Presagi, presentimenti, intuizioni e delusioni: indovinare il futuro è una pretesa impossibile o è una facoltà reale, capace di sorprenderci e turbarci? Divinità classiche, eroine della tragedia greca, indovini di antiche dinastie cinesi, saggi dalla millenaria sapienza indiana, visionari dell’Israele antico o contemporaneo, ma anche personaggi della storia recente o del nostro quotidiano, saranno i nostri compagni di viaggio, protagonisti enigmatici di vere e proprie sedute divinatorie, di misteriosi incontri con l’inesplicabile. Certo, di ciarlatani è pieno il mondo e la nostra età disillusa è abituata ad avvicinarsi al destino senza grandi pretese; ma dietro a una profezia, anche una sola, che si avvera, c’è unicamente il caso oppure si spalanca una dimensione insondata dell’animo umano?
(dal risvolto di copertina di: GIULIO BUSI, "Indovinare il mondo". Il Mulino. pp. 240, €15.)
QUEL VARCO «ESATTO» CHE CI SVELA IL FUTURO
- Profezie & indovini. Dalla dea Temi a Narciso fino all’Israele contemporaneo, le tappe di un viaggio tra miti e quotidianità che ci racconta di «aperture» verso il domani. E che talvolta fa dire: «sai, è capitato anche a me» -
di Giulio Busi
C'è un magazziniere solerte nel profondo della mia anima. È sempre all’opera, senza concedersi un minuto di riposo. Immagazzina con cura le cose vedute, sentite, toccate. Le ordina, anche se io non so bene come, affinché si possano richiamare, passare in rassegna, riutilizzare. Il magazziniere è molto geloso delle proprie prerogative. Dove mette i singoli pezzi è affare suo, è il suo segreto professionale, e guai a fargli troppe domande. A volte, i ricordi riaffiorano a fatica. Sono confusi, ingarbugliati, insensati.
Fosse solo il passato, a darmi problemi. I dispetti più innervosenti me li fa con il futuro. Sul più bello, una folata di vento apre una certa porticina e, trasognato, vedo qualcosa, sento un profumo, tocco una superficie. L’ho già vista, respirata, toccata? No, sono sicuro di no. Non l’ho ancora vissuta, quella situazione. Eppure mi appartiene, anche di questo ho una certezza profonda, intuitiva, indelebile. Ci risiamo. Il magazziniere si diverte a scompigliare l’ordine di cui pure è maniaco. È lui che ha messo le mie sensazioni fuori posto. È colpa dei suoi imbrogli, se ho l’impressione di vivere adesso quello che mi deve ancora succedere. Forse il nostro conflitto nasce da un malinteso. Io credo che sia un magazziniere e invece lui fa il trovarobe. Procura i costumi e gli oggetti per la scena. Lavora anche lui per il Grande Teatro dell’Anima, anzi ne è un componente indispensabile. Il suo compito? Fornire tutto quello che serve, perché la rappresentazione sia vivace, suggestiva, indimenticabile. Non importa da dove vengano le robe. Basta che lui le trovi, che funzionino, che ogni dettaglio sia curato. Altro che inserviente. È un artista coi fiocchi, capace di tirar fuori oggetti mai visti. Io pretendo che mi sciorini sull’unghia nomi e circostanze, ma lui, l’impareggiabile trovarobe, ha un compito ben più importante. Il Gran Teatro dell’Anima è sempre aperto e gli attori non possono mica starsene senza costume, con la scena vuota. Quello che serve non è ancora sul palco? Il trovarobe si affanna, corre da una parte e dall’altra, sgraffigna dove può, rovista in ogni angolo. Passato, futuro, presente, che differenza fa? Presto, che si va in scena!
