«Nessuna rivoluzione da nessuna parte»?
- di Frank Grohmann -
«[...] è opportuno, soprattutto al giorno d'oggi, di cercare la distanza teorica, non tanto nel silenzio dovuto ai lunghi anni di sviluppo del concetto di opera d'arte totale, ma piuttosto come formulazione del conflitto, nella mischia, e sul terreno del confronto.» (Robert Kurz, 2012) [*1]
1. Sul terreno del confronto
Dieci anni dopo, questa frase non ha perso nulla della sua attualità. Piuttosto al contrario, visto che la distanza teorica richiesta è diventata sempre più necessaria. Ma è proprio per questo motivo che questa frase non è più una semplice raccomandazione, bensì una necessità: «Sul terreno del confronto». «Nella mischia». «Come formulazione del conflitto». Non ho mai conosciuto Robert Kurz. Mi trovo qui davanti a voi solo perché ho cominciato a leggerlo; molto tardi, mi sono già detto più volte. Pertanto, non posso parlarvi dell'uomo Robert Kurz. Ma posso però parlarvi dell'impressione che ne ho tratto dalla lettura dei suoi scritti. Immagino che non gli sarebbe dispiaciuto, ma non posso esserne sicuro, per il motivo che ho appena detto.
È passato quasi un anno, da quando, in occasione di un incontro tra critici del valore, dissi che il mio interesse per la critica della dissociazione del valore – co-fondata da Robert Kurz - proveniva dall'aggravarsi di quei fenomeni di crisi che stanno accompagnando la distruzione delle basi della vita, oltre che dalla mia perplessità per lo stato di apatia, l'impressione di paralisi e l'atteggiamento di ignoranza che caratterizzano tali circostanze. Concepire la modernità produttrice di merci che domina la nostra vita quotidiana, come una società feticcio - e per la prima volta «totalitaria» [*2] - come ha proposto Kurz, rappresenta per me il primo passo verso una risposta alla domanda sul sapere da dove proviene questa distruzione e questa apatia, questa paralisi, questa ignoranza, e questo avere come approccio esplicativo porsi al di là di qualsiasi psicologismo minaccioso (anche nella psicoanalisi). Il cardine di questa prima fase rimane la metafora marxiana del feticcio [*3] riferito al modo di produzione capitalistico, e conseguentemente alla socializzazione delle merci «a cui gli uomini hanno affidato la regolamentazione dei loro problemi fondamentali, persino la loro sopravvivenza stessa; a un'istanza esterna, e tuttavia creata da loro stessi, che oramai media le relazioni sociali e costituisce in tal modo un rapporto di dominio» [*4] . E questo nel senso di un dominio senza soggetto. Il modo di produzione capitalistico è «un'estensione della produzione fine a sé stessa», vale a dire, «un fine irrazionale in sé». Attraverso la «metafora paradossale» del soggetto automatico, Marx individua il «vero nucleo del paradossale rapporto sociale capitalistico»: il soggetto automatico non dev'essere inteso come se fosse «un'entità particolare, che si trova da qualche parte all'esterno, ma esso è l'incantesimo sociale in base al quale gli uomini sottomettono la propria azione all'automatismo del denaro capitalizzato». [*5]
È a partire da questo punto che sono diventato sensibile alla nozione di crisi (così come è stata sviluppata dalla critica della dissociazione del valore), la quale va ad affiancarsi all'ipotesi fondamentale - proposta da Robert Kurz - secondo cui il mondo dove viviamo è il mondo della crisi di un «totalitarismo della socializzazione che si realizza per mezzo del valore» [*6], nel quale - proprio perché la dimensione sociale della psicoanalisi è la modernità produttrice di merci - né il lettino né la poltrona rimangono esclusi dalla mia attività pratica di psicoanalista, per non parlare di ciò che accade nel frattempo. E il fatto che la risposta necessaria a una simile condizione non possa essere data in un lampo, suggerisce già da sé le stesse parole chiave: in che modo si può uscire dalla nostra propria società feticcio, come ci si può liberare da un dominio senza soggetto, come fare a negare e a confutare il valore del soggetto automatico? Come poter dire di no, come rifiutare la socializzazione negativa? Ma allo stesso tempo non esiste nulla che ci spieghi perché non abbiamo seguito da tempo la proposta del famoso fumetto francese dei primi anni Settanta, L'an 01 di Gébé: «Fermiamo tutto, se ci pensiamo su ci rendiamo conto che non è per niente triste». [*7]
Perché la critica di questa situazione non è ovvia? O, per dirla in altro modo, perché l'impulso verso una teoria critica di questa crisi, si risolve sempre in un nulla di fatto? Come si giustifica l'«attuale paralisi della critica radicale»? [*8]. Una trentina di anni fa, Robert Kurz aveva sottolineato come «la critica radicale deve combattere contro la forza gravitazionale delle condizioni esistenti apparentemente schiaccianti e soverchianti», e lo aveva visto come punto di partenza per l'elaborazione di una risposta a tale questione [*9]. Contrariamente alla gravità fisica, a essere in questione qui, non è una legge cosiddetta naturale, che fin dalla sua nascita la troviamo come se fosse un fatto umano essenzialmente legato all'«esistente apparentemente onnipotente». Ma questa gravità, in tal senso, non è qualcosa che noi percepiamo direttamente a meno che non camminiamo sulla Luna o, come alcuni desiderano che succeda presto, su Marte [*10]. Fintanto che i nostri due piedi calpestano ancora la Terra, quello con cui abbiamo a che fare è l'avversario invisibile e impercettibile dell'«esistente apparentemente super-potente», del quale però noi stessi siamo parte; vale a dire, qualcosa che si attacca alla nostra pelle, ma che non possiamo scrollarci di dosso, in quanto aderisce a noi come dall'interno, non essendo proprio esterno rispetto a noi.
