giovedì 7 luglio 2022

Una narrazione senza fine…

Il duplice Robinson: le fantastiche avventure del lavoro e del denaro agli albori del capitalismo [***]
- di Cláudio R. Duarte -

Secondo Adorno e Horkheimer - nella loro Dialettica dell'Illuminismo -,se Odisseo costituisce quello che è solamente un «prototipo dell'individuo borghese»,  è in Robinson Crusoe che, per la prima volta, questo individuo fiorisce. E il passaggio all'universo della forma mercantile è qui fondamentale: «Dal punto di vista della società di scambio sviluppata e dei suoi membri individuali le avventure di Odisseo non sono che l’esposizione dei rischi che compongono la strada del successo. Odisseo vive secondo il principio originario che ha fondato un tempo la società borghese. La scelta era fra ingannare e perire. L’inganno era lo stigma della ratio, in cui si tradiva la sua particolarità. Così all’universale socializzazione abbozzata dal viaggiatore intorno al mondo Odisseo e dall’industriale-solista Robinson appartiene fin dall’inizio l’assoluta solitudine che si manifesta alla fine dell’età borghese. La socializzazione radicale è una radicale estraniazione. Odisseo e Robinson hanno entrambi a che fare con la totalità: l’uno la percorre, l’altro la crea. L’uno e l’altro ci riescono solo in assoluta separazione da tutti gli altri uomini. Che si presentano loro solo in forma estraniata, come nemici o come sostegni, sempre come strumenti, come cose.» [*1]

C'è differenza tra percorrere e realizzare: ed è solo Robinson che produce la totalità del nuovo mondo stregato. Qualcosa che fa parte di questo carattere della totalità alienata, lo troviamo alla base del titolo stesso del libro: "La vita e le strane e sorprendenti avventure di Robinson Crusoe, marinaio di York" (1719). Abbiamo così il primo Robinson, il giovane che abbandona la casa paterna e le sicure prospettive della classe media per inseguire una lucrosa avventura sui mari [*2], dove, sulle navi, impara a obbedire agli ordini e a lavorare con metodo; cosa che poi eserciterà sulla sua isola; ma anche - ed è qui che inizia il secondo Robinson, assai meno commentato, e molto più pieno di fascino - vale a dire, quello che trasforma questa presunta passione di navigare per il mondo in una pulsione al profitto grazie al commercio, non tanto con il proprio lavoro quanto con la spoliazione del lavoro altrui, percorrendo America, Africa e Asia. Un romanzo che rivela in maniera complessa (eppure ancora oggi sottovalutata) quali sono stati i primordi della soggettivazione autocratica dell'individuo, isolato come soggetto borghese determinato, in maniera duplice, tanto dalle relazioni mercantilizzate e colonialiste quanto dal nuovo spirito del protestantesimo. Tutto questo si capovolgerà nella forma del racconto realista, che è ora opportuno analizzare in dettaglio.

