Il Capitale e la Storia
- di Robert Kurz -
A quanto pare, anche a sinistra la fiducia nel capitalismo sembra essere incrollabile. Proprio come l'Araba Fenice, sembra essere destinato a rinascere dalle ceneri di qualsiasi crisi, dando così inizio sempre a una nuova ripresa.. Nel frattempo, tuttavia, non si può nemmeno più negare che stiamo affrontando un collasso storico. Una nuova crisi economica globale con conseguenze imprevedibili, ora è all'ordine del giorno. Ma nonostante questo, tutti si chiedono: quando finirà la crisi? Che tipo di capitalismo verrà dopo la crisi?
Tale aspettativa, il primo punto di vista, si nutre dell'idea che il capitalismo viene sempre considerato come se fosse l'«eterno ritorno dello stesso». I meccanismi di base della valorizzazione rimangono sempre gli stessi. È vero, ci sono state rivoluzioni tecnologiche, sconvolgimenti sociali, cambiamenti negli «equilibri di potere», e sono sorte nuove potenze egemoniche. Ma è come se si trattasse comunque solo di una superficiale «storia di eventi» esterni, di un perpetuo andare e venire, di un salire e scendere di cicli. Da una prospettiva simile, la crisi è semplicemente sempre funzionale al capitalismo. Essa porta a far «pulizia», svalutando il capitale in eccesso. Aprendo la strada a nuovi processi di accumulazione. Questo genere di lettura, non prende mai sul serio quella che è la dinamica interna del capitalismo.
Tuttavia esiste anche un altro punto di vista, secondo cui la valorizzazione, in termini reali, avviene solo nel contesto della dinamica storica di un continuo crescente sviluppo delle forze produttive. Non si tratta solo di un semplice cambiamento tecnologico, ma proprio della creazione di nuove condizioni di valorizzazione. Ed è per questo che il capitalismo non è l'«eterno ritorno dello stesso», quanto piuttosto un processo storico irreversibile che tende verso un punto culminante; e, nel corso della storia interna del capitalismo, il campo di valorizzazione si restringe sempre più. La forza motrice di questo processo è la liberazione della forza lavoro, la quale viene resa sempre più superflua in forza degli aggregati scientifico-tecnologici. È tuttavia è il lavoro, ciò che continua a costituire la sostanza del capitale, poiché è il solo a produrre plusvalore reale.
Il capitalismo può solo compensare una tale contraddizione interna, per mezzo dell'espansione del sistema creditizio, vale a dire, anticipando il plusvalore futuro. Questo sistema a «effetto valanga», incontra però dei limiti nel momento in cui vediamo che l'anticipazione si estende troppo in là nel futuro. Ecco allora che da questo punto di vista, le crisi non svolgono solo una semplice «funzione di pulizia», ma finiscono storicamente anche per aggravarsi sempre più, e portano sempre più a far sì che ci avvicini ad andare a sbattere contro quello che incombe come un limite interno alla valorizzazione.
La domanda a questo punto riguarda il sapere quale sia lo stato della nuova crisi economica globale. I rappresentanti dell’altro punto di vista, vengono accusati di volersi limitare ad aspettare semplicemente la fine del capitalismo. Ma il fatto di andare a sbattere contro questo limite interno, non porterebbe di certo all'emancipazione sociale, ma avrebbe piuttosto l'effetto di precipitare nel caos tutta la società mondiale.
Oltre tutto, si potrebbero piuttosto accusare i rappresentanti del primo punto di vista di stare ingenuamente aspettando di vedere come il capitalismo farà a ripartire, a «pulizia» avvenuta. Ed è questa la speranza che molti esponenti della sinistra condividono con le élite al potere. Ma se non dovesse andare così? Se non verrà determinato alcun reale potenziale di valorizzazione, ecco che a quel punto, la teoria della «pulizia» rimarrà solo una formula vuota.
All'orizzonte non si vede alcuna nuova produzione ad alta intensità di lavoro. E così, per l’aspettativa generale, potrebbe esserci un brusco risveglio. Ecco che allora la domanda dovrebbe invece essere piuttosto: cosa viene dopo il capitalismo? Una mera nazionalizzazione delle categorie capitalistiche non è più un'opzione, in quanto ormai fa solo parte della storia. Se vogliamo superare questa crisi di civiltà, forse dovremmo fare qualcosa di più che aspettare la prossima ripresa!
Robert Kurz, "Kapital und Geschichte",Pubblicato su Neues Deutschland del 24/4/2009
- già pubblicato sul blog il 1° dicembre 2015 -
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