Come possiamo fare quindi a lottare contro ciò che ci costringe perfino a mettere in discussione la concezione stessa della distinzione tra interno ed esterno? La psicoanalisi ha qualcosa da dire al riguardo; tra l'altro, Robert Kurz lo ha intuito ben presto e ha cercato di trattarlo. [*11] Pertanto, il nostro punto di partenza è che : la rottura ontologica con la storia delle relazioni feticistiche non ha alcun fondamento [*12]; e l'esigenza ontologica è impossibile da soddisfare [*13]. Perciò, questa rottura e questa necessità si trovano sempre già intrecciate, e devono essere mediate l'una per mezzo dell'altra; e questo deve avvenire in maniera trasversale rispetto a quelli che sono i punti di riferimento abituali, deve avvenire, per così dire, controcorrente. Questa mediazione necessaria, non avviene tra i vincoli esterni e la loro interiorizzazione soggettiva, oppure tra soggetto e oggetto, ma viene vista come un problema di mediazione tra contenuto e forma. [*14]
2. Crisi e critica
Circa dieci anni fa, Robert Kurz scrisse una lettera aperta alle persone interessate alla rivista Exit! ("Crisi e critica della società delle merci" [*15]), la quale era stata fondata dopo la scissione di Krisis. Come titolo del mio intervento di oggi, ho scelto il titolo di quella lettera, apponendovi però un punto interrogativo. Quello che vorrei presentarvi, domani, 18 luglio 2022, nel decimo anniversario della morte di Robert Kurz, può essere inteso quasi come lo svolgimento di questo punto interrogativo: come dobbiamo intendere le parole «Nessuna rivoluzione, da nessuna parte»?
Kurz si rivolge ai suoi lettori al volgere dell'anno 2011/12, invitandoli a sostenere la rivista «nel suo nuotare controcorrente». Tuttavia, però non lo fa senza prima affrontare in maniera critica l'«improvvisa inflazione del concetto di rivoluzione» che si percepiva all'epoca sotto l'influenza della cosiddetta Primavera araba, delle violente rivolte dei giovani senza speranza della classe inferiore in Gran Bretagna, dei movimenti sociali nei Paesi dell'Europa meridionale colpiti dalla crisi del debito, delle manifestazioni di massa contro le politiche del governo Netanyahu in Israele, della ribellione degli studenti in Cile contro l'orientamento neoconservatore del sistema educativo e della protesta, negli Stati Uniti, del movimento Occupy contro la crescente disuguaglianza e il potere delle banche.
Kurz è inequivocabile nel suo contrapporvisi: da nessuna parte si può parlare di rivoluzione. Ma dappertutto, le gravi distorsioni sociali ci rimandano alle strutture globali del capitalismo mondiale; dandoci delle indicazioni che, tuttavia, per l'appunto, non vengono affatto, o non sufficientemente, comprese e inquadrate come tali [*16]. L'interpretazione di Kurz? «Chi non vuole cogliere e combattere la totalità capitalista ha già perso la sua battaglia». E la sua conclusione? «Senza teoria rivoluzionaria, non c'è movimento rivoluzionario»! Con Marx, quindi egli sottolinea «l'importanza della riflessione teorica»: «Marx ha giustamente sottolineato che un autentico rivolgimento rivoluzionario progredisce solo nella misura in cui i suoi inizi e le sue fasi di passaggio vengono criticati, e questo in modo spietato, al fine di superarli e spingerli così oltre le loro mezze misure, le loro conclusioni errate e le loro aberrazioni» [*17]. Qui, a essere decisivo è che questa riflessione teorica non deve consistere solo in un esercizio accademico in stile razionalista, ma costituisce un esame delle condizioni storiche.
