venerdì 26 novembre 2021

Il rumore dei passi …

Le memorie di García Oliver si scontrano con il revisionismo storico che prevale in Spagna.
- Intervista a Chris Elham -
- di Guillermo Martínez - Madrid , 25/11/2021

Le sue memorie, le ha chiamate "El eco de los pasos". Juan García Oliver, anarco-sindacalista, fondatore insieme ad Ascaso e Durruti de Los Solidarios e ministro della Giustizia durante il governo di Largo Caballero, sapeva che il suo viaggio, e le sue memorie, avrebbero avuto risonanza nel tempo, come un grido che riecheggia a cielo aperto. La mitica casa editrice "Ruedo Ibérico", diretta dall'anarchico José Martínez, le aveva pubblicate nel 1978. Ora, più di quarant'anni dopo, e nel 120° anniversario della nascita dell'autore, le Edizioni Virus ristampano le quasi 1.000 pagine che ora compongono il volume. Ne parliamo con Chris Ealham - nato a Kent (UK) nel 1965 - autore dell'Introduzione al libro. L'ispanista britannico racconta la vita dell'anarco-sindacalista da un punto di vista critico e demistificante.

Guillermo Martínez: Le memorie, sgranano un viaggio attraverso i distinti fronti biografici di García Oliver: la strada, il Comitato delle Milizie, il Governo e, infine, l'esilio. Quale di questi periodi è stato il più decisivo per l'anarco-sindacalista?

Chris Elham: Il più importante è stato senz'altro il suo periodo nelle strade, come anarco-sindacalista, e anche se il libro mostra quali sono state le varie stazioni nella vita dell'autore, le descrizioni più nitide sono quelle che raccontano il suo periodo nel Comitato delle Milizie e quello in cui è al Governo. Nella prima fase della sua vita, mostra chi era veramente: un uomo d'azione, nella strada. Racconta la formazione del suo ribellismo e come, già quasi da bambino, egli sia diventato un combattente anarco-sindacalista. Egli stesso racconta cosa significava nascere in una famiglia operaia in quel periodo, la sua appartenenza al sindacato, il suo contatto con i gruppi anarchici e la sua formazione ideologica, il primo sciopero, il suo inevitabile periodo in prigione, il pistolerismo, e di come entrò poi in contatto con Durruti e con Ascaso, entrando così a esser parte dei mitici tre moschettieri dell'anarco-sindacalismo spagnolo, formando il gruppo Los Solidarios. E se parliamo della strada, il momento più emozionante e decisivo per lui fu proprio quel luglio 1936, quando guidò la resistenza armata contro i ribelli militari a Barcellona.

G.M.: È proprio lo stesso Garcia Oliver, che nel libro si chiede cosa sarebbe successo nella capitale catalana, se non fosse stato per lui?

C.H.: È vero che negli anni '30 García Oliver è stato l'architetto dei comitati di difesa, e che furono questi comitati a scendere in piazza per combattere i golpisti di luglio, ma bisogna anche riconoscere che c'erano anche molte altre persone le quali non appartenevano ai comitati, e questo sebbene, a Barcellona, la CNT era l'organizzazione con la maggiore presenza. In questo senso, ci sono state molte esagerazioni sulla "ginnastica rivoluzionaria" di García Oliver che, secondo me, dopo tutto non è poi stato così importante, come per esempio altri eventi, quali la rivoluzione asturiana del 1934. Non intendo sminuire García Oliver, dal momento che egli è stato un uomo coraggioso, e lo ha dimostrato nelle strade, ma la sua posizione Si è trovata a essere sponsorizzata anche dal crollo dello Stato repubblicano nel momento stesso del colpo di stato militare.

G.M.: Per García Oliver, la guerra civile fu comunque un'opportunità e un'occasione di rivoluzione sociale?