Tale forma si trova determinata già a partire dall'esperienza di questo duplice Robinson. Sviluppandosi passando attraverso i modelli romantici e realisti, il romanzo borghese si concentra sulla formazione dell'individuo attraverso l'esperienza nella nuova società, la formazione di personalità dotate e ben integrate, come in Goethe, talvolta napoleoniche e rampanti come in Stendhal e Balzac - disadattate quel tanto per affermarsi e ritagliarsi un posto al sole nella competizione selvaggia. Defoe si trova solo agli inizi di questo modo di venire determinato dalla competizione che poi Robinson Crusoe, Moll Flanders e il Colonnello Jack saranno i primi a vincere, tutti guidati dalla Divina Provvidenza, e non a caso sul suolo del nuovo mondo americano - e sta qui forse la differenza con il successivo modello borghese, che non riesce mai a formare una personalità autentica e ben integrata [*3]. Durante il suo travaglio spirituale, l'illusione di potere e di autonomia di questo soggetto viene qui sempre incrinata, dal momento che anche lui può sempre ricadere nella condizione di proletario "libero": « in un duplice senso, libero dagli antichi rapporti di clientela o di servitù e di prestazione e, in secondo luogo, libero da ogni avere e da ogni forma di esistenza oggettiva, libero da ogni proprietà; ridotta a trovare l’unica fonte di guadagno nella vendita della sua forza-lavoro, oppure nella mendicità, nel vagabondaggio, nella rapina. » , come analizza Marx [*4]. Questo movimento di caduta e dissoluzione dell'individuo in una delle classi e sottoclassi fondamentali, è in un certo modo diventata un po' la specialità della prosa naturalista e post-realista, ma è già ben presente nei romanzi di Defoe. Qui emerge la verità prorompente del viaggio disastroso di Robinson e degli altri personaggi dell'autore inglese. Come ha osservato la migliore critica [*5] , essi sono tutti guidati da uno spirito mercantile pragmatico e strumentale, talvolta portato all'estremo della solitudine, del calcolo e della freddezza, che poi si trasforma in ricerca del successo o della mera sopravvivenza, mediata tanto dal lavoro quanto dal favore, dall'imbroglio e dal crimine, tanto dalla buona coscienza cristiana quanto dall'indifferenza ultra-individualistica e potenzialmente nemica di ogni altro - anche se alla fine vengono sempre salvati dalla grazia della Provvidenza, la quale agisce allo stesso modo della mano invisibile del mercato, o della metafisica dell'astuta Ragione hegeliana, poiché tra passioni cieche e interesse economico il risultato alla fine è sempre il legittimo successo commerciale e il progresso generale della civiltà capitalistica.

È questo a farci dubitare che abbiamo a che fare con "uomini", e non piuttosto con dei puri portatori di denaro, i quali proprio per questo si duplicano in sé e fuori di sé, diventando oggetti di un dominio diffuso. Nei primordi del romanzo europeo, il capitale appare già come se fosse un modo autonomo di produzione e di rappresentazione del denaro e delle sue imprevedibili svolte: una sorta di religione feticista diffusa dotata di ogni suo potere di continua inversione tra soggetto e oggetto. In effetti, è questo ciò che si rivela nella lunga esperienza di Robinson Crusoe: l'abbandono della casa e della patria a diciannove anni - a partire dal risveglio della «invincibile passione di correre il mondo» - prima lo converte in una specie di apprendista marinaio semi-proletarizzato, e poi in un paria che si perde nell'Atlantico nel bel mezzo della tratta degli schiavi, soffrendo continue tempeste e naufragi fino a diventare egli stesso schiavo di un corsaro moresco in Marocco. Ridotto in schiavitù, reagirà fuggendo dal corsaro, vendendo a un "gentile" capitano di nave portoghese, che lo salva in alto mare, la barca rubata e il suo fedele compagno, il nero Xury, che lo aveva aiutato a sfuggire alla prigionia. Una volta liberatosi dalla prigionia, la sua posizione si inverte e torna a essere il mercante bianco e il padrone di schiavi. L'etica protestante e la passione per l'avventura sono pertanto la facciata morale del turbine capitalista scatenatosi nel XVI e XVII secolo. Ciò è dimostrato ancora meglio durante il suo passaggio nella colonia brasiliana, dove ben presto si affranca da ogni moralità del lavoro scalando la gerarchia dell'aristocrazia locale grazie allo sfruttamento di una piantagione di canna da zucchero e tabacco basata sul lavoro degli schiavi. Vi rimase per due anni, prima di ributtarsi in mare - alla ricerca della tratta degli schiavi (peraltro clandestina) sulle coste della Guinea - fino al naufragio che lo porterà nella sua famosa isola caraibica [*6]. Non esiste alcuna avventura individualista senza che vi sia lotta, scambio vantaggioso, inganno, saccheggio, contabilità, oggettivazione e sfruttamento del lavoro altrui, insieme a un pizzico di vendetta; il tutto ammantato dallo schema religioso che umilia e si pente, invocando la Provvidenza continuamente e abbondantemente. Una volta installatosi nella sua «Isola della disperazione», il lavoro diventa metodico e ininterrotto: anche lo stile della prosa si fa qui più sobrio, neutro e continuo, quasi piano e descrittivo (soprattutto nei capitoli in forma di diario) [*7], e questo in contrasto con il mezzo erratico e discontinuo dell'inizio, quando l'unità e la coerenza d'intenti del narratore-protagonista si sgretolano praticamente a ogni paragrafo sotto il ritmo dei suoi capricci e delle sue fantasie, o sotto quello di disastrosi eventi naturali. Isolato sull'isola, l'homo oeconomicus deve dimostrare che, oltre a desiderare, egli sa anche lavorare concretamente per se stesso e che si merita la proprietà e la salvezza in virtù del suo proprio sforzo, dei propri risparmi e della propria lungimiranza - realizzando alla perfezione il mito dell'individualismo economico -; sebbene questa indipendenza e permanenza sull'isola per decenni, peraltro inverosimile, è stata resa possibile solo, come egli stesso deduce, facendo affidamento al lavoro sociale accumulato negli utensili prelevati dalla stiva della nave naufragata (asce, forbici, armi da fuoco, ecc.) [*8]. Qui arriva addirittura a disprezzare l'oro e il denaro, del resto inutili su un'isola disabitata - sebbene li conservi molto bene per le avventure future. Ai margini di questa coscienza sociale, l'economia e il lavoro eccedente vengono negati a partire da un'etica dell'ozio, con le sue sfumature cristiane e patriarcali da ancien regime: «Non ho avuto la concupiscenza della carne, né la concupiscenza degli occhi, né la superbia della vita [1 Giovanni, 2: 16]. Non avevo nulla da desiderare. Perché avevo tutto ciò di cui potevo godere ora: ero il Signore di tutto il luogo; o se volevo, potevo erigermi a Re o Imperatore su tutto il territorio che possedevo. Non c'erano rivali o concorrenti, nessuno che potesse contendermi la sovranità o il comando». In questo modo, arriva a considerare le determinazioni sociali della sua condizione: «Potevo raccogliere grandi quantità di grano per riempire le navi, ma non ne avevo alcun bisogno; così seminai solo ciò che era necessario per il mio sostentamento» [*9].

