mercoledì 28 luglio 2021

Asini & Uccellini

Lettere agli amici (da Guattari a Foucault) su vita, musica e mondo animale, saggi ripudiati, disegni. Una raccolta di scritti di Gilles Deleuze (che non voleva conservare la “corrispondenza”)

Libro: "Lettere e altri testi", di Gilles Deleuze. Editore: Giometti & Antonello. 34€

Indago la filosofia non da uccellino ispirato ma come un asino che si frusta da solo
- di Ugo Cornia -

Lettere e altri testi completa la pubblicazione degli scritti del filosofo Gilles Deleuze. Il volume raccoglie tre differenti tipi di testi: le lettere indirizzate a alcuni corrispondenti (Foucault, Guattari, Klossowski e altri); cinque disegni; gli scritti pubblicati in vita e non inclusi nei due volumi postumi già usciti (tra i quali un corso su Hume del 1957-1958); quattro saggi antecedenti al ’53, ripudiati da Deleuze, ma dei quali, preso atto che è impossibile evitare che questi testi circolino a volte in forma imprecisa, la moglie e la figlia hanno deciso di autorizzare la pubblicazione. Le lettere occupano all’incirca un centinaio di pagine. Le prime risalgono alla fine degli anni ’60, le ultime agli anni ’90 e coprono quindi uno spazio temporale di quasi trent’anni. Che cosa ci troviamo dentro? Ci troviamo molte cose. Possiamo dunque seguire varie linee per affrontare e apprezzare questi materiali. Scegliamo per esempio alcune lettere in cui si nominano in vario modo gli animali.

Il 28 novembre 1983 Deleuze scrive a Clément Rosset: «Mi dia un’informazione, per piacere, Clément. Mi diceva tempo fa che il canto degli uccelli aveva un ruolo importante nella musica del Medioevo (?) o del Rinascimento (?). È vero anche per il galoppo del cavallo, gli zoccoli …? Durante il manierismo, ci sono forse molte danze modellate sul galoppo? Mi risulterebbe molto utile se si potesse fare della galoppata e del ritornello due complementari. Anzi, mi sarebbe del tutto necessario».

L’anno precedente, il 23 febbraio, aveva scritto a Arnauld Villani: «L’uso immanente, secondo lei, sarebbe il rizoma o la ragnatela.
Questo mi ha fatto tornare in mente uno psicologo, di nome Tilquin, che si era specializzato con una tesi molto interessante sul tema delle ragnatele. Mi ha fatto venire voglia di rileggerlo, per vedere se per caso non ci siano ragnatele modellate sul rizoma o sull’albero, molto più centralizzate, nei ragni considerati (a torto) superiori o trascendent
i».

E sempre a Arnauld Villani, accennando alle sue solite vacanze nel Limousin, il primo agosto, dice: «Sono arrivato qui stanco, ma vedere le vacche al pascolo mi riposa e mi rigenera».


Nel ’90 invece scrive a Jean-Clet Martin: «Proseguo con la versione definitiva di Che cos’è la filosofia?, ma più come un asino che si frusta da solo che come un uccellino ispirato».

Oppure potremmo seguire i malumori di Deleuze e le sue fughe dalle attività filosofico-mondane; verso la fine degli anni ’70 scrive a Guattari: «Sono contento di quello che ha vissuto a Bologna.
Mi auguro che non si sia stancato troppo. Io invece ho l’impressione di vivere come una casalinga, da poco ho anche smesso di fumare
»; il 21 ottobre ’81 scrive a Rosset «Le discussioni filosofiche sono tediose» e nel febbraio ’82 scrive a Villani: «Ormai è tanto che non vado più ai convegni e non faccio conferenze. È uno dei privilegi che sono riuscito a guadagnarmi. Non si tratta della cattiva salute … Il mio sogno è quello di smettere completamente di parlare e scrivere soltanto». Sogno che viene manifestato anche in altre lettere: incontrarsi, ma non incontrarsi per parlare, incontrarsi per ascoltare musica insieme.

Ascoltare la musica insieme, a distanza o in presenza, anche questo ritorna spesso in questa corrispondenza, si tratta di una specie di esperienza per sentire mondo e vita in un modo che ti metta al riparo: «Curioso come le nostre esistenze (intendo la mia e la tua) si proteggano dal loro stato di crisi permanente trovando riparo in ciò che vi è di più violento e tremendo in arte. Il fatto è che quel terrore lì sradica l’abiezione di questo mondo (non c’è giorno che non porti con sé il suo lotto di comicità abietta e non ci costringa a odiare la nostra epoca, non tanto in nome di un compianto passato, ma nel nome del presente più profondo). E tremendi sono quei canti mongoli che mi hai mandato, la loro voce così incavata, così tremendamente cava che tutte le altre vorrebbero colmarla. Due sono le cose che abbiamo: la violenza dell’arte e la violenza della grazia dei bambini» (a André Bernold, nel maggio del ’94).

Alcune lettere invece ci possono mostrare lo strano e forte interesse, così diverso da quello di altre tradizioni filosofiche del novecento, che Deleuze ha sempre intessuto tra pensiero e tecnologia e tra pensiero e oggetti tecnici; per esempio nel novembre ’90 scrive a Jean-Clet Martin: «Ciò che ha scritto alla fine della lettera, sul cervello, mi ha fatto fantasticare. Lei dice, per l’esattezza: “ciò che è più piccolo del minimo pensabile cade nelle sinapsi; esso può divenire sensibile per intensificazione, come nella regolazione dello schermo televisivo, dove le intensità rendono sensibile ciò che sfugge al grado di definizione”. Mi dia più particolari non appena può: sono sincero, ho bisogno di quest’idea, e di renderle omaggio in un mio prossimo scritto. C’è qui la chiave di qualcosa d’importante, che vorrei capire meglio».

Come ci viene detto nella Presentazione del volume, Deleuze non conservava la sua corrispondenza e non considerava il proprio epistolario come un prolungamento della sua opera. Nonostante questo, chi ama gli scritti di Deleuze potrà trovarvi moltissime cose degne del più grande interesse.

- Ugo Cornia - Pubblicato su Tuttolibri del 3/7/2021 -

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