La distruzione della ragione – una delle opere più ambiziose e controverse di György Lukács – possiede il fascino dei luoghi della memoria. Scritta durante la guerra e pubblicata a Budapest nel 1953, quando il suo autore viveva sotto la minaccia delle persecuzioni staliniste, essa appartiene a pieno titolo al grande dibattito intellettuale che attraversa l’Europa di quegli anni: perché Hitler? Da dove nasce il nazismo? La storia tracciata da Lukács dell’irresistibile ascesa dell’irrazionalismo nella Germania moderna – una linea retta che nasce con il primo romanticismo e giunge a Hitler – è unilaterale e discutibile, come pure la sua apologia dello stalinismo, ma è anche lo specchio di un’Apocalisse: la crisi dell’Europa tra le due guerre. Enzo Traverso contestualizza e storicizza quest’opera, mettendone in luce i limiti e le contraddizioni, ma riconoscendone anche la sinistra grandezza. Questa rilettura a settant’anni di distanza è inoltre l’occasione di riesaminare il concetto di irrazionalismo, oggi al centro di un vasto dibattito intellettuale intorno alle premesse del postmodernismo e degli studi postcoloniali.
(dal risvolto di copertina di: Enzo Traverso, "Dialettica dell’irrazionalismo" - con Grand Hotel “Abisso” di György Lukács. Ombre Corte € 11.00, pp. 130)
IDEOLOGIA E RAGIONE IN UN LIBRO DI LUKÁCS
- di Carlo Bordoni -
In Dialettica dell'Irrazionalismo. Lukács tra nazismo e stalinismo (Ombre Corte pp.130, € 11), Enzo Traverso, docente alla Cornell University di Ithaca (New York), tratta di un pensatore dimenticato e del suo libro più controverso, La distruzione della ragione (1954). Un libro che sostiene tesi improponibili: difende il socialismo reale di Stalin e attribuisce la responsabilità dell’origine del nazismo a una serie di intellettuali, tra cui Nietzsche, accusati di irrazionalismo.
György Lukács (Budapest, 1885-1971) scrive a Budapest negli anni Cinquanta, in piena guerra fredda, in un clima di paura e sotto la minaccia di continue purghe comuniste. Scrive piegandosi alle esigenze di partito e alle pressioni del potere. È un tradimento della verità, un «crimine intellettuale», e tuttavia non impedisce di riconoscere a quest’opera, afferma Traverso, «la posizione di rilievo che le spetta nella storia del pensiero del XX secolo». Lucido tentativo di razionalizzare un tempo d’incertezze e di caotiche lacerazioni.
Prevale il giudizio che La distruzione della ragione sia un libro abominevole, scritto da un Lukács decadente, cane da guardia dello stalinismo, in opposizione al giovane rivoluzionario di Storia e coscienza di classe (1923).
Se si legge prescindendo dai pregiudizi politici, si scoprirà tuttavia un testo innovativo, scritto dalla «parte sbagliata», da un punto di vista che non è il nostro, quello occidentale. Ma La distruzione della ragione è un libro illuminista, ricco di passione, teso a riaffermare i principi umani dell’intelligenza e del pensiero critico. Come tutti i libri di passione è sfacciatamente di parte, pronto a travisare le idee del nemico. Ma il lettore di oggi è in grado di capire e ricavare l’essenziale. Anche di prendere le distanze, senza condannarlo all’oblio in nome della sua parzialità. Invece di mandarlo al macero (bene ha fatto la casa editrice a ristamparlo), meglio leggerlo e insegnare a distinguere la conoscenza dalla manipolazione ideologica. Perché la cultura non avanza bruciando i libri.
- Carlo Bordoni - Pubblicato su La Lettura del 15/5/2022 -
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