mercoledì 7 luglio 2021

Convergenza e Plagio !!

Non appena pubblicato, "Essere e tempo", il capolavoro di Martin Heidegger, fu ritenuto una vera e propria rivelazione filosofica. Pochi, però, conoscevano allora il libro del giovane ebreo italiano Carlo Michelstaedter. Le sue pagine sembrano precorrere fin nei concetti lo scritto rivoluzionario di Heidegger. In quest'avvincente inchiesta filosofica Thomas Vasek, oltre a delineare le singolari corrispondenze tra i due pensatori, getta nuova luce sul testo di Heidegger, il quale ha ignorato a lungo quella fonte preziosa.

(dal risvolto di copertina di: Thomas Vasek, "Heidegger e Michelstaedter. Un'inchiesta filosofica". Mimesis, pp. 320, € 24 )

Il plagio di Heidegger, quasi un thriller
- Le tesi più importanti di “Essere e tempo” ispirate dal giovane goriziano Michelstaedter -
- di Donatella Di Cesare -

Heidegger sarebbe ricorso al plagio? E la sua grande opera Essere e tempo non sarebbe poi così autentica come in genere si crede? A instillare il dubbio è il saggio di Thomas Vašek, Heidegger e Michaelstaedter. Un’inchiesta filosofica, che arriverà domani in libreria per Mimesis nell’ottima traduzione di Fulvio Rambaldini. Pubblicato in tedesco nel 2019, da Matthes & Seit a Berlino, questo volume si inserisce nell’acceso dibattito, tuttora in corso, che intorno al pensiero e alla figura di Martin Heidegger ha preso avvio dopo l’uscita dei Quaderni neri.
Giornalista e filosofo austriaco, autore di numerosi saggi, Vašek è apprezzato dal grande pubblico di lingua tedesca anche come caporedattore della famosa rivista Hohe Luft, il bimestrale che ha il merito di aprire discussioni politiche, etiche, culturali sui grandi temi dell’attualità. Non sorprende allora che abbia usato i suoi mezzi affinati per questa inchiesta, quasi un thriller. L’idea nasce quando, dal fondo dimenticato di Argia Cassini, pianista morta ad Auschwitz nel 1944, viene fortunosamente alla luce una prima, parziale traduzione tedesca del libro di Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, pubblicato postumo nel 1913. Provato da avversità, dissidi e delusioni profonde, sfinito da quell’impegno di scrittura intensissimo, il giovane Michelstaedter si era ucciso con un colpo di rivoltella alla tempia la mattina del 17 ottobre 1910. Aveva solo ventitré anni. Quell’evento tragico, che allora sembrò del tutto inatteso e inspiegabile, mise fine alla sua vita e a una promettente carriera di intellettuale, poeta, pittore e filosofo.
Noto in Italia grazie alla casa editrice Adelphi, che ne ha pubblicato gli scritti, e all’interpretazione che ne hanno offerto, tra gli altri, Massimo Cacciari, Gianni Carchia, Franco Fortini, purtroppo Michelstaedter è un nome quasi sconosciuto in Germania. E ciò malgrado la traduzione completa del suo capolavoro, che risale al 1999, nonché il romanzo di Claudio Magris Un altro mare, del 1991, e quello dello scrittore austriaco Egyd Gstättner, Der Mensch kann nicht fliegen. Der letzte Tag des Carlo Michelstaedter, entrambi ispirati alla sua figura e alla sua drammatica storia.
Si spiega così l’entusiasmo di Vašek per quella che, a tutti gli effetti, è quasi una riscoperta. La tesi centrale del suo libro è sintetizzata così: «a mio parere il meglio di Essere e tempo è già in Michelstaedter». Sebbene più volte ammetta che non esiste alcuna prova storica, pure Vašek è persuaso che Heidegger abbia avuto tra le mani le pagine del giovane genio goriziano e ne abbia tratto spunti e idee per la sua grande opera. Certo, non mancano le differenze già nello stile e nei toni: da un canto l’urgenza esistenziale, la fantasia artistica, la dimensione onirica, dall’altro la potenza del linguaggio e la profondità filosofica. Per il resto si deve riconoscere che le convergenze – già notate da più di un critico negli anni Trenta – sono eclatanti: dal tema dell’angoscia a quello della cura, dall’esigenza di autenticità al desiderio di sottrarsi alla «rettorica», ovvero alla «dittatura del si», come la chiama Heidegger, cioè al conformismo del «si pensa», «si dice», dalla finitezza dell’esistenza alla paura della morte.
Ma com’è finito quel primo dattiloscritto nelle mani di Heidegger? Chi lo ha fatto giungere oltre confine? È qui che comincia il thriller. Vašek ricostruisce, non senza suspense, tutte le piste che collegano due personaggi solo apparentemente così lontani. A parlare già di Michelstaedter sarà stato forse il filosofo Franz Brentano, dopo una breve visita a Firenze, oppure l’accademico austriaco Oskar Ewald, che ne aveva ascoltato una conferenza a Gorizia e ne era rimasto impressionato.
Ma non si può escludere che addirittura Albert Einstein abbia portato a Friburgo una copia del libro La persuasione e la rettorica. Le ipotesi si affastellano. Quella verso cui Vašek sembra propendere è legata al nome di Julius Evola, l’esoterico filosofo protofascista, di cui forse Heidegger ha letto qualcosa, e che a sua volta nella propria autobiografia ammette il debito verso Carlo Michelstaedter. Singolari nessi, sorprendenti collegamenti. Finché, però, l’archivio in cui si conservano le carte, i documenti, la corrispondenza e gli scritti ancora inediti di Heidegger, resterà chiuso ai ricercatori per volere degli eredi, sarà impossibile rispondere a questa come ad altre domande.
Il libro di Vašek è comunque un tentativo che va oltre la ricostruzione storica e che sembra quasi rinviare a ciò che il grande «monarca» della filosofia tedesca può aver ripreso dalle correnti della cultura ebraica che sarebbero state annientate di lì a poco. Un tentativo analogo è quello di Susanne Möbuß, che ha pubblicato nel 2018 una imponente monografia in tedesco, dove mostra ciò che Heidegger, senza menzionarlo, ha ereditato dal pensiero del grande filosofo ebreo tedesco Franz Rosenzweig.
Per noi sarà forse l’occasione per rileggere Michelstaedter, in questi anni un po’ dimenticato, per riscoprire il fascino di questa figura di confine, figlio per parte di madre di un’antica famiglia ebraica, i Coen Luzzatto, esponente della cultura austroungarica, italiano per vocazione. E chissà, se non si fosse suicidato, sarebbe finito anche lui ad Auschwitz, come la madre, la sorella maggiore e quell’amica, amante, Argia Cassini, il cui lascito ha ispirato l’inchiesta di Vašek.

- Donatella Di Cesare - Pubblicato sulla Stampa del 7/7/2021 -

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