« C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.» (Walter Benjamin, Angelus Novus, tr. it. Einaudi 1961, p. 80)
In poesia, parlare di «angeli» è un discorso complesso, carico di sfumature che possono evocare da Baudelaire a Rilke, e perfino l'«angelo della storia» di Benjamin.
L'«angelo» reca in sé la grandezza di un'entità che si muove e oscilla tra la protezione e l'indifferenza. come se fosse una sorta di raccordo, un tramite fra l'esperienza mondana, quotidiana e la proiezione di tale esperienza in direzione dell'ineffabile, dell'invisibile (così come, ad esempio, l'«angelo silenzioso» di Heinrich Böll è una statua frantumata in mille pezzi, è una rovina che fa spavento proprio per la sua immobilità, per la sua indifferenza di fronte a tutto ciò che le accade intorno).
Charles Simic pubblica, nella sua antologia "The World Doesn't End" (1989) ["Il mondo non finisce", Donzelli], una poesia dal titolo "Il mio angelo custode ha paura del buio". L'angelo ha paura del buio, ma se ne vergogna, lo nasconde: e così manda avanti il «protetto», il «custodito», dicendogli che lui arriverà tra un attimo - «sends me ahead, tells me he'll be along in a moment». Ma l'oscurità è immensa, e con ogni probabilità, come sta sussurrando qualcuno, ci troviamo proprio nell'angolo più buio del paradiso (« “This must be the darkest corner of heaven,” someone whispers behind my back »). L'angelo custode, per quanto esista, non svolge più la sua funzione, e così facendo richiama l'attenzione sulla propria inadeguatezza (una condizione di inutilità non operativa, resa possibile dalla paura, come se il suo sentire costringesse l'angelo in una situazione che lui non riesce ad accettare). Ed è questa dimensione poetica del linguaggio che permette la costruzione di immagini che parlano, simultaneamente, sia di speranza che di disperazione; esattamente proprio come l'angelo di Benjamin (che nel suo commento all'esistenza dell'angelo parla di distruzione e rovine) anche l'angelo di Simic appare sollecitato dalla propria esistenza, fino al momento in cui si rivela inutile, pavido, smarrito.
fonte: Um túnel no fim da luz
1 commento:
Non avevo letto Simic, e quindi grazie. La variante al tema dell'angelo di questi versi è - devo però approfondire-solo apparentemente prossima all'Angelus di Benjamin:il mondo che non finisce contraddice proprio la coincidenza di una prospettiva escatologica (questo mondo finisce) e di un agire politico (un altro mondo è possibile). Ma i versi sono belli proprio perché crudeli.
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