Quando Enrique Vila-Matas scrive "Storia abbreviata della letteratura portatile", sceglie di usare una frase di Paul Valéry, da Monsieur Teste: «L'infinito è una questione di scrittura. L'universo esiste solo sulla carta» (è curioso pensare come questa frase, tratta da un romanzo degli anni ‘80, evochi la frase scritta da Derrida in Della Gramatologia, « il n'y a pas de hors-texte » [«non esistono fuori-testo», frase che a sua volta già evocava indirettamente Valéry). Con tale epigrafe, Vila-Matas prepara il terreno che proporrà per la sua riconfigurazione scherzosa della storia della letteratura e dell'arte del XX secolo - dal momento che l'universo «esiste solo sulla carta», è possibile proporre una sua evocazione portatile come se fosse qualcosa che allo stesso tempo accade e non accade contemporaneamente (Crowley, Duchamp, Picabia, Walser...).
Il gioco di scale che Duchamp propone nel suo "Boîte-en-valise" serve a Vila-Matas come slogan per proporre, a sua volta, una cospirazione portatile, mostrando come alla fine esista anche il "fuori-testo" (vale a dire, esso riguarda il movimento dei corpi nello spazio, nelle strade, nei caffè, nei luoghi segreti: è fondamentale creare un'opera portatile affinché essa possa essere spostata, cosicché possa essere parte della città, dello spazio, della comunità). Questa traccia sotterranea di Storia Abbreviata tornerà a riemergere in superficie solo dopo quasi vent'anni, con "Parigi non finisce mai", del 2003, un libro in cui Vila-Matas dichiara la sua appartenenza immaginativa al situazionismo e alla sua teoria dell'occupazione dello spazio urbano.
In "Suicidi esemplari", Vila-Matas cita Pessoa: «viaggiare, perdere paesi» (come il salvataggio di Valéry fa pensare a un Derrida che non esisteva ancora, l'evocazione di Pessoa fa pensare a un Debord che non era ancora nato). A seconda del percorso scelto per leggere la Storia abbreviata (sempre in chiave parodica, per esempio), ecco che il Valéry dell'epigrafe, da parte sua, può essere anche un'evocazione di Borges e Pierre Menard: parlando del « Borges francofobo », Juan José Saer difende l'idea secondo cui sarebbe Valéry la figura che dà sostanza a Menard, servendo sia da modello che da bersaglio parodico, esaltando e dissolvendo nello stesso movimento la sua «opera visibile» (pertanto, ecco che proprio come avviene nel Menard di Borges, l'evocazione di Valéry fatta da Vila-Matas può essere non solo celebrativa, ma costituire nascostamente un accenno alla vanità degli "uomini di lettere").
fonte: Um túnel no fim da luz
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