venerdì 12 novembre 2021

Il Vampiro e lo Zhagannath, in Marx.

Per la critica dell'economia politica, questa metafora dello Juggernaut capitalista significa il passaggio, dal paradigma incentrato sullo sfruttamento, al paradigma del feticismo. In particolare, implica una rottura con la metafora problematica del vampiro - che dal XIX secolo è stata usata per descrivere il capitalismo - e che oggi designa la finanza, in quanto vampirizzante l'«economia reale». Si suppone che il vampiro - il quale rappresenta il denaro e i detentori del denaro (i capitalisti) - verrebbe a succhiare, come un'esteriorità, dall'esterno, il lavoro vivo considerato come il concreto naturalizzato e che, a sua volta, si identifica con il lavoro, con le forze produttive, con l'industria, con il valore, con la comunità di sangue o la cultura (la nazione). Tale metafora, caratteristica dell'anticapitalismo tronco, non vuole fare altro che sottolineare l'innocenza della vittima, e la natura extra-naturale del carnefice. Per la sua rappresentazione tronca del capitalismo, si concentra sulle classi sociali, una categoria in realtà che deriva dalla relazione di feticcio, ma che nel marxismo tradizionale e nell'anticapitalismo tronco viene erroneamente presa  come se fosse un soggetto senza a priori. Pertanto, tutto l'insieme delle categorie riproduttive del capitale viene sussunto sotto l'extrema ratio di una soggettività sociologica che vampirizza sia la ricchezza capitalista astratta (valore) che la sua produzione (lavoro, industria). Questa metafora è ugualmente immediatamente ambigua, dal momento che può essere applicata a qualsiasi contenuto. Può essere usata, ad esempio, per riferirsi alle nazioni bianche che vampirizzano le nazioni nere, o agli immigrati che vampirizzano la società ospitante. Teoricamente, ci si focalizza sull'idea che il capitalismo non sarebbe altro che semplicemente un sistema di distribuzione della ricchezza sociale, le cui condizioni di produzione non vengono messe in discussione. In nome del polo naturalizzato (il lavoro, l'«economia reale», la nazione, ecc.) che produce questa ricchezza, gli ineguali rapporti di distribuzione, diventano essi l'oggetto esclusivo di una critica sociale, che degenera rapidamente fino a diventare una critica morale, basata sulla denuncia dell'«avidità» di pochi. Non si coglie il punto essenziale, e si finisce per dare spazio a delle richieste che si limitano solo  alla sfera del consumo e ai problemi di giustizia distributiva o di riconoscimento.

Al contrario, lo Juggernaut simboleggia il «soggetto automatico» (Marx) del valore, che schiaccia tutto sul suo cammino: una metafora dell'«inversione reale» della vita sociale, che costituisce il cuore di tenebra della vita sotto il capitalismo. La metafora del modo di cui si costituisce l'alienazione moderna, dove tutta l'attività sociale assume effettivamente la forma del suo opposto - il valore - ed è così pertanto contaminata da una vera e propria «falsità ontologica». In questo capovolgimento, quella che è una cosa sensibile, il corpo di una merce - il valore d'uso -, rappresenta una cosa soprannaturale, «sovrasensibile», puramente sociale: il valore; il lato concreto del lavoro svolto diventa «la forma fenomenica del suo opposto, il lavoro umano astratto» (Marx, Capitale, I, p. 67); la dimensione individuale dell'attività, che è la forma fenomenica del lavoro sociale, diventa così indifferenziata e intercambiabile.
Juggernaut, è questo «mondo alla rovescia», nel quale le relazioni mercificate che costituiscono il processo di valorizzazione comandano (sotto forma di merci, denaro e capitale) gli individui e si ergono davanti a loro come se fossero delle divinità barbare, esigendo nuovi sacrifici umani.
Juggernaut è questa delirante strutturazione alienata delle relazioni sociali, in cui la logica oggettivata della merce, del denaro e del capitale costituisce, per gli individui, una forma specifica, impersonale e astratta di dominio moderno (un «dominio senza soggetto», come dice Kurz), che affonda  in profondità nella loro carne le punte acuminate delle sue ordinanze feticiste.
Juggernaut è il regno di una metafisica reale dove «è il processo di produzione a dominare gli uomini, e non già il contrario» (Marx, Capitale, I, p. 93). Una realtà sociale invertita nella quale il vero soggetto della produzione capitalista non è costituito né dalle «classi dirigenti» né dal proletariato, bensì dal valore stesso, che riduce gli attori umani ad esserne i suoi esecutori.
Come i fanatici che tiravano il carro processionale di Krishna, e che doveva schiacciarli crudelmente sotto le sue ruote, gli individui sotto il capitalismo vengono sussunti sotto i rapporti economici che essi stessi costituiscono, per diventarne solo delle personificazioni transitorie sotto la forma delle diverse «maschere di carattere», che poi finiranno per essere solo l'altro nome che definirò le loro vite mutilate. Individui che come suoi «agenti», «guardie», «ufficiali e sottufficiali», «funzionari» e «fanatici», per dirla con Marx, tirano il «Juggernaut capitalista» tanto quanto esso li macina. «Non lo sanno ma lo fanno». È una relazione tra individui, è un legame sociale alienato, un modo in cui ci relazioniamo con gli altri senza saperlo. Dobbiamo riconoscere questa verità: questa relazione siamo noi. «E lo rimarremo finché non saremo qualcos'altro, finché non avremo creato le istituzioni che stabiliscono una vera comunità e una vera società umana» (Gustav Landauer). Juggernaut, è la relazione sociale feticistica che deve essere abbattuta, e che verrà distrutta entrando in altre relazioni sociali.

- Estratto dall'editoriale "Make Critical Theory Great Again", sul n°1 della rivista "Jaggernaut" -

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