Da dentro e a partire da un romanzo il cui protagonista è un morto che ritorna (Chabert, il colonnello di Napoleone), Jacques Austerlitz recupera - fisicamente, materialmente - una sua fotografia appartenente a un'altra vita, all'infanzia, da un mondo che non esiste più (di un tempo in cui i suoi genitori, e tanti altri milioni di genitori, erano ancora vivi). Vale la pena ricordare che, nella novella di Balzac, il corpo di Chabert ritorna dai morti - da sotto una montagna di cadaveri - attraverso la neve («Finalmente vidi la luce, ma attraverso la neve, signore.») E questo potrebbe riferirsi alla storia che chiude la prima parte de "Gli Emigrati", quando il narratore legge sul giornale che i resti del corpo dell'alpinista Johannes Naegeli, scomparso dal 1914, sono stati scoperti sul «ghiacciaio dell'Oberaar» (W.G. Sebald,”Gli emigrati”. Adelphi).
«È così dunque che ritornano, i morti.», scrive il narratore di Sebald ne "Gli emigranti" - facendo di Naegeli, l'alpinista, un anello della catena che unisce Austerlitz, Chabert, Hunter Gracco, il cacciatore del racconto di Kafka (evocato in "Vertigo" e anche lui inserito in quella «superiore stereometria» che unisce i vivi e i morti), ma anche il fissarsi di Stendhal sulla mano di Metilde (il calco in gesso della mano sinistra della donna sulla sua scrivania, anticipazione di quel «sex appeal dell'inorganico» di cui Benjamin parlerà in futuro), e la fissazione - letterale e metaforica - di Nabokov per le farfalle e le «ninfe» (l'uomo che caccia le farfalle è un personaggio che attraversa tutti i racconti de "Gli emigranti"; e "L'autobiografia" di Nabokov era uno dei libri preferiti di Sebald, che la commenterà poi in "Campo Santo").
Come ritornano i morti, come possono ritornare, come possono sopperire - per quanto indirettamente - alla mancanza che causano, ai compiti che hanno lasciato in sospeso? Un insieme di domande, questo, che Sebald trae e assume a partire da Kafka e Benjamin in egual misura - e che trasferisce anche nella sua lettura di Nabokov, per esempio: quando commenta l'autobiografia di Nabokov, Sebald individua il momento che più di tutto lo emoziona: Nabokov bambino vede suo padre che viene lanciato in aria dai contadini, in festa - la visuale è dall'interno della casa, attraverso la finestra, di modo che il padre sembra apparire e scomparire, come per magia (a partire da tale evocazione, Nabokov cerca di conservare una potenza di ritorno della figura paterna, cancellata poi dalla distanza e dal carattere prematuro e brusco del suo assassinio, avvenuto nel marzo 1922, a Berlino).
fonte: Um túnel no fim da luz
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