Non passa: Crisi e disoccupazione negli USA
- di Maurilio Botelho -
«Già da lungo tempo abbiamo raggiunto la nostra ultima frontiera, e praticamente non vi è più terra libera. Più di metà della nostra popolazione non vive della terra e non può trarre i suoi mezzi di sussistenza dalla coltivazione della sua proprietà. Per i disoccupati, non c'è più la valvola di sicurezza dell' Est, o di potersi lanciare alla conquista delle praterie del West, dove dove potersi rifare una nuova vita.»
(Franklin Delano Roosevelt, 1932.)
Nel mese di maggio, in quello che è stato il momento più critico della pandemia di Covid-19, in cui si è raggiunto il picco dei decessi quotidiani, negli Stati Uniti, dopo il collasso causato dal confinamento sanitario, un'improvvisa creazione di posti di lavoro sembrava indicare una rapida ripresa economica. La previsione di 7.5 milioni di nuovi disoccupati veniva sorprendentemente compensata dalla creazione di 2,5 milioni di posti di lavoro. Sui media, tra i politici e gli investitori l'ottimismo prendeva il sopravvento. Il segretario del Lavoro del Paese dichiarava che «quello che era stato il peggio dell'impatto che il corona-virus aveva avuto sul mercato del lavoro si trovava ormai alle nostre spalle». Trump si rallegrava per la vitalità del recupero economico in atto: «Sarà meglio di un razzo, sarà un missile» [*1].
A luglio, la pandemia provava la sua persistenza, con nuovi record giornalieri di infezione. Anche con l'inizio della riapertura dei diversi settori dell'economia, l'ottimismo di due mesi prima mostrava la corda: agli oltre 30 milioni di nordamericani che ricevevano sussidi per la disoccupazione, nella seconda metà del mese se ne erano aggiunti quasi un altro milione e mezzo. Un economista della banca Mitsubischi negli Stati Uniti, affermava che «per il mercato del lavoro, non c'era stato alcun recupero graduale» [*2].
Era in atto un movimento di avanti e indietro: per quanto la riapertura economica promuovesse una tendenza alla riduzione della disoccupazione - dopo che 1/4 dell'intera forza lavoro statunitense aveva perso il lavoro - le richieste di indennità contro la disoccupazione alternavano settimane di declino ad improvvise impennate. In un mercato del lavoro reso flessibile all'estremo, le variazioni erano dovute al carattere instabile della ripresa stessa. Il dissolversi di molte attività economiche causava un aumento della disoccupazione in settori come il commercio ed i servizi alla persona, ma la bassa domanda da parte dei consumatori, dovuta al timore del contagio, dimostrava che i costi erano stati superiori ai guadagni della riapertura. Sebbene le imprese di commercio on-line stessero aumentando i loro posti di lavoro, i fallimenti che c'erano stati in settori come il turismo e i trasporti mostravano quella che era una tendenza alla distruzione duratura dei posti di lavoro. Ben presto, era diventato chiaro che anche i posti di lavoro riavviati, ben lungi dal compensare le perdite accumulate durante l'anno, erano in gran parte a tempo determinato e, in stragrande maggioranza, rappresentavano salai più bassi di quelli esistenti precedentemente. La concentrazione della ricchezza e la dipendenza del cittadino americano dal credito ne sarebbe uscita rafforzata.
Tutto ciò ci consegna un'immagine del quadro in movimento delle piccole e medie imprese, fondamentalmente il quadro del "settore terziario", il maggior responsabile per i posti di lavoro negli Stati Uniti. Storicamente caratterizzati da salari bassi, precarietà e scarsi "legami occupazionali", questi settori "competitivi" sono quelli che garantiscono ancora occupazione in un'economia che ha ridotto al massimo la forza lavoro occupata nei settori produttivi, con elevata produttività oppure trasferita nelle fabbriche in Oriente.