Due anni prima, Kurz aveva già affrontato la relazione di condizionalità tra la rottura ontologica (profonda), che sarebbe necessaria, e l'esigenza ontologica (irrealizzabile) che si oppone alla rottura delle condizioni esistenti. Questa rottura sarebbe condizionata dal riconoscimento della crisi, così come l'insufficienza della critica, insieme alle corrispondenti formazioni di compromesso sono la conseguenza di questa necessità. Si tratta di rendere possibile il capovolgimento di tale situazione: «La critica categoriale senza rassicurazione ontologica e la crisi categoriale, in quanto limite interno strettamente oggettivo della produzione di plusvalore, si condizionano a vicenda»; cioè a dire, o la crisi e la critica colpiscono il loro nucleo categoriale comune, oppure scompaiono simultaneamente e ciascuna per conto proprio; in quest'ultimo caso, «una critica tronca, che non ha come obiettivo le fondamenta» - e quindi immanente - non vuole sapere niente della crisi, e pertanto sostiene «il postulato secondo cui la produzione di plusvalore sia capace di rigenerarsi eternamente» [*18]. Un anno dopo l'inizio della cosiddetta crisi finanziaria del 2008, Kurz sottolinea ancora una volta il livello categoriale della crisi evidenziato dalla critica della dissociazione del valore, vale a dire: un limite interno assoluto alla valorizzazione, che porta inevitabilmente al collasso della socializzazione capitalistica; tuttavia, egli rileva simultaneamente anche un «arretramento riguardo le conseguenze della crisi categoriale, il quale anestetizza qualsiasi capacità di riflessione» [*19].
A partire da questo, si capisce perciò perché la lettera di cui stiamo parlando, scritta due anni più tardi, affermi che «l'atteso rinnovamento teorico può che essere essenzialista solo in senso negativo» e deve «porsi in maniera anti-relativista rispetto alla falsa totalità» [*20].
Sempre in quello stesso anno, Kurz traccia una panoramica di quello che è il contesto storico interno dello sviluppo capitalistico, sottolineando come, ancora una volta, tale sviluppo non obbedisca ad altro che a una dinamica di crisi. Pertanto, la domanda sul perché il capitalismo sopravviva a ogni crisi è già mal posta. Sarebbe preferibili dire che piuttosto il capitalismo vive la crisi. O più precisamente, detto proprio come risposta, il capitalismo è la crisi.
E dunque che dire di questo capitalismo in crisi? Benché ci ricordi - ammiccando al fatto - che Marx «purtroppo non ci ha lasciato una teoria pratica della crisi, nel formato di un manuale divulgativo», Kurz mette insieme comunque gli elementi di una risposta a questa domanda rintracciandoli proprio nel fondatore della critica dell'economia politica; e questo lo fa nel quadro di una lettura critica approfondita di Marx, con Marx e oltre Marx [*21], che arriva fino al terzo volume del Capitale, pubblicato undici anni dopo la sua morte, nel quale Marx formula la teoria della caduta tendenziale del tasso di profitto [*22]. Kurz conclude a partire dalla sua lettura: «Su questa base, il problema a lungo termine non è quello della periodica mancanza di realizzazione del plusvalore sul mercato, ma molto più fondamentale, consiste piuttosto nella sua stessa mancanza di produzione» [*23].
Detto in altri termini, «il presupposto e la condizione della teoria marxiana della crisi, è costituito da quella tesi che riguarda la scomparsa del lavoro stesso». Da questo punto di vista, la crisi «non è altro che la perdita della sostanza oggettivata del capitale, causata dal suo stesso meccanismo interno». Il lavoro, secondo Kurz, «fuoriesce e sfugge come fa la sabbia dal sacco, attraverso un buco, o l'acqua attraverso una perdita nel serbatoio». Ecco cosa succede, in dettaglio:
« Il capitale si svuota e si indebolisce, e la sua vita nutrita dal lavoro si ferma. Quando una delle componenti del soggetto automatico, vale a dire il lavoro, si esaurisce, ecco che l'altra, il denaro, si vede costretto a decrescere - perde la sua sostanza, e quindi il suo valore, e diventa esso stesso obsoleto. Si verifica un'interruzione nel rapporto, o nella forma di circolazione sociale generale della sua triplice mediatizzazione: lavoro astratto, reddito monetario e consumo di merci. L'intero stile di vita apparentemente naturale basato su queste relazioni feticistiche si sgretola e diviene praticamente impossibile. Ci veniamo allora a trovare di fronte alla seguente assurdità: tutti i mezzi, insieme a tutte le capacità di una ricca riproduzione ricca abbondano, ma gli uomini paralizzati dalla "mano invisibile" [A. Smith] del capitale non possono più concretizzare le proprie possibilità, perché non soddisfano più al fine irrazionale del soggetto automatico» [*24].
A partire da questo, bisogna riconoscere due cose: da un lato, «che la crisi non si sviluppa affatto in maniera lineare, ma progressiva», vale a dire «che essa presenta una tendenza storica crescente»; e dall'altro, e contemporaneamente, che queste frasi non descrivono una situazione futura, ma quella che è di già la nostra situazione attuale [*25] - e ormai lo fanno già da mezzo secolo [*26].
