Si è discusso in passato se eretico sia colui che è giudicato tale dalla Chiesa (Benedetto Croce), o se invece non sia chi sceglie di esserlo ribellandosi a ogni e qualunque comunione ecclesiastica (Delio Cantimori). In questo libro si incontrano eretici tanto dell’uno quanto dell’altro tipo, ma non solo: ci fu anche chi criticò la Chiesa senza per questo incorrere in condanne, anzi provocando un chiarimento positivo. Del resto, l’eresia (etimologicamente, “scelta”) era stata giudicata dall’apostolo Paolo, nella cristianità allo stato nascente, un contributo utile alla ricerca della verità. Ma la parola, insieme con i fenomeni che designava, doveva attraversare secoli di storia e della storia non poteva sfuggire alla legge fondamentale: il mutamento. Così, man mano che i confini dell’ortodossia della Chiesa venivano fissati, ci fu sempre meno spazio per l’eretico, il che non impedì alla pianta del dissenso religioso di mettere radici e moltiplicare le sue forme.
Ma come nascono le eresie? I casi e le questioni di cui si parla nei saggi qui raccolti appartengono per lo più alla storia della cultura e della vita religiosa italiana nella prima età moderna, segnata dalla Riforma protestante e dalla reazione cattolica. La frattura dell’unità religiosa europea e i nuovi legami formatisi tra poteri statali e confessioni religiose dovevano esportare i confronti e i conflitti oltre i confini del vecchio mondo. Al contempo, è in quest’epoca che nasce lo studio moderno della religione quando, con Machiavelli, “religione” diventa un termine neutro, valido per indicare e confrontare religioni diverse, e si accantona la distinzione tra l’unica vera e le false.
(dal risvolto di copertina di: Adriano Prosperi, "Eresie". Quodlibet € 32,00 )
Il seme fecondo dell’eresia
- di Michaela Valente -
Per unire gli italiani, divisi e dominati, flagellati da fanatismi e campanilismi di ogni genere, ubriachi di un passato glorioso e ingombrante, la Chiesa cattolica, a partire dal Cinquecento, ha esercitato un potere sospettoso, pronto a vedere ovunque nemici e traditori, gli eretici. L’accademico dei Lincei Adriano Prosperi, una delle voci più autorevoli del dibattito storico, nel libro Eresie (Quodlibet) volge lo sguardo a quel mondo sfumato e avvolgente, a chi, deliberatamente o inconsapevolmente, finiva per non allinearsi all’ortodossia. Così, seguendo queste trame, tornano alla mente nomi dimenticati, riprendono forma, nella loro integrità, trascurati percorsi di vita e di pensiero (uno su tutti, quello di Girolamo Savonarola) e si scoprono quindi destini finora ignorati: in comune tutti hanno avuto a che fare con l’eresia, che sia stata una scelta o l’accusa rivolta loro.
Paura, eresia e libertà hanno camminato mano nella mano per lunghi sentieri della storia. In particolar modo, il cristianesimo è costellato da momenti in cui, agitando la paura dell’eretico, che avrebbe potuto far vacillare e crollare il sistema, si sono imbracciate le armi e si sono aperti i tribunali. Dall’altra parte, l’eretico, che spesso non si ritiene tale e invoca libertà. Quella libertà di interpretare la parola divina consentita da Paolo di Tarso, perché l’eresia è necessaria. Con Lutero e con i riformatori, la sfida si ramifica e le chiese (non solo quella di Roma) perfezionano la strategia per sconfiggere la peste dell’eresia. Trovato e processato l’eretico che non vuole tornare nell’ortodossia, si accendono i roghi nelle piazze (tranne a Venezia, dove si preferiva comminare la pena capitale in modi meno teatrali) per ribadire la dritta via della salvezza. Per sfuggire alla persecuzione, per non immolarsi come martiri, molti si trovano di fronte al bivio: fuga ed esilio o obbedienza al potere, nascondendo poi il dissenso nel proprio intimo. Ma questa soluzione di nicodemismo sarebbe stata scoperta dalle autorità e perseguita. Persino i riformatori, soprattutto Calvino, condannano la possibilità e legittimità di nascondere le proprie convinzioni. Il fedele deve essere tanto coraggioso da non temere la persecuzione e affrontare, se necessario, il martirio. E alcuni finiscono tra le fiamme, mentre tanti decidono di rimanere, di non abbandonare famiglie, case e ricchezze: di questi sappiamo poco, perché cercarono di coprire le tracce.
