Una nota sulla necessaria denaturalizzazione della categoria del valore d'uso
- di Benoît Bohy-Bunel - 10/4/2021 -
Si potrebbe essere tentati di contrapporre la «concretezza» del valore d'uso all'astrazione del valore. E a partire da questo, nel criticare il capitalismo, si potrebbe voler promuovere un qualche «ritorno» al valore d'uso. Tuttavia, in ogni caso, una simile posizione teorica non sarebbe soddisfacente, e rappresenterebbe un anticapitalismo tronco. Infatti, conviene sottolineare come questa «oggettività» che viene associata al valore d'uso del prodotto, non sia di per sé un fatto «naturale». Ma essa si trova già socialmente costituita, ed è storicamente specifica.
Il valore d'uso non è una categoria trans-storica. Al contrario, il valore d'uso non è altro che il duplicato, opposto ma complementare, del valore in senso capitalista, e pertanto esso stesso altrettanto specifico della modernità capitalista. L'atto di ricondurre gli oggetti definiti come merci, al valore d'uso «in generale» - alla loro utilità funzionale «tout court» - non è un evento ontologicamente «umano», ma è piuttosto il risultato di una riduzione e di una sintesi sociale propriamente moderna. L'astrazione del valore implica e presuppone l'astrazione del suo opposto, il valore d'uso. Il fatto di associare quelle che sono delle semplici proprietà fisiche incommensurabili delle merci a una definizione astratta del «concreto» (valore d'uso), non è antropologicamente insuperabile, ma rimanda invece alla specificità della società della valorizzazione delle merci. Questa situazione è stata descritta assai bene da Kornelia Hafner, nel suo testo "Il feticismo del valore d'uso".
L'utilitarismo astratto è di fatto un'ideologia che accompagna lo sviluppo della moderna società delle merci. Su questo, evidentemente, possiamo prendere le distanze nei confronti di una specifica presa di posizione di Marx, che porterebbe a «ontologizzare» il valore d'uso stesso (ma una tale presa di posizione, non sarebbe però in linea con la denaturalizzazione che si pretende nel I capitolo del Capitale). Questa pretesa di denaturalizzazione del valore d'uso non è aneddotica perché, come vedremo più avanti, le moderne ideologie patriarcali o antisemite hanno potuto sviluppare un anticapitalismo tronco che, per l'appunto, feticizzava questo «concreto», questo «valore d'uso», a beneficio del capitale produttivo nazionale. Pertanto, una critica emancipatrice del capitalismo non deve solo promuovere un qualche «ritorno» al valore d'uso «in generale», ma se si tratta di uscire effettivamente dalle categorie capitaliste, allora si tratta di uscire anche da questa definizione astratta di «concreto». In una società emancipata, la definizione della creazione collettiva delle condizioni di vita potrebbe di certo significare l'assunzione consapevole della responsabilità dei bisogni e dei desideri umani, e della ricchezza concreta sensibile, ma senza però schiacciare le singolarità e le pluralità (senza generalizzazioni astratte e distruttive).
- Benoît Bohy-Bunel - 10/4/2021 -
fonte: benoitbohybunel
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