3. Mediazione della contraddizione
Uno dei grandi punti di forza della "critica del valore", co-fondata da Robert Kurz negli anni Ottanta, è senza dubbio il fatto che essa si sviluppi «a partire dall'immanenza capitalistica». Naturalmente, qui possiamo solo indicarlo; per capirlo, possiamo farlo solo leggendo noi stessi le opere di Robert Kurz, così come si sono susseguite: da "Der Kollaps der Modernisierung" (1991),"Honeckers Rache. Zur politischen Ökonomie des wiedervereinigten und Marktwirtschaft" (1991-1993) a "Schwarzbuch Kapitalismus" (1999), quindi a "Weltordnungskrieg" (2003) e "Weltkapital" (2005), fino a "Geld ohne Wert" (2012). [*27]
La conseguenza di questo dispiegamento immanente, ossia che la critica della dissociazione del valore non può più «adottare un punto di vista di un'identità ontologica e di un interesse positivo», le è stata ripetutamente rimproverata da più parti. Tuttavia, è erroneo considerare questo aspetto come una debolezza della critica. Al contrario, possiamo vedere in essa quella che è la sua vera forza, che la pone di fronte a una sfida incessante. Ciò in quanto, la «contraddizione in processo» (Marx) del sistema capitalistico della modernità produttrice di merci, procede di pari passo con il «trattamento della contraddizione» [*28] in maniera affermativa all'interno del sistema, che si oppone alla necessaria «mediazione della contraddizione» (Kurz) che è critica, ad esempio del fatto che tale «trattamento della contraddizione» produca quelle forme di «contro-pratica» immanente le quali, tuttavia, malgrado la loro opposizione esteriore all'amministrazione degli esseri umani e della crisi, parte integrante della stessa riproduzione capitalistica, a causa della loro origine rimangono «necessariamente particolari»: «esse sono critiche solo in relazione a dei singoli fenomeni della riproduzione capitalistica, e si riferiscono [solo ed esclusivamente] alle forme sociali date» [*29]. Ed è proprio qui che si nota una grande vicinanza con l'approccio psicoanalitico, che non tratta il sintomo come se fosse una «manifestazione isolata» e separata; a differenza degli approcci terapeutici multipli.
Ancora una volta, il punto di partenza è il riconoscimento della contraddizione: «Il capitale è un'autocontraddizione processuale a partire dal fatto che, da un lato, ha come unico scopo l'incessante accumulazione di valore, o la "ricchezza astratta" (Marx), ma dall'altro la concorrenza lo costringe a rendere sempre più superflua la forza-lavoro umana - fonte esclusiva di questo valore - attraverso lo sviluppo delle forze produttive, e a sostituirla con l'apparato scientifico e tecnico. Ora, lo sviluppo delle forze produttive non è un eterno ritorno dello stesso, bensì un processo storico irreversibile» [*30]. Ora, questa contraddizione viene sempre affrontata in maniera immanente e affermativa; ad esempio, nel fatto che «l'interesse dell'esistenza capitalistica [viene legato] alle categorie feticcio ontologizzate e socialmente generalizzate, sottoponendole a un'interpretazione, o meglio, a quella che diventa una vera e propria interpretazione-reale che arriva fino alle manifestazioni omicide del sessismo, del razzismo e dell'antisemitismo» [*31]. Ma qui si tratta proprio di rompere un simile trattamento - che preserva il processo capitalistico - e di aprire invece la strada alla mediazione della contraddizione: in una simultanea direzione del suo superamento.
Una delle idee fondamentali della critica della dissociazione del valore, consiste nel fatto che la «contraddizione in processo», e il «trattamento della contraddizione» che ne consegue corrodono tutte le categorie del moderno sistema di produzione di merci. La «mediazione» di tale contraddizione deve perciò attaccare contemporaneamente tutte le categorie .
La panoramica delle categorie capitalistiche elementari che segue, mostra come sia del tutto giustificato, in questo contesto, parlare della totalità della socializzazione negativa del valore [*32]:
- La nozione astratta di "lavoro"
- il "valore" economico
- la presentazione sociale dei prodotti come "merce"
- la forma generale del denaro
- il passaggio sui "mercati"
- il riunire questi mercati in "economie nazionali"
- i "mercati del lavoro", in quanto condizione per un'economia di mercato, finanziaria e su larga scala
- lo Stato visto come una "comunità" astratta
- Il "Diritto" generale e astratto che regola tutte le relazioni personali e sociali in quanto forma di soggettività sociale
- la forma dello Stato, pura e perfezionata, che è la "democrazia"
- il travestimento irrazionale, culturale e simbolico della coerenza economica nazionale vista come "nazione"
In definitiva, è il concetto marxiano di valore a dare forma a questa relazione categoriale, e questo avviene fin dall'inizio. Robert Kurz non solo ha saputo evidenziare il modo in cui la «forma sociale» [Formzusammenhang] di queste categorie fondamentali della moderna socializzazione capitalistica, da un lato, «si sono costituite attraverso processi storici ciechi», e dall'altro, sono state anche «imposte agli uomini nel corso di diversi secoli di educazione, assuefazione e interiorizzazione da parte di protagonisti e governanti»; con il risultato che «queste categorie sono state ben presto viste come delle insormontabili costanti antropologiche che sfidano ogni critica» [*33]. Robert Kurz ha anche, e soprattutto dedotto che, in questo modo, la «prima difficoltà di una critica categoriale del capitalismo» è «strappare queste categorie al loro status di muta evidenza muta, per renderle esplicite, e quindi finalmente accessibili alla critica» [*34].