Una serie di riflessioni che questo primo Robinson, con spirito pragmatico e utilitaristico, conclude nel modo seguente: « (...) per me aveva valore solo ciò che potevo usare. Avevo abbastanza da mangiare e da soddisfare i miei bisogni. (...) In una parola, la natura e l'esperienza delle cose mi hanno convinto che tutte le cose buone di questo mondo cessano di essere buone per noi quando non ci sono più utili; e che tutto ciò che possiamo accumulare e lasciare in eredità ad altri, lo godiamo solo nella misura in cui possiamo usarlo, e niente di più» [*10]. Così, per quanto riguarda la forma, lo stile sobrio e incolore tende a imitare quello spirito puritano e austero del lavoro utilitaristico a fronte di quelle che sono le esigenze artificialmente ridotte dell'isola, il quale assume un aspetto diverso dalla pura logica del lavoro salariato capitalista. Ma anche in questo caso il suo spirito viene catturato dalla logica della contabilità e della repressione sessuale [*11]. Ora, lo stile più colorato dell'avventura e del fantasy, ricco di incontri, di svarioni e disavventure, imprime alla narrazione un certo ritmo compulsivo e discontinuo, improntato alla ricerca di un arricchimento illimitato (se non, al limite, illecito) mascherato dall'innocente idea fissa di un «insaziabile desiderio di scorrazzare per il mondo», o di un'«ingenua mania di vedere la terra» [*12]. Ma «Robinson Crusoe non è, come lo era Autolico, un mercante che ha radici in una località conosciuta; non è nemmeno, come Ulisse, un viaggiatore suo malgrado che cerca di ritornare alla sua famiglia e alla sua patria: il profitto è la sua vocazione, e il mondo intero è il suo territorio» [*13]. In fondo, si tratta di una bizzarra e strampalata ideologia, che contiene una sorta di «double-think», come dice Eagleton, che ruota attorno a un evidente conflitto tra «le pratiche amorali di una cultura in cui ciò che conta davvero sono il denaro e l'interesse privato, e gli altisonanti ideali morali rivendicati». Come nel più tardo mondo machadiano, potremmo dire che «queste narrazioni senza rimorsi e senza orpelli non sollevano più di tanto il velo del decoro ideologico», quanto, piuttosto «si limitano semplicemente a guardarci attraverso». Diventano «esplosive» perché mostrano le questioni coloniali per mezzo di un crudo realismo che non è sentimentale, facendo uso di un tono «colonialista a mente fredda»: «non sono polemiche, ma sono semplicemente candide» [*14].

