[su "Impero"] Hardt/Negri devono perciò edulcorare la costituzione, e la conformazione dei soggetti in quanto soggetti della valorizzazione del valore e della concorrenza; il processo di valorizzazione - in quanto sostanza della soggettività - viene da loro assunto del tutto positivamente, come potenziale della "auto-realizzazione" dell'uomo, mentre la logica di azione immanente a questa soggettività, ossia la concorrenza universale, è praticamente assente. Ne risulta che il processo di valorizzazione viene interpretato come sostanza della soggettività, in maniera del tutto positiva, come potenza dell'auto-realizzazione umana. E la logica immanente a questa soggettività agente non compare in quanto concorrenza universale (una vera e propria prodezza, in un'opera sul capitalismo che pretende di aprire delle nuove prospettive!). (...) Incapaci di formulare una "critica", si vedono obbligati a scegliere un'alternativa che l'Impero in crisi impone loro in maniera immanente, e si indovina quale essa sia: l'immanenza della barbarie reinterpretata positivamente. (...) nel caso di "Impero", non si tratta più di un'esternalizzazione - di un «laggiù fuori nella steppa» - ma dell'interiorità dello stesso "Impero".
I "barbari" sono immanenti (...), si tratta di un di per sé già positivo che li porta a concludere (appoggiandosi a un'errata interpretazione di Walter Benjamin): «I nuovi barbari distruggono con una violenza affermativa e, nella materialità della loro esistenza, tracciano nuovi percorsi di vita.» Questi nuovi barbari non sono, secondo Hardt/Negri, prodotti dalla crisi della valorizzazione mondiale del capitale; ma sono al contrario (del tutto conformemente all'ideologia del culturalismo postmoderno e dell'economia istituzionale) all'origine della crisi; intesi non negativamente, ma positivamente, come "soggettività ribelle". In quest'ideologia fantasmatica del soggetto, la valorizzazione del capitale viene indossata a meraviglia, il negativo non risiede in essa, ma nel dominio corrotto che la governa.
E c'era da aspettarselo: non ci sarebbe nessuno "inutile", nessun "superfluo": « L'Impero ha lavoro per tutti! Più il lavoro è deregolamentato e più ce n'è. » (pag.371) Anche se si tratta di un lavoro "sfruttato" e dominato dalla corruzione. Dal momento che il capitalismo postmoderno sarebbe riuscito a trasformare tutto in lavoro e in creazione di valore (cosa che Hardt/Negri ritengono non ci sia nessun bisogno di dimostrare), non si può avere né crisi reale né limite interno assoluto alla valorizzazione del capitale. Anche l'individuo che fa i suoi bisogni nell'intimità del suo cesso, in una qual certa maniera, "valorizza il capitale": eccolo qua bel bello il sogno del "soggetto automatico", se mai esso avesse potuto sognare, ma questa visione delle cose costituisce un'impossibilità logica e pratica.
da: Robert Kurz, "Impero (Hardt/Negri): il mondo in crisi visto come la Disneyland della Moltitudine"
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