4. Critica del lavoro
Anche se da quanto si è appena detto si evince, nello spirito della critica radicale, che non si tratta di svincolare nemmeno una sola categoria, da quello che è il suo rapporto formale con le altre, per criticarla singolarmente; non di meno, la "critica della dissociazione del valore" è stata, fin dall'inizio, soprattutto una «critica del lavoro». [*35]
Ne testimonia, come nessun'altra, la frase per mezzo della quale Robert Kurz, cinque anni dopo la pubblicazione del manifesto del 1999 pubblicato allora nell'ambito del gruppo Krisis - «Proletari di tutto il mondo, ora basta!» -, riassumeva i diciotto punti del "Manifesto contro il lavoro": «Il lavoro concreto e il lavoro astratto sono un'unica e medesima cosa; e si riuniscono sommandosi nell'astrazione "lavoro" in quanto astrazione reale». [*36]
La categoria del lavoro astratto [*37] non è certo «qualcosa di sovra-storico» [*38], ma nondimeno essa si presenta comunque come una «follia metafisica» [*39]; ha certamente a che fare con «una questione di coscienza» [*40], ma rappresenta al tempo stesso non solo un «rovesciamento del concreto e dell'astratto» [*41], ma anche «la relazione tra il generale e il particolare [vista] al contrario» [*42]; e quindi il lavoro astratto è il testimone di «un sistema fantasma» che esso ha generato, e all'interno del quale finisce per essere «nel mondo, ma non del mondo» [*43].
Allo stesso modo in cui il valore, in quanto astrazione reale, dà forma al legame tra le categorie e la merce, ricevendo il suo carattere dalla relazione feticista, così anche il lavoro fornisce al capitale la sua sostanza "unheimlich" (inquietantemente strana). Il lavoro astratto costituisce così «il modo in cui il principio sociale essenziale non materiale, si impadronisce terribilmente del mondo materiale» [*44]. La socializzazione che ne deriva, è da definirsi negativa, poiché è attraverso di essa che le persone sono sì nel mondo, ma allo stesso tempo non sono del mondo.
5. Contro la corrente, contro la marea, contro la gravità
A partire da questo momento, si comprende come veramente non ci sia «alcuna rivoluzione» all'orizzonte, «da nessuna parte»!
Se è vero, come ha detto Robert Kurz, che più il mondo diventa economico, più è soggetto alle crisi; e più è soggetto alle crisi, più la sua coscienza diventa economica, «ma in una maniera del tutto a-teorica e a-critica» [*45], quali possibilità ci lascia allora di cambiare le condizioni o le relazioni sociali, una simile situazione?
«Nessuna rivoluzione, da nessuna parte», può anche essere intesa in un altro modo, ossia, nel senso dell'introduzione di Robert Kurz al suo ultimo libro, definendola "La rivoluzione teorica incompiuta".
Si tratta della rivoluzione iniziata da Karl Marx. Viene detta incompiuta perché, per progredire, l'opera di Marx necessita di una nuova, diversa lettura. Ed è allo sviluppo di questa nuova e diversa lettura che Robert Kurz ha dedicato tutta la sua vita.
Nello spirito di questa lettura, si tratta sempre e comunque di «ripristinare», controcorrente e contro la forza di gravità, «una cultura teorica della critica dell'economia politica». [*46] E oggi, in questo stesso spirito, a dieci anni dalla sua morte, l'opera di Robert Kurz è ben lungi dall'essere stata portata a termine.
Ho cominciato partendo da una citazione. Vorrei concludere con una citazione. E più precisamente con tre frasi che provengono dall'inizio, vale a dire da un suo scritto risalente al 1987 e che viene ancora indicata come un testo fondante della critica della dissociazione del valore. Trentacinque anni dopo, queste parole non sono invecchiate di una sola ruga, anzi! Sono al contrario rimaste freschissime, e continuano a testimoniare quale fuoco ardesse in Robert Kurz: «L'attuale compito, storicamente attuale, è la preparazione teorica e pratica di una rivoluzione che liquidi il valore, e pertanto il denaro. Tutto il resto è solo paccottiglia teorica e ideologica. La bomba vera e propria - in quanto nucleo dell'opera di Marx, la sua esplosiva eredità per il futuro - deve ancora essere innescata». [*47]
- Frank Grohmann, 18 luglio 2022, nel corso della commemorazione nel 10° anniversario della morte di Robert Kurz
NOTE:
[*1] - Dalla prefazione di Kurz, R. (2012), "Geld ohne Wert. Grundrisse zu einer Transformation der Kritik der politischen Ökonomie", Horlemann, Berlin, 2012, pag. 10.
[*2] - Kurz, R. (2004), "Raison sanglante. Essais pour une critique émancipatrice de la modernité capitaliste et des Lumières bourgeoises", Crise & Critique, Albi, 2021, p. 83.
[*3] - Claus-Peter Ortlieb parla del «"carattere di feticcio della merce" introdotto metaforicamente da Marx»; in Ortlieb, C.-P. (2019), «Westliche Werte? Aufklärung und Fetisch», Zur Kritik des modernen Fetischismus, Schmetterling Verlag, Stuttgart, 2019, p. 211; diciassette anni prima, Ortlieb aveva già parlato dell'«uso metaforico del concetto di feticcio» da parte di Marx riferendosi alla «socializzazione della merce», - cfr. Ortlieb, C.-. P. (2002), «Die Aufklärung und ihre Kehrseite», Zur Kritik des modernen Fetischismus, a.a.O., pag. 236.