C.H.: Io credo di no, e questo nemmeno all'inizio. Il fatto che García Oliver avrebbe offerto un'alternativa al fronte popolare, a partire dal fatto che egli non ha sostenuto una politica genuinamente rivoluzionaria, mi sembra un mito. È vero che nei primi giorni, dopo aver stroncato il golpe fascista, fu lui, in una riunione di cenetisti, a difendere la formula di andare fino in fondo, ma la cosa fallì. Le persone devono essere giudicate a partire dalle loro azioni, e non dalle loro parole. Quello che disse in quella riunione, mi sembra sia stata una posa, anche perché subito dopo accettò in toto  il Fronte Popolare, con tutte le conseguenze del caso. Il suo voler andare fino in fondo, fu più che altro retorico, infatti è stato dimostrato che, ancora prima di luglio, aveva già accettato il Fronte Popolare, e ci furono degli anarchici più radicali, come José Peirats, che lo avevano criticato proprio per questo  già nella primavera del 1936. Di quella riunione, ciò che egli non racconta nel suo libro, è che c'era una piccola minoranza, la quale sosteneva la rivoluzione al di là della guerra, e che quando non venne dato alcun seguito alla proposta, per protesta lasciò il tavolo.

G.M.: Lui, insieme a Federica Montseny, Juan López Sánchez e Joan Peiró è stato uno degli anarchici che ingrossarono le file del governo repubblicano di Largo Caballero. Se n'è mai pentito?

C.H.: Per quanto ne so, no, non si è mai pentito. Diventare ministro ha costituito per lui la svolta più importante della sua vita politica, anche se questo significava che la CNT sarebbe così andata soggetta alla disciplina del governo. Allo stesso tempo, c'è stata anche un'altra questione, che egli non racconta nei suoi testi. Mentre era ministro della Giustizia, divenne allo stesso tempo anche uno degli uomini forti della CNT: un duro nei Comitati superiori. E ha usato il suo carisma, la sua influenza e a volte la sua forza mediante la minaccia per controllare i dissidenti del movimento, quei gruppi più radicali che mettevano in discussione la politica del governo.

G.M.: Divenne ministro della Giustizia sotto la presidenza di Francisco Largo Caballero. E lo è stato solo per sette mesi, fino al maggio 1937. Ha abolito, per esempio, le spese processuali. Quali altre misure adottò per avvicinare la giustizia al popolo?

C.H.: Probabilmente, la sua iniziativa più importante fu il decreto volto a garantire l'uguaglianza giuridica delle donne. Non va dimenticato che stiamo parlando dell'unico ministro della Giustizia nella storia della Spagna che aveva passato molti anni nelle prigioni, e che era ben qualificato per riformarle. Ed è qui che sorgono delle polemiche e delle controversie, come quelle intorno alla sua iniziativa di introdurre i campi di lavoro per i prigionieri politici.
D'altra parte, non mi è del tutto chiaro come un Ministero avrebbe potuto attuare la giustizia per il popolo. Possiamo argomentare che il popolo incominciò a farsi giustizia fin dall'inizio della guerra civile, quando, per esempio, ci ebbero luogo le occupazioni delle tenute dei proprietari terrieri, o delle fabbriche. Fu allora che il popolo cominciò a esigere  la sua giustizia alla base della società e, più tardi, questa venne riconosciuta dallo Stato repubblicano.

G.M.: Per un anarchico come te, in che modo entrare nel governo ha cambiato la sua vita?

C.H.: A livello personale, il suo periodo al governo ha segnato il suo esilio, un argomento questo che non è stato molto indagato. García Oliver, come ex ministro, aveva certi privilegi rispetto ai suoi compagni cenetisti che finirono nei campi di concentramento francesi. In questo modo arrivò prima in Francia, e poi in Messico, godendo di un esilio un po' privilegiato. Con questo non voglio dire che abbia goduto di una maggiore stabilità economica, ma arrivare in Messico è stato senz'altro molto meglio che finire in altri paesi dell'America Latina, per esempio.

G.M.: E cosa rimane del «Re dei Re» quando arriva in Messico?

C.H.: Ormai si trovava lontano dal centro nevralgico della lotta antifranchista, ed è curioso che alla fine della seconda guerra mondiale non sia tornato in nessun paese europeo. In Messico si unì ai massoni, e cercò di fondare un partito politico insieme a un altro veterano di Barcellona, Aurelio Fernández, il quale aveva anch'egli partecipato ai "Los Solidarios". Ma in esilio non si impegnò troppo per quel che riguardava la difesa interna della Spagna, e molti lo criticarono per tale riluttanza. Per quel che riguardava la sua situazione personale, sia finanziariamente che emotivamente, c'è da dire che era abbastanza precario. Dopo tutto, ha sofferto un doppio esilio: dal paese, ma anche dalla sua organizzazione di lotta, se si pensa che la CNT aveva dato un senso alla sua vita quando era in Spagna.

