Le nuove forme del capitalismo cancellano progressivamente i quadri sociali della memoria, ne distruggono i canali di trasmissione tradizionali e privano l’azione collettiva di ogni retaggio storico. La memoria si deposita ormai soltanto in una sfera individuale, intima, riducendosi così a un insieme di racconti, di immagini e di emozioni che si sostituiscono alla riflessione e all’azione collettiva. Fin dall’antichità gli storici hanno scritto in terza persona. Oggi è nato un nuovo genere storiografico che lascia spazio alla soggettività dell’autore. Un genere che innesta l’autobiografia nella scrittura del passato, come se la storia non potesse essere raccontata e interpretata senza mettere a nudo l’interiorità non soltanto di coloro che la fanno ma anche, e soprattutto, di coloro che la scrivono. Gli storici raccontano la loro indagine e mettono in scena le emozioni che essa suscita in loro. Incontrano così i romanzieri che, sempre più attratti dal reale, costruiscono le loro narrazioni come inchieste basate su ricerche d’archivio (basti pensare ad autori come W.G. Sebald, Emmanuel Carrère, Javier Cercas o Daniel Mendelsohn). All’origine di questa nuova storiografia soggettivista c’è un mondo sociale fondato su una condotta di vita e una percezione del tempo individuali. La famiglia, gli antenati e i fantasmi del passato diventano il luogo privilegiato della memoria e dell’indagine storica. Non una storiografia ‘neoliberale’, ma certo una storiografia dell’età neoliberale.
(dal risvolto di copertina di: Enzo Traverso, "La tirannide dell’io". Laterza pp. 192 €19)
Anche la Storia ha un ego
- di Marco Belpoliti -
L'io ha invaso anche i libri di storia. La soggettività, il grande totem della contemporaneità in cui siamo immersi, ha cominciato a smantellare i quadri sociali della memoria, su cui poggiava la nostra comprensione del passato. Questa in buona sostanza la tesi di Enzo Traverso ne La tirannide dell’io (Laterza 181), il cui sottotitolo è: Scrivere il passato in prima persona. Cos’è accaduto? Dopo l’avvento del «Narciso romanziere», figura che la modernità ha prodotto in modo copioso, è ora la volta del «Narciso storico», o meglio: della fusione di queste due figure. I nomi che Traverso fa nel suo saggio sono quelli di Sebald, Cercas, Jablonka, Luzzatto, Scurati.
Per diventare più interessanti e per trovare lettori sarebbero nate le finzioni innestate nella storia, così da creare quello che l’autore chiama il “presentismo”. Con la fine del naturalismo e del realismo in arte e in letteratura al principio del Novecento, la soggettività degli autori ha potuto esprimersi a fianco dei propri personaggi (Proust, Kafka, Conrad, Svevo, Pirandello). Le cose sono poi andate avanti sconvolgendo lo stesso rapporto tra storia e memoria con la cosiddetta «ego-storia» (Pierre Nora). Il soggetto, o meglio l’individuo, è tornato prepotentemente alla ribalta reclamando i propri diritti. Non hanno forse un ego anche gli storici? Si sono succedute nei decenni passati ondate di autobiografie di storici, poi i loro successori hanno introdotto sé stessi nelle storie che raccontavano. Si sono fatti scrittori senza abdicare alla volontà di fare storia. Traverso dedica un’attenzione quasi lenticolare a questo fenomeno e da storico ne valuta pagina dopo pagina gli apporti positivi e insieme i problemi che solleva.
Esiste una “verità letteraria” accanto alla “verità storica”? Che rapporto intrattengono le due? Nel dibattito che si è aperto in Spagna dopo la pubblicazione de Il sovrano delle ombre (Guanda), dedicato allo zio falangista dell’autore, morto nella guerra civile, Cercas ha sostenuto, citando Aristotele, che la «verità letteraria» si assimila alla «verità morale». Traverso risponde che il suo non è un romanzo storico, bensì un «romanzo del presente», dove le scelte politiche dell’autore orientano e pervadono la propria opera. Dove è finita la distanza, lo sguardo esterno e la narrazione impersonale degli storici, che garantiva la possibilità di ricostruire il passato in modo oggettivo seguendo documenti e prove? Da tempo gli storici hanno inserito nella narrazione storica la dimensione emotiva, la stessa che domina nella comunicazione individuale e sociale, palesandosi come dei protagonisti di quello che raccontano, fino al punto di non far rivivere la storia, «bensì di trasmettere il vissuto dello scrittore e dello storico che, nel presente, raccontano la storia». Ad esempio Claude Lanzmann, scrive Traverso, con Shoah (1985) ha introdotto nella storia dello sterminio ebraico la rappresentazione «lacrimale» modificando in modo sostanziale il rapporto tra storia e memoria nella sfera pubblica come nelle scienze sociali. Il conflitto tra storici e testimoni, che ha segnato nel passato alcuni punti notevoli d’attrito — si vedano le frasi di Primo Levi ne I sommersi e i salvati dove, parlando della testimonianza dei singoli, scrive: «La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace» — sembra ora superato da quanto accade nella letteratura come nella storiografia.
Il problema è ovviamente complesso e Traverso non ha la pretesa di risolvere i problemi che si pongono a chi fa storia oggi, tuttavia nella parte finale definisce il quadro entro cui si svolge questo cambio di paradigma: il neoliberismo. La scrittura soggettivistica non può essere scissa dall’avvento dell’individualismo, uno dei tratti fondamentali del nuovo ordine del mondo. Individualismo non va confuso con egoismo, come spiegava Friedrich von Hayek, che vedeva la società e la storia come il prodotto di «atti individuali». Il neoliberismo non ha solo un valore ideologico, ma performativo. L’individualismo è un vero e proprio modello antropologico: «Oggi il mondo si guarda nello schermo di uno smartphone che lo trasforma in selfie», scrive icasticamente Traverso. Presentismo significa che viviamo senza futuro, immersi nel presente, e la memoria tende a depositarsi solo nella sfera individuale. Il passato non genera più immaginazioni utopiche, come il pensiero ebraico aveva insegnato all’Occidente negli ultimi dieci secoli. L’immaginario, a partire da quello sociale, è privatizzato; il futuro risulta perciò un progetto di riuscita individuale. Abbiamo dimenticato che l’individuo non precede e determina la società, ma è invece il prodotto dei rapporti sociali stessi. Per questo se si accetta l’idea che la storia è «una letteratura contemporanea», essa diventa prima di tutto lo specchio della propria epoca, in questo simile alla creazione letteraria. Il dibattito, prevedibilmente, proseguirà.
- Marco Belpoliti -pubblicato su Robinson del 21/5/2022 -
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