È davvero così antiquato, questo universo fatto di presagi, domande, intuizioni e delusioni? L’abbiamo dietro di noi, seppellito da millenni di storia, o può ancora dirci qualcosa, lanciarci una sfida, suscitare un brivido d’inquietudine? Per parlare di veggenti e d’indovini, senza censure e senza apologie, ho scelto la via del racconto. Dalla dea Temi a Narciso, dalla periferia di Bucarest agli scantinati di Milano. E poi un parco giochi del Piemonte, l’Israele antico e quello contemporaneo, una finca del Costa Rica. Sono le cornici - occasionali, esemplari, irripetibili - di brevi, intensi incontri con l’inesplicabile. È un viaggio tra mito, narrazione e quotidianità, tessuto con ricordi di amici, confessioni di scrittori, visioni, collage emotivi. Sono “sedute” divinatorie vere e proprie, o semplici presentimenti, che infilo secondo la casualità delle letture e del capriccio degli eventi. E della mia curiosità. Una curiosità che so condivisa da molti, viva, assidua. Basta toccare l’argomento, lanciare una domanda, sollecitare un ricordo, e ciascuno di noi ha qualcosa da dire e da raccontare. «Sai, è capitato anche a me...». Dopo questa frase, un po’ impacciata, si schiude un vaso di Pandora, variopinto, sorprendente. A seconda della stoffa in cui è tagliato l’interlocutore, viene alla luce un vissuto vivido oppure pauroso, accettato con entusiasmo o respinto con scetticismo. Sono attimi unici, ripercorsi nella memoria, in cui il divenire s’arresta, si fonde, si plasma, nell’intimità tra chi chiede di sapere e chi sa, o pretende di vedere oltre le apparenze.
Non si tratta qui di verità o di superstizione. Quello che importa è il come. Per quale porta escono dal mondo le persone - normali, anormali, invasate, confuse, lucide - che popolano i fatidici «sai, è capitato anche a me»? Dove si sono dislocate, e in che modo? Esiste un’apertura nascosta verso il divenire? Si schiude in modo sempre simile, o gira su cardini diversi, a seconda del momento, della situazione, del nostro essere individuale? Va da sé che l’argomento è scivoloso, tortuoso, infido. Di ciarlatani è pieno il mondo, e per un vaticinio azzeccato se ne possono trovare mille e ancora mille che vanno a vuoto, illudono, danneggiano chi vi presti fede. Contro i falsi presagi mettono in guardia già i testi sumerici del terzo millennio a.e.v. Ma quella sola profezia che si avvera, può svelarci una dimensione insondata dell’animo umano? O è frutto del caso, un’insignificante eccezione, che conferma la regola di fredda razionalità e d’imperscrutabilità del nostro destino? Passeremo attraverso i labirinti del sogno e le anticipazioni, frammentarie e spaesanti, di un vissuto ancora nascosto, lontano, neppure nato. I contorni delle cose si dissolvono, i confini del significato si slabbrano e, proprio per questo, la visione interiore si acuisce all'estremo. La meta? Cento porte del destino, così si chiama la conclusione del volume: dove trovarli, questi ingressi, come varcarli? “Indovinare” è, allo stesso tempo più, e meno di “comprendere” razionalmente. Possiamo capire una lezione, in un’aula universitaria o nella vita, tenerla a mente, ripeterla, trasmetterla. Qualcuno di noi, talvolta, può invece “indovinare” la sorte propria o altrui, presentirla, vederla come in una nebbia. È lo sguardo, incerto eppure penetrante, con cui scrutiamo il futuro che ci aspetta, o scopriamo, d’improvviso, il passato ignoto che grava sul nostro destino. Il futuro è vicino, vicinissimo. Se solo riuscissimo a svelarlo, a incontrarlo da qualche parte. Partiamo subito, per questo luogo introvabile - sfuocato, pericoloso, attraente. Andiamogli incontro, in fretta, costi quel che costi. Indoviniamo il mondo, finché abbiamo tempo per farlo, e parole per dirlo.
- Giulio Busi - Pubblicato su Domenica del 16/5/2021 -
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