[*4] - Ortlieb, C.-P. (2002), "Die Aufklärung und ihre Kehrseite", op. cit, ibid.
[*5] - Kurz, R. (2001), Lire Marx !, Les Balustres, Parigi, 2002, pag. 49 e pag. 213.
[*6] - Kurz, R. (2004), Raison sanglante, op. cit., p. 131.
[*7] - « On arrête tout. On réfléchit. Et c’est pas triste. » Gébé, L’an 01 (1971), L´Association, Paris, 2014.
[*8] - R. Kurz (2010), L´État n’est pas le sauveur suprême. Thèses pour une théorie critique de l´État, Crise & Critique, Albi, 2022, p. 24
[*9] - Kurz, R. (2004), Raison sanglante, op. cit., p. 135. Perquel cheriguarda il rimprovero ricorrente all'eccessività di questa lotta - di fronte alla pesantezza ideologica - «il problema viene a essere così rovesciato»: la critica radicale è accusata di ciò che dovrebbe essere invece imputato al rapporto sociale reale. Invece della relazione reale soggiacente, è la critica ideologica ad apparire come "totalitaria"?». Kurz, R. (2004), La substance du capital, L´Échappée, Paris, p. 29.
[*10] - In ogni caso, quello che noi percepiremmo è solo una differenza rispetto alle condizioni della forza di gravità sulla Terra. Questa differenza è di circa un sesto sulla Luna e di circa un terzo su Marte.
[*11] - Solo qualche indicazione: Robert Kurz parlava già nel 1992 di una «dimensione psicoanalitica della critica della forma merce». (Kurz, R. (1992), "Geschlechtsfetischismus. Anmerkungen zur Logik von Weiblichkeit und Männlichkeit", Krisis, 12, 1992; un anno dopo afferma «che il concetto chiave per comprendere ciò che rappresenta l'elemento realmente costitutivo, non può essere altro che quello di inconscio». (Kurz, R. (1993), "Dominio senza soggetto", in Raison sanglante, op. cit., p. 278; all'alba del nuovo millennio, troviamo la sua osservazione sul«la psicoanalisi dichiarata prematuramente morta» (ma anche sul«la critica femminista del linguaggio») che contengono delle «possibilità non sfruttate», non solo per scoprire «la storia rimossa e la falsa oggettivazione delle coercizioni capitalistiche», ma che allo stesso tempo rendono visibile «il processo di "interiorizzazione psichica" di tali coercizioni». (Kurz, R. (1999), "Die kulturelle Richtung des 21. Jahrhunderts. Symbolische Orientierung und neue Gesellschaftskritik", http://www.exit-online.org ; e ancora, a cavallo dell'anno 2014/15, Claus-Peter Ortlieb scrive: "La maggior parte delle domande sulla natura dell'incantesimo [...] feticistico, e su come romperlo, rimangono aperte. Per chiarirle, potrebbe essere interessante sfruttare le categorie psicoanalitiche a sostegno della critica della dissociazione del valore qui sostenuta». (Ortlieb, C.-P. (2014/15), "Krisenwirren", Zur Kritik des modernen Fetischismus. Die Grenzen bürgerlichen Denkens, Schmetterling Verlag, Stuttgart, 2019, pag. 343.
[*12] - Kurz, R. (2004), Raison sanglante, op. cit., p. 184.
[*13] - Ibid., p. 191.
[*14] - «In questo feticismo di una socializzazione di cose morte, piuttosto che di uomini vivi, e che costituisce l'essenza del "soggetto automatico", si viene a stabilire una relazione di forma e contenuto sostanziale, che è allo stesso tempo reale e fantasmagorico». Kurz, R. (2000), "Marx 2000", Weg und Ziel, 2/99.
[*15] - Kurz, R. (2012), "Keine Revolution, nirgends. Offener Brief an die InteressentInnen von EXIT zum Jahreswechsel 2011/12". Pubblicato sul sito web di EXIT, gennaio 2012. Stampato in: Der Tod des Kapitalismus. Marxsche Theorie, Krise und Überwindung des Kapitalismus, LAIKAtheorie, Amburgo, 2013.
[*16] - E pertanto: ovunque, o repressione brutale o strumentalizzazione soft della rivolta.
[*17] - Kurz, R. (2012), "Keine Revolution, nirgends", op. cit, p. 156.
[*18] - Kurz, R. (2009), "Weltkrise und Ignoranz", EXIT! 6, 2009. Citato qui dalla ristampa in Weltkrise und Ignoranz. Kapitalismus im Niedergang, Edition Tiamat, Berlino, 2013, p. 205.
[*19] - Ibidem, p. 209.
[*20] - Kurz, R. (2012), "Keine Revolution, nirgends", op. cit, p. 161.
[*21] - E che, come è noto, porta al riconoscimento di un "duplice" Marx, un Marx "essoterico" e un Marx "esoterico".