Il ritmo della sobrietà si ribalta e si converte continuamente in quest'altro ritmo, deviante e capriccioso, amante delle fantasie assolutistiche, man mano che il tempo passa e che entra in nuove relazioni sociali. Nell'incontro con l'indigeno, Venerdì, il sogno e la realtà si incontrano - vale a dire, il sogno di avere uno «schiavo» («uno, no, due o tre selvaggi» almeno [*15]), al fine di amministrare il proprio lavoro e riuscire a fuggire dall'isola. Venerdì funziona come se fosse il suo esatto doppio, come una sorta di freudiana «formazione di compromesso»: un cannibale addomesticato, servile e femminilizzato che finisce per diventare uno schiavo perfetto, quello «più fedele, amorevole e sincero», «servizievole e devoto», capace di «sacrificare la vita» per il suo padrone [*16]. Di fatto, Robinson , nel suo regno ormai realizzato, comanderà tre uomini (Venerdì, suo padre, un ex prigioniero spagnolo) e ben presto un'altra dozzina che, nella sua sfrenata immaginazione, arriva a considerare, come aveva fatto in precedenza con i suoi animali, suoi "sudditi": «La mia isola era oramai abitata e io mi consideravo molto ricco di sudditi; e questa era una riflessione piuttosto piacevole, che facevo assai spesso: da sembrare un Re. In primo luogo, ero il proprietario dell'intera isola, poiché avevo su di essa l'indiscutibile diritto di dominio. In secondo luogo, il mio popolo era totalmente sottomesso a me: io ero il Signore assoluto e il legislatore, tutti mi dovevano la vita ed erano pronti, se necessario, a sacrificarla per me. È stato interessante anche il fatto che, tra i miei tre unici sudditi, ci fossero tre religioni diverse: il mio uomo Venerdì era protestante, suo padre era pagano e cannibale e lo spagnolo era cattolico. Tuttavia, ho consentito la libertà di coscienza in tutto il mio territorio» [*17]. Ciò che stava accadendo a monte, nel Brasile schiavista, ora segue a valle, fino alla foce, soprattutto nella seconda parte del libro. Qui, ciò che avviene viene descritto come una «nuova serie di follie, difficoltà e avventure selvagge» in Africa e in Asia [*18], dall'abbandono della casa e dei figli, ormai sessantenne, dopo la morte della moglie in Europa, all'organizzazione del lavoro dei coloni e dei servi indigeni sulla sua isola, che avrebbe presto abbandonato al loro destino, all'investimento nel nuovo commercio coloniale di riso e spezie nel Sud-Est asiatico, lo scontro con altri pirati, contrabbandieri e filibustieri, altre tempeste, incendi e naufragi, la persecuzione e la distruzione degli idoli pagani e una ripugnante sfilata di valori eurocentrici, patriarcali e razzisti (soprattutto contro i cinesi [*19]), passando per una serie di combattimenti, crimini e omicidi tra coloni spagnoli, indiani e animali, tutti a priori considerati come inferiori e sterminabili. Accanto allo sfruttamento e alla violenza, il bel trattamento riservato ai sacerdoti, alle donne indifese e ai lavoratori inglesi, addomesticati per mantenere il suo particolare «regno», che ne divennero veri e propri prigionieri, dal momento che non potevano lasciare il luogo «senza il suo consenso» e un preavviso, secondo quello che era il regolamento da lui firmato [*20].

