le apparenze, da un lato, e la loro osservazione "scientifica", dall'altro.
Il quinto gruppo di questioni costituisce, in un certo qual modo, la conclusione dell'approccio categoriale totale. Lo statuto delle categorie della critica dell'economia politica sarà positivo o negativo? La parola "positivo" deve qui essere intesa nel senso di un'oggettività esteriore neutra che un soggetto della conoscenza affronta. Questa è la costellazione fondamentale del mondo della scienza che esclude il concetto di critica e, con essa, per la verità, anche il sottotitolo del Capitale di Marx. In questo caso, la critica dev'essere sostituita da un'etica ugualmente esteriore. Le categorie non sono, in questa prospettiva, meri modelli del pensiero (come indicato nel primo gruppo), ma si relazionano anche con un'oggettività indiscutibile le cui "leggi" devono solo essere identificate e trattate in maniera strumentale. Se, al contrario, lo statuto delle categorie sarà negativo, anche la sua conoscenza può essere solo negativa, ossia, viene processato soltanto secondo il modus della critica dell'oggetto stesso, che dev'essere distrutto e le cui "leggi" devono essere abolite.
Da questa breve rassegna già emerge che una prosecuzione della rivoluzione teorica di Marx sarà, in termini epistemici, fondamentalmente critica della scienza, e dovrà farla finita con qualsiasi intendimento positivista del capitale, che finora è stato caratteristico della totalità del marxismo del movimento operaio (sia dell'ortodossia che del revisionismo) e che è rinato allegramente dalle ceneri come una riformulazione postmoderna. Un momento essenziale in questo superamento del pensiero positivista è costituito, per la critica radicale, dallo "individualismo metodologico", non solo nella forma riferita prima, nel terzo gruppo, ma come momento globale di tutti gli aspetti di una reinterpretazione della critica dell'economia politica. Qui, non si tratta solo di una diffusa ideologia borghese "della totalità", ma della definizione accurata della relazione fra il contesto sociale globale, come determinazione dell'essenza, e le apparenze o micro-"unità" riproduttive individuali di questo tutto sociale; ossia, della critica di un modo di pensare predominante nelle scienze sociali che, al posto della totalità (negativa), nel suo contesto di mediazione, colloca la mera "astrazione intellettuale" (Hegel) dell'azione individuale (per esempio, il cosiddetto atto di scambio) come essenziale e costitutiva.
Non è per caso che questo problema rimane alieno al marxismo ed è stato tematizzato, nella migliore delle ipotesi, in modo tanto marginale quanto insufficiente.
La parola d'ordine è rischiare tutto. La conseguenza può consistere solamente in un programma esplicito di critica categoriale e di rottura categoriale pratica, ossia, in un globale "programma di abolizioni" (Karl Korsch). E' proprio a questo sviluppo di energia negativa che si riferisce il concetto di trasformazione teorica, con il quale già si affronta solo un revisionismo fondamentale di vari colori sotto forma di marxismo residuale e post-marxismo. Trasformazione o revisione, ecco il problema. Per questo, ciò che sta all'ordine del giorno è il confronto, e non un eclettismo accademico post-moderno. In un nuovo empito polemico, il problema può innanzi tutto essere rappresentato con particolare chiarezza, in quanto contesto storico-sociale globale, nella realtà e nel concetto di denaro. Il denaro è la manifestazione fondamentale dell'essenza; esso è categoria e, allo stesso tempo, fenomeno palpabile, crocevia della storia e oggetto visibile dell'abolizione. E' perciò che è in quest'oggetto che la determinazione categoriale negativa può distruggere con la massima incisività l'esaltazione positivista dei fatti e la grettezza fenomenologica.

- Robert Kurz -

fonte: Crìtica Radical

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