[*22] - Per ogni capitale monetario investito, la quota di capitale fisico aumenta costantemente, mentre il numero di lavoratori che possono essere mobilitati con questo mezzo diminuisce altrettanto regolarmente. [...] Poiché solo la forza lavoro produce nuovo valore, il profitto medio su scala sociale, per capitale monetario avanzato, deve diminuire , anche se la quota relativa di plusvalore nella produzione di valore di una forza lavoro aumenta. Nel risultato sociale, ciò che conta è il rapporto di grandezza tra le due tendenze opposte. Kurz, R. (2012), "Die Klimax des Kapitalismus. Kurzer Abriss der historischen Krisendynamik", Weltkrise und Ignoranz. Kapitalismus im Niedergang, op. cit, p. 233.
[*23] - Ibid. p. 232: «Il capitalismo raggiunge il suo apice quando l'espansione interna viene raggiunta e sorpassata dallo sviluppo delle forze produttive. È allora che la caduta relativa del tasso di profitto si trasforma in una caduta assoluta della massa sociale di plusvalore, e quindi del profitto, ed è quindi allora che la presunta eterna valorizzazione del valore si trasforma nella sua svalorizzazione storica». Ibidem, p. 235.
[*24] - Kurz, R. (2001), Leggere Marx, op. cit, p. 255.
[*25] - «È certo che bisognerà considerare in maniera più approfondita se la terza rivoluzione industriale della microelettronica abbia effettivamente portato a raggiungere il limite interno assoluto del capitale. Ma questo è esattamente l'esame che il corpo scientifico accademico insieme al patetico residuo della sinistra politica, si rifiuta di fare». Kurz (2001),Lire Marx !, op. cit., p. 258.
[*26] - «La crisi viene assai meno analizzata, di quanto non sia invece rimossa e negata. Il paradosso sussiste a partire dal fatto che la teoria economica viene invalidata tanto più rapidamente quanto più si manifesta la crisi delle categorie economiche». Ibidem. Si veda anche Grohmann, F. (2020), "Die Vermittlung des Widerspruchs und die doppelte Aufgabe der Psychoanalytiker", Junktim - Forschen und Heilen in der Psychoanalyse, #3, Umwelt, Krise, Unbewusstes, Turia & Kant, Wien, Berlin, 2020.
[*27] - Una serie di cui "Raison sanglante", pubblicato nel 2004, non è solo il titolo principale, ma il cui contenuto riunisce i fili e prepara il terreno per le fasi successive.
[*28] - Si veda in dettaglio: Kurz, R. (2007), Gris est l'arbre de la vie, verte est la théorie, Crise & Critique, Albi, 2022.
[*29] - «A livello della "pratica pratica", con le sue molteplici sfere e mediazioni, il trattamento della contraddizione non è mai originario, immediato e, per così dire, riflessivamente innocente; esso è, al contrario, sempre ideologicamente carico e impregnato di teoria, sebbene la coscienza quotidiana non ne sia consapevole. Nell'interpretazione (reale) permanente e "contestata" del capitalismo, la "pratica teorica" e la "pratica pratica" costituiscono entrambe una pratica ideologica e si incontrano proprio su questo punto. Questa "pratica ideologica" rappresenta la vera e prorpria relazione di mediazione dell'unità negativa tra teoria e pratica; rappresenta una componente centrale della riproduzione capitalistica in quanto entra nell'azione materiale e sociale feticisticamente costituita della valorizzazione e della dissociazione del valore». Ibidem, pp. 46-47.
[*30] - Come mostra Marx nei Grundrisse, ci stiamo muovendo verso una situazione in cui i prodotti sono certamente dei beni di uso quotidiano, ma che, in quanto merci non possono rappresentare una quantità sufficiente di energia lavorativa umana del passato. Diventano invendibili poiché non rappresentano più alcun valore astratto. Non si tratta di un'epurazione, ma di una "barriera interna" (Marx) del capitale». Kurz, R. (2012), "Die Klimax des Kapitalismus", op. cit. pag. 232.
[*31] - Kurz, R. (2007), Gris est …, op. cit, p. 116.
[*32] - Kurz, R. (2001), Lire Marx !, op. cit., p. 24.
[*33] Ibidem, p. 24: «L'economia politica [...] e con essa tutte le altre scienze sociali differenziate (ormai definitivamente declassate al rango di semplici scienze secondarie, per non dire al rango "di ausiliari di polizia" teorici dell'economia politica) non hanno per oggetto le categorie capitalistiche in quanto lavoro, valore, merce, denaro, mercato, Stato politico, ma le hanno in quanto cieca precondizione del loro ragionamento "scientifico". Non si cerca più di conoscere il 2perché2 e il "percome" della forma soggettiva dello scambio di merci, della trasformazione della forza lavoro in denaro e del capitale finanziario in plusvalore; ma solo il "come" della sua funzione, allo stesso modo in cui gli scienziati della vita analizzano solo il "come" delle cosiddette leggi naturali». Ibidem, p. 37. .
[*34] - Ibidem, p. 37.
[*35] - Kurz, R. (2007), Gris est …, op. cit., p. 14
[*36] - Kurz, R. (2004), La substance du capital, Crise & Critique, Albi, 2019, p. 118.