Il destino servile di Venerdì diventa pertanto socialmente diffuso, anche se non del tutto completo, dal momento che Robinson non realizza mai il progetto di una colonia utile che, armata di «cannoni e munizioni, servi della gleba e contadini», possa diventare redditizia per l'Inghilterra; infatti, egli stesso si considera un protettore dell'isola abbandonata, dotato di un «atteggiamento altero e maestoso, come un vecchio monarca patriarcale», un «padre di famiglia e della piantagione»; ma l'antico «demone del vagabondaggio» («spirito errante») lo spingerà verso l'Asia. Così, questo soggetto autocratico non mantiene la «promessa» di riportare i suoi coloni in Europa [*21]. Un percorso in fondo coerente con i suoi capricci e con la sua fondamentale incoerenza, come annunciato nella sua esperienza brasiliana: qui, la sua etica puritana non reggeva il confronto con il suo contraddittorio «ateismo pratico» [*22] e con quella irrazionale smania di viaggiare e trafficare. In definitiva, quindi, una convergenza tra la ragione imprenditoriale e il desiderio represso di potere e di denaro, all'interno di un Ego posseduto da simile spirito errante; ma come supporto al lavoro sociale astratto in formazione e alle sue tendenze omicide. È perciò che questo ricco vagabondo ozioso, irregolare quasi come «una nave senza pilota», inutile e irresponsabile, ma educato alla dura scuola del lavoro e abituato all'attività, confessa a volte qual è la sua profonda avversione per la pigrizia, per gli oziosi e gli inutili [*23]. Dopo la fuga dall'isola e il primo miracoloso ritorno in Inghilterra, scopre di essersi arricchito a spese del lavoro dei suoi soci, dei servi e degli schiavi sparsi a Lisbona e a Bahia. Qui, come nel finale del secondo volume, il rischio e l'abnegazione giustificano il self-made man milionario sopraffatto dal sistema che termina la sua vita in attesa della «benedizione di finire i suoi giorni in pace» [*24] . Tuttavia, egli stesso si rende conto di non poter essere identico a sé stesso, ma di essere sempre un altro, che si trasforma in un altro, che ritorna all'arida identità dell'accumulazione capitalistica: un ragazzo che diventa schiavo, uno schiavo che diventa proprietario di schiavi, poi un uomo isolato, e infine il proprietario di un'isola dove dispone di lavoratori asserviti che abbandona forse perché essi rappresentano proprio il contrappunto di classe all'impeto nomade dell'astrazione monetaria che egli incarna [*25]. Egli stesso, si proietta e rinasce accresciuto come lavoro, e poi come denaro investito nel mondo, configurando così quello che poi diventerà il puro soggetto automatico nel ciclo infinito della valorizzazione del valore (D-M-D' o D-D'). Ecco perché la sua narrazione non ha fine [*26]. Ogni sfida reale (tempeste e mare in tempesta, belve e tribù cannibali, ecc.) equivale simbolicamente a una morte e a una resurrezione simboliche, che egli attribuisce alla Provvidenza, ma la cui sostanza nascosta è il valore reale e simbolico guadagnato da chi si è sacrificato e si è gettato ciecamente nella selva del processo di accumulazione coloniale del Capitale.

- Cláudio R. Duarte -

NOTE:

[***] - Questo testo è un estratto rielaborato del mio articolo "Piccole e grandi robinsonate. Dalla preistoria della soggettività al declino del soggetto autocratico", pubblicato in Signal de Menos, n. 15, vol. 1, 2022. Disponibile su sinaldemenos.net

[*1] - Adorno, Theodor W. e Horkheimer, Max. Dialettica dell'Illuminismo. Fragmentos filóficos [1947]. Rio de Janeiro: Jorge Zahar, 1985, p. 66-7.

