Kafka ridens
Non era l’uomo triste dei suoi scritti, disegnava figurine leggere e buffe
di Vittorio Sabadin
Franz Kafka non era l’uomo triste, deluso e disperato che i suoi scritti ci hanno lasciato intendere. Aveva invece senso dell’umorismo, raffinatezza, capacità di cogliere il lato buffo delle cose e delle persone. Lo rivelano nuovi disegni dello scrittore scoperti in una banca svizzera, che stanno per essere pubblicati in Germania dall’editore C.H. Beck. Già erano noti molti disegni di Kafka: figure filiformi, senza volto, oscure e tenebrose, spesso usate nelle copertine dei suoi libri. Ma quelli appena ritrovati sono diversi, hanno una leggerezza che sorprende, ritraggono fantini su cavalli impennati, personaggi che somigliano allo Charlot di Charlie Chaplin, figure buffe che fanno sorridere.
«È difficile – ha scritto Daniel Kehlmann su Die Ziet – che la persona che ha fatto questi disegni fosse un uomo infelice». Secondo lo scrittore bavarese, i nuovi 150 disegni dovrebbero imporci un profondo ripensamento non solo del carattere di Kafka, ma anche dell’improprio significato che attribuiamo all’aggettivo «kafkiano», usato per descrivere qualcosa di assurdo, paranoico e disperato. Kafka pensava che tutte le cose del mondo umano fossero «immagini che si sono risvegliate alla vita» e mentre all’inizio del ‘900 studiava legge a Praga, disegnava in continuazione figure che avrebbero poi preso vita nei suoi libri. Le abbozzava nei margini dei testi di diritto, o in fogli che subito appallottolava e gettava nel cestino.
Amava l’arte, i suoi pittori preferiti erano Ingres e Van Gogh, e si ispirava anche alla pittura giapponese. Ma i disegni di Kafka non appartengono a nessun modello, sembrano essere piuttosto un suo modo privato di scrivere per immagini, prima di farlo con le parole. Lo scrittore aveva disposto che molti dei suoi scritti, e tutti i suoi disegni, fossero distrutti dopo la sua morte. Ma l’amico ed esecutore testamentario Max Brod non gli ha ubbidito. Per anni aveva raccolto dai cestini gli scarabocchi di Kafka, e altri ne aveva pazientemente ritagliati dai margini dei libri di legge sui quali l’amico Franz, annoiato dalle lezioni, aveva vagato con la matita e la fantasia.
Nel 1924, dopo la morte dello scrittore, Brod pubblicò tutto: i romanzi, i racconti, i diari, e una prima selezione di disegni cupi e disperati, subito usati per rafforzare il significato che si era deciso di dare al termine «kafkiano». Nel 1939, in fuga dalla Cecoslovacchia invasa dai nazisti, Brod aveva portato scritti e disegni in Palestina, e poco prima della sua morte, nel 1968, aveva incaricato la segretaria, Esther Hoffe, di consegnarli all’Università Ebraica di Gerusalemme, alla biblioteca di Tel Aviv o a qualche altra meritevole organizzazione in Israele o all’estero. Invece di fare come era stato richiesto, la famiglia Hoffe depositò tutto in alcune banche svizzere. Dopo anni di battaglie legali, una sentenza della Corte Suprema israeliana ha stabilito nel 2016 che gli scritti e disegni di Kafka appartengono alla Biblioteca Nazionale di Israele, che nel giugno scorso ha reso disponibile online tutto il materiale.
I nuovi 150 disegni che svelano il lato leggero e gioviale di Kafka sono stati recuperati dal caveau di una banca svizzera nel 2019 e ne è stata rivelata l’esistenza solo giovedì, in occasione del lancio dell’edizione tedesca del libro, alla quale seguirà quella in lingua inglese. «All’università di Praga – ha detto Andreas Kilcher, editore di CH Beck – i coetanei di Kafka avevano un immenso interesse per l’arte e lui non solo lo condivideva, ma lo praticava con vigore. Era un’attività tutt’altro che marginale per lui». Nella postfazione dell’edizione tedesca, la filosofa Judith Butler annota che le creazioni della fantasia di Kafka diventano più difficili da visualizzare quanto più lo scrittore le descrive nei dettagli. Per questo i disegni non sono rappresentazioni realistiche, ma contengono sempre un elemento di astrazione.
Anche se Kafka annotava i suoi pensieri più segreti disegnando figure in ogni spazio bianco che trovava, non aveva mai voluto che i suoi libri contenessero immagini. Si era opposto all’idea di illustrare il racconto Il fochista con una immagine del porto di New York e aveva pregato il suo editore di non visualizzare mai lo scarafaggio umanoide Gregor Samsa della Metamorfosi: «L’insetto non deve essere disegnato – aveva scritto in una lettera del 1915 – . Non lo si deve vedere neppure da lontano». Il disegno e la scrittura erano per lui due forme di arte autonome, che non dovevano mescolarsi. La prima ispirava la seconda, ma non doveva condizionare le suggestioni provate dal lettore, che avrebbe elaborato da solo nella sua mente le immagini ispirate dai racconti. L’idea che Kafka fosse una persona tormentata, che sfogava nella scrittura le sue devastanti pulsioni, è stata alimentata dai suoi diari e dalle biografie che raccontano il difficile rapporto con il padre e i conseguenti sensi di colpa che lo angustiarono. In una famosa lettera, Kafka attribuisce al padre una frase lapidaria, «Non sei idoneo alla vita», un verdetto senza appello che accetterà e farà suo. Ma ora sappiamo che era anche capace di sorridere disegnando scene comiche, personaggi buffi e leggeri che animavano il suo mondo segreto. E li distruggeva subito per ritornare nei suoi tormenti e nei suoi assurdi sensi di colpa: descrivendoci il suo mondo, urlava forse di volerne uscire, e noi non l’abbiamo mai capito.
- Vittorio Sabadin - Pubblicato sulla Stampa del 30/10/2021 -
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