[*37] - «È solo il moderno sistema di produzione di merci, con il suo fine in sé di trasformare incessantemente l'energia umana in denaro, che ha dato origine a una particolare sfera di ciò che viene chiamato lavoro, staccata da tutte le altre relazioni, astratta da ogni contenuto; una sfera di attività dipendente, incondizionata e non correlata, robotizzata, separata dal resto del contesto sociale e che obbedisce a un'astratta razionalità "d'impresa", di scopo, che sta al di sopra dei bisogni. [...] L'accumulo di "lavoro morto" sotto forma di capitale, rappresentato come denaro, è l'unico "senso" che il moderno sistema di produzione di merci conosce». Gruppo Krisis, Manifest gegen die Arbeit, pagg. 9-10.
[*38] - «Nella sua forma storica specifica, esso [il lavoro astratto] non è altro che il dispendio astratto di forza lavoro umana e il consumo di materie prime della natura nella "economia d'impresa". [...] Il lavoro, in questa strana astrazione, può anche essere definito dal suo altrettanto strano carattere di fine in sé». Kurz, R. (1991), L’effondrement de la modernisation. De l’écroulement du socialisme de caserne à la crise du marché mondial, Crise & Critique, Albi, 2021, p. 32.
[*39] - «"Lavoro morto"? Una follia metafisica! Sì, ma una metafisica che è diventata una realtà palpabile, una "follia" oggettivata che tiene in pugno questa società. Nell'eterna compravendita, gli uomini non si scambiano come esseri sociali autocoscienti, ma si limitano a eseguire, come automi sociali, il fine in sé a loro presupposto». Gruppo Krisis, Manifest gegen die Arbeit, pagg. 9-10.
[*40] - Per ciò che concerne la "follia metafisica", non si tratta quindi «né di un problema materiale, né di un problema tecnico o organizzativo, ma solo di una questione di coscienza. Per poter sopravvivere come civiltà, l'umanità deve liberarsi dal lavaggio del cervello del liberalismo e del suo sistema benthamiano, vale a dire, deve rigurgitare in qualche modo le coercizioni e le imposizioni interiorizzate della cieca macchina del denaro, al fine di poter così affrontare senza pregiudizi il rapporto tra le risorse disponibili e il loro ragionevole uso sociale. Ciò significa non cercare più di combinare le forme, le categorie e i criteri sociali dominanti in un'altra combinazione, ma abolirli del tutto puramente e semplicemente». Kurz, R. (1999), Schwarzbuch Kapitalismus. Ein Abgesang auf die Marktwirtschaft, Eichborn, Francoforte sul Meno, 1999, p. 783.
[*41] - «All'inversione dei fini e dei mezzi quindi corrisponde un'inversione del concreto e dell'astratto; il concreto è ora solo l'espressione dell'astratto e non il contrario. Il cosiddetto "lavoro concreto", e il corrispondente spettro del "valore d'uso" non sono quindi il lato "buono" del sistema, orientato verso i bisogni, ma sono essi stessi solo la manifestazione concreta di un'astrazione reale. L'attività produttiva concreta appare socialmente solo come "portatore" di questa astrazione. Non esiste per sé stessa, ma è sottomessa al diktat della "valorizzazione del valore". Il "lavoro concreto" produce quindi anche dei risultati irrazionali e distruttivi dal lato del valore d'uso; e questo è all'insaputa di tutti i partecipanti, che tuttavia rimangono comunque incatenati alla coercizione strutturale del sistema». Kurz, R. (1999), "Marx 2000", Weg und Ziel, 2/99.
[*42] - «Sarei tentato di dire che queste definizioni marxiane riflettono il vero paradosso della relazione di capitale e della sua socializzazione centrata sul valore, dal momento che in questo caso il capitale riduce effettivamente ("realmente") a un'astrazione quello che è concreto in sé, l'infinita diversità del mondo, e inverte completamente la relazione tra universale e particolare. Invece dell'universale che emana dal particolare, il particolare viene ridotto a una manifestazione dell'universale totalitario. Quanto al concreto, esso non rappresenta più la diversità strutturata del particolare, ma è solo la "espressione" dell'universale astratto-reale, la "sostanza" universale». Kurz, R. (2004), La substance du capital, op. cit., p 50-51.
[*43] - «Questo sistema fantasmatico del "lavoro astratto" in quanto forma di movimento della "ricchezza astratta" è nel mondo, ma non è del mondo. Non è affatto un dio, bensì la vittima risvegliata a una vita sintetica e veramente fantasmatica». Kurz, R. (2012), Geld ohne Wert. Grundrisse zu einer Transformation der Kritik der politischen Ökonomie, Horlemann, Berlino, 2012, p. 404.
[*44] - Kurz, R. (2004), La sostanza del capitale, op. cit, p. 44.
[*45] - Kurz, R. (2001), Lire Marx !, op. cit., p. 258
[*46] - Ibidem.
[*47] - Kurz, R. (1987), "Abstrakte Arbeit und Sozialismus. Zur Marxschen Werttheorie und ihrer Geschichte", Marxistische Kritik, 4, dicembre 1987.
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