[*2] - Defoe, Daniel. Robinson Crusoe (con introduzione di Thomas Keymer e note di Thomas Keymer e James Kelly). Part 1. New York: Oxford University Press/Oxford World's Classics, [1719] 2007, pp. 5-7; trad. Le avventure di Robinson Crusoe. [Parti 1 e 2]. São Paulo: Companhia Editora Nacional. 2005, p. 9-11.
Franco Moretti (Il borghese: tra letteratura e storia. São Paulo: Três Estrelas, 2014, p. 35-6) nota come "avventura" fosse sinonimo di "forma di capitale", cioè un commercio come "investimento rischioso" in terre straniere, generalmente di "carattere irrazionale e speculativo, o diretto all'acquisizione con la forza". L'autore decifra così un duplice Robinson (l'avventuriero e il lavoratore), ma non percepisce la sovrapposizione dei due nella stessa figura per tutta l'opera, sia sull'isola che sui mari: all'utilitarismo quasi irrazionale del lavoro sull'isola segue, nella seconda parte, l'impresa al tempo stesso razionale e avventurosa, sia sull'isola-impero che quando poi riparte per i mari con una nave propria. Infatti, egli osserva che «l'isola offre il primo scorcio del signore industrioso dei tempi moderni. Il mare, l'Africa, il Brasile, Venerdì e le altre avventure danno voce alle forme più antiche di dominio capitalistico, ma mai del tutto scartate. Da un punto di vista formale, questa coesistenza senza integrazione di registri opposti (...) è chiaramente un difetto del romanzo». (ibid., p. 42). Ma un difetto relativo, come suggerisce, perché "contrariamente a Weber", «il borghese razionale non lascerà mai veramente andare i suoi impulsi irrazionali né ripudierà il predatore che era un tempo. Poiché non è solo l'inizio di una nuova epoca, ma anche un inizio in cui si rivela una contraddizione strutturale che non sarà mai superata, il racconto informe di Defoe rimane il grande classico della letteratura borghese» (ivi., p. 43).

[*3] - Il lieto fine di Moll Flanders, come padrona di casa in Virginia, è preceduto dalla povertà e dall'abbandono, dalla solitudine assoluta e dal "terrore" di essere "buttata fuori dalla porta nel mondo", da una serie di ricerche di matrimoni vantaggiosi, da truffe, imposture, atti criminali e carcere, insomma dalla sua identificazione con la pura forma del denaro: «quando una donna viene così abbandonata e senza consiglio, è come una borsa di denaro o un gioiello abbandonato sulla strada, che cadono preda del primo che passa». Defoe, Daniel. Moll Flanders (Avventure e disavventure di Moll Flanders).

[*4] - Marx, Karl. Grundrisse: manoscritti economici 1857-1858. (Esboços da crítica da economia política). San Paolo: Boitempo, 2011, p. 417.

[*5] - Cfr. la critica alla linea materialista: Watt, Ian. A ascensão do romance.(Estudos sobre Defoe, Richardson e Fielding). São Paulo: Companhia de Bolso, [1957] 2010, p. 120-3; Hymer, Stephen. “Robinson Crusoe and the Secret of Primitive Accumulation”. Montly Review. Volume 63, Issue 04 (September) https://monthlyreview.org/2011/09/01/robinson-crusoe-and-the-secret-of-primitive-accumulation/ Trad. Carlos N. Coutinho: “Robinson” in: Canevacci, Massimo, introdução e organização. Dialética do indivíduo. São Paulo: Brasiliense. [1971] 1981; Eagleton, Terry. The English Novel: an introduction. Oxford: Blackwell, 2005; Moretti, op.cit., 2014.

[*6] - Defoe, [1719, parte 1] 2007, p. 31-36; Trad. 2005, p. 40-8.

[*7] - Cfr. Watt, Rise of the Novel, op. cit.; Moretti, The Bourgeois, 2014; Eagleton, Terry. Il romanzo inglese: un'introduzione. Oxford: Blackwell, 2005, pp. 28-31.

[*8] - Defoe, 2007 [1719, parte 1], p. 111; Trad. 2005, p. 134.