Tuttavia, le conseguenze sul sentimento religioso dell’imposizione violenta di un’interpretazione del messaggio cristiano sono tangibili ancor oggi. La scure minacciosa dell’azione inquisitoriale provoca opportunismi e conformismi, autocensure e adulazioni. E innerva potentemente la sfiducia nelle istituzioni per procedimenti considerati arbitrari. E cadono nel vuoto o quasi gli appelli alla riforma e contro gli abusi, sostenuti anche da tanti cattolici. Dall’altra parte, quelli che fuggono e che non si riconoscono in nessuna chiesa mettono le basi perché con il tempo la tolleranza si trasformi in libertà di coscienza e poi in libertà religiosa.
Nell’irrequieto Cinquecento italiano, esplorato da Prosperi, c’è Antonio Musa Brasavola, medico alla corte di Ferrara e poi del Papa Paolo III, autore di una Vita di Cristo, composta negli anni Quaranta del Cinquecento, in cui indica il modello esemplare di Gesù da imitare e non lesina accuse al clero: «Non cercano altro li religiosi de’ nostri dì se non avere, tirare, rubare». Affermazioni che avrebbero potuto aprire la porta all’accusa di eresia, visto che sembravano sposare le tesi di Lutero: l’autore se ne salva perché scrive prima della svolta intransigente e perché sottopone l’opera all’approvazione ecclesiastica. L’eresia si diffonde e si nasconde: bisogna scovarla e sconfiggerla nei vari linguaggi in cui si traduce, come nell’arte.
Le immagini aiutano a spiegare la dottrina ai semplici, ma possono corrompere. Della questione, stabilendo un nuovo rapporto tra rappresentazione artistica e predicazione religiosa, discorrono la poetessa Vittoria Colonna, il predicatore Bernardino Ochino e Michelangelo in un testo incentrato sulla passione di Cristo e sugli effetti della sua contemplazione: occasione che Prosperi sfrutta per evidenziare la diffusione delle istanze dei riformatori, spesso adattate e rigenerate dalla cultura italiana.
In questi itinerari talvolta polizieschi, si incontra la nobildonna Lucrezia Gonzaga: sospettata di eresia, afferma di non aver mai parlato di quelle cose di cui la si accusa. Si badi bene. Gonzaga non dichiara di non aver mai pensato, si limita a ribadire di non aver mai detto... Il confine tra lecito e proibito è così sottile che si corrono rischi inconsapevolmente.
Eresie ed eretici incuriosiscono Prosperi, come pure i loro interpreti, in particolare alcuni studiosi: il controverso Delio Cantimori, maestro suo e di un’intera generazione, causticamente capace, tra l’altro, di definire il cristianesimo degli italiani come pura frequenza delle cerimonie ecclesiastiche, e Roland Bainton, attento studioso americano della libertà di coscienza, pacifista contrario alla guerra in Vietnam, per rendere evidente un filo conduttore di analisi politica che dalla storia si proietta nel presente.
In queste pagine (trentasette saggi, di cui due inediti), si respira un interrogativo che attraversa l’intera opera dell’autore, il rapporto degli italiani con la fede. Di fronte a una Chiesa in difficoltà tra il suo passato pesante, un presente che arranca e un futuro incerto, da cattolico Prosperi si è posto domande che poi hanno orientato l’indagine storica: cominciando, negli anni Sessanta, da Gian Matteo Giberti, un vescovo della prima metà del XVI secolo, che si proponeva di avviare la riforma nella sua diocesi, eliminando gli abusi, per giungere a tanti studi (da quelli sull’Inquisizione ai più recenti sulla perdita della memoria storica) che, visti insieme, sono tasselli di un mosaico che si compone con scrupolo e passione. Si avverte un ripensamento di alcuni aspetti, spia di un incessante confronto critico. Leggere il libro di Prosperi ricuce e restaura una vecchia foto di famiglia, quella degli italiani, nel ricordare i nomi e il pensiero di quelli che al momento furono sconfitti, gli eretici, ma che forse — piace crederlo — alla distanza seminarono di più.
- Michaela Valente - Pubblicato su La Lettura del 24/10/2021 -
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