G.M.: Ne "El eco de los pasos", tu commenti dicendo che «la verità, la bella verità, può essere apprezzata solo se, insieme ad essa, come parte di essa stessa, esiste anche il lato brutto della verità». Sottintendendo così che fino al 1978, anno originale della prima edizione, nessuno aveva raccontato quell'altro lato della verità, tanto importante quanto il più bello. Con questo, vuoi dire che durante la dittatura, l'anarchismo era stato romanticizzato?

C.H.: Più che altro, la storia del movimento anarchico è stata demonizzata. Molti miti, e anche la leggenda nera, sostenuta da alcuni storici, sono serviti a questo. Dal 1939, lo stato franchista ha generato un'immagine dell'anarchico: la figura dell'incontrollato, del terrorista. Questi cliché sono proseguiti anche in democrazia, soprattutto dopo il "caso Scala", l'incendio che ha scatenato la caccia alle streghe contro la CNT.

G.M.: Nonostante Garcia Oliver sia stato una delle figure più importanti del governo repubblicano durante la guerra, anni dopo è scomparso, rimanendo inosservato. Nessuno sembra interessato a leggere cosa ha da dire uno dei quattro anarchici che in Spagna, per la prima e ultima volta nella storia, ha partecipato a un governo borghese e liberale?

C.H.: La sua è una figura molto controversa e che divide molto la gente. Ci sono quelli che lo mitizzano per essere stato un grande rivoluzionario, mentre altri lo disprezzano per essere stato un riformista, un arrivista. D'altra parte, esiste un'intervista di García Oliver fatta da José Martínez, il suo primo editore, nella quale quest'ultimo dice che, durante il suo esilio, il cenetista visse in uno stato di morte civile; e che egli è stato una vittima della storiografia e della biografia anarchica. È vero che a livello storico vengono fatti molti riferimenti a lui, ma prima del 1978 sono tutti negativi. In ogni caso, anche le sue memorie hanno diviso la gente - proprio come la sua personalità - e ciò perché nei suoi scritti, lui ha criticato molte persone, dei compagni che erano già morti e non potevano difendersi.

G.M.: La casa editrice Virus ha recuperato questo scritto di oltre 930 pagine. Si tratta di un Memoriale per lungo tempo dimenticato e che ora, più di 40 anni dopo la sua pubblicazione da Ruedo ibérico, è di nuovo disponibile. Quale contributo può dare questa pubblicazione al tempo presente?

C.H.: Oggi, rispetto al 1978, il contesto è ora molto diverso, da quando il Memoriale venne pubblicato per la prima volta. Tuttavia, il libro rimane tuttora un testo essenziale per poter comprendere la storia politica e sociale della Spagna. Il suo valore, lo si può vedere anche nella misura in cui esso è capace di distruggere molti dei miti sulla storia dell'anarchismo e dell'anarcosindacalismo.
Virus mi ha chiesto un introduzione critica, e io penso di esserci riuscito. In quello che ho scritto, non ho inteso alimentare la mitizzazione del personaggio, e immagino che questo infastidirà i sostenitori incondizionati di García Oliver; quelle persone che preferiscono le agiografie e l'adulazione fino alla deificazione, piuttosto che l'analisi critica. Penso davvero che, se non guardiamo criticamente il passato, non saremo mai in grado di imparare niente da esso. La pubblicazione si scontra con quel revisionismo storico, in aumento in Spagna, che viene sponsorizzato da alcune organizzazioni come la Fondazione FAES di José María Aznar. Vogliono imporre una storia che sminuisce e distorce la lotta dei lavoratori, e questo libro mostra e dimostra proprio il contrario, e per questo lo considero un documento oggi molto importante.

- Intervista di Guillermo Martínez a Chris Elham - Madrid , 25/11/2021 -


fonte: CTXT - Contexto Y Action

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