[*9] - Ivi, p. 109; trad. 2005, p. 132 (modif.).

[*10] - Ivi, p. 110; trad. it. p. 133 (modif.). «Contrariamente ai modelli attuali della teoria economica, Robinson Crusoe - producendo solo per l'uso e non per lo scambio - scopre che non c'è scarsità e che il lavoro non ha valore. La forza motrice del capitalismo, il desiderio di accumulare, scomparve nel momento in cui si trovò da solo» (Hymer, "Robinson", op. cit., 1981, p. 142).

[*11] -  «In Crusoe, la contabilità ha la meglio su altri pensieri ed emozioni (...) Non sorprende, quindi, che l'amore abbia un ruolo ridotto nella vita di Crusoe (...) Quando torna alla civiltà, il sesso rimane subordinato agli affari (...) Le altre relazioni personali di Crusoe rivelano la stessa svalutazione dei fattori non economici. Li tratta in termini merceologici. Il caso più evidente è quello di Xury (...)» (Watt, The Rise of the Novel, op. cit., 2010, pp. 67 e 72).

[*12] - Defoe, [1719, parte 2] 2000, p. 155; trad. 2005, p. 442.

[*13] - Watt, A ascensão do romance, op. cit., 2010, p. 71.

[*14] - Eagleton, The English Novel: an introduction, op. cit., 2005, p. 27-28.

[*15] - Defoe, [1719, parte 1] 2007, p. 169; trad. 2005, p. 185-6 (modif.).

[*16] - Ivi, p. 176; trad., p. 189-90 (modif.).

[*17] - Ivi, p. 203; trad., p. 219 (modif.).

[*18] -  Defoe, The Further Adventures of Robinson Crusoe. [Parte 2].Pennsylvania: The Penssylvania State University: A Penn State Electronic Classics Series, [1719] 2000, p. 136; Trad. 2005, p. 421 (modif.)

[*19] - «(...) sento raccontare cose meravigliose sulla potenza, la gloria, la magnificenza e il commercio dei cinesi, i quali, in fondo, per quanto ho visto, non sono che una mandria spregevole, schiavi ignoranti e sordidi, soggetti a un governo qualificato per governare un simile popolo». ibid. p. 181-2; trad. it. p. 474 (modif.).

[*20] - Ivi p. 87; trad. it. p. 364.

[*21] - Ivi, p. 135-6; trad. 2005, p. 420-1 (modif.).

[*22] - Defoe, Serious Reflections during the Life and Surpising Adventures of Robinson Crusoe (with his Vision of the Angelick World written by Himself). [Parte 3] London: Aitiken, [1720, parte 3] 1902, p. 191; também citado por Watt, 2010, p. 85.

[*23] - Defoe, [1719, parte 2] 2000, p. 8; trad. 2005, p. 282.

[*24] - Defoe, [1719, parte 1], 2007, p. 255-7; trad. 2005, p. 272-3; Defoe, [1719, parte 2] 2000, p. 220; trad. p. 527 (modif.).

[*25] - All'inizio del secondo volume, disprezza i lussi e i vizi della nobiltà quanto quelli del proletariato, la cui vita si riduce a «vivere per lavorare e lavorare per vivere, come se il pane quotidiano fosse l'unico fine della vita stanca, e una vita stanca solo occasione di pane». Defoe, [1719, parte 2] 2000, p.7-8; trad. 2005, p. 281 (modif.).

[*26] - «Non c'è una fine logica in una narrazione di Defoe, non c'è una chiusura naturale. Le narrazioni si accumulano semplicemente come non si può smettere di accumulare capitale. Un pezzo di storia, come un investimento di capitale, porta a un altro. Non molto tempo dopo il ritorno a casa dalla sua isola, Crusoe parte per i suoi nuovi viaggi, accumulando altre avventure che promette di scrivere in futuro. Il desiderio di narrare è insaziabile» (Eagleton, Il romanzo inglese, op. cit.).

fonte: Mundo das Formas

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