Nelle ultime settimane, tuttavia, è diventato evidente un movimento di massa anche nei settori «monopolistici» che mantengono ancora in qualche modo alcuni contingenti significativi di lavoratori [*3]. Nell'ultimo giorno di settembre, American Airlines e United hanno annunciato più di 30.000 licenziamenti [*4]. Con una perdita dell'85% dei guadagni nei suoi parchi, la Disney aveva già annunciato un giorno prima il licenziamento di 28.000 dipendenti [*5]. Il più grande gestore di Casinò di Las Vegas, una settimana prima, ha annunciato almeno 18.000 licenziati [*6]. Nei settori finanziari, i licenziamenti sono sempre più in aumento, con le compagnie di assicurazione e le banche che licenziano in ondate sempre più numerose. Una delle spiegazioni ricorrenti è che il sostegno finanziario offerto dal governo degli Stati Uniti aveva stabilito come contropartita il mantenimento dei posti di lavoro; con la fine della quarantena di "salvataggio", i licenziamenti vanno aumentando, Tuttavia, questa è solo una parte di quella che è una spiegazione più completa.
È ovvio che la pandemia ha messo al tappeto l'economia, fermando la circolazione delle merci e delle persone [*7]; dal momento che quest'ultimi non sono altro che merci, sempre meno vendibili, ecco che allora il tasso di disoccupazione è esploso in maniera tale che non si era mai visto prima. Tuttavia, parte del licenziamento di massa dev'essere letto come un approfondimento della crisi strutturale del capitalismo, come una continuazione dei processi di ristrutturazione produttiva e come un'accelerazione dell'automazione promossa a partire dalle nuove esigenze imposte dalla pandemia.
Quindi, se i settori finanziari rendono pubblici ora i grandi tagli, questo non è affatto solamente un evento degli ultimi giorni: «il totale dei licenziamenti annunciati quest'anno arriverebbe a 67.844, secondo quelli che sono i dati raccolti da Bloomberg (...). Probabilmente, il totale reale è assai più alto, perché molte banche licenziano i loro funzionari senza annunciare i loro programmi» [*8]. La sola HSBC aveva già annunciato a febbraio una drastica riduzione di 35.000 dipendenti, rafforzando un trend generale nei principali mercati azionari mondiali: «Il totale dei licenziamenti annunciati a partire dall'inizio del 2014 ammonta a circa mezzo milione» [*9].
Ciò che sta dietro questa spinta alla distruzione non è l'avidità dei grandi finanzieri, bensì la progressiva dinamica dell'automazione dei settori monetari: la tecnologia digitale sta convertendo radicalmente tutte le attività contabili, i meccanismi di compensazione ed il controllo dei flussi. Attività di routine che richiedevano un qualche livello di assistenza da parte dei funzionari, come i pagamenti e i trasferimenti di denaro, ora vengono esternalizzati al cliente nei suoi apparati elettronici connessi a Internet. In questo modo, i costi delle attività finanziarie diminuiscono radicalmente economizzando sulla forza lavoro, e anche con la riduzione di quelle apparecchiature per il consumatore (ATM, casse elettroniche, agenzie, ecc.).
La stessa cosa sta succedendo su larga scala con le attività commerciali: i rivenditori stanno convertendo una parte sempre più grande delle loro vendite al commercio elettronico, trasferendo operazioni di compilazione dei dati, acquisto e pagamento da parte dei clienti e riducendo al massimo i negozi e le operazioni fisiche di vendita. L'«effetto Amazon» è la progressiva eliminazione dell'esercito di tradizionali commessi e la sua sostituzione con attività precarie in quella che è la distribuzione delle merci. Ma queste non rappresentano solo il semplice dislocamento dei posti di lavoro tra settori, o una tendenza alla "distruzione creativa" del posto di lavoro. Oltre al limbo contrattuale che circonda una simile attività (l'«imprenditore» opera con un auto a noleggio fornendo servizi di consegna a domicilio ad un'impresa subappaltata al dettagliante da una grande corporazione), con la razionalizzazione della logistica, la robotizzazione dei magazzini e le nuove tecnologie di automazione delle consegne, la riduzione dei posti di lavoro diventa un rischi costante; durante la pandemia, sono stati fatti dei test effettuando consegne con dei droni in decine di città degli Stati Uniti, soprattutto condotti da Amazon e da Walmart.
Quella che è in atto, nel processo di radicalizzazione con la pandemia, è una tendenza a lungo termine: negli Stati Uniti non c'è più una rigida separazione tra un settore precario del mercato del lavoro (periferico) ed un altro settore regolato per mezzo di norme stabili (centrale), poiché quest'ultimo è sull'orlo dell'estinzione. Come ha affermato 30 anni fa David Harvey, nel suo "classico" libro "La crisi della modernità", la «tendenza attuale a ridurre il numero dei lavoratori "centrali" e di impiegare sempre più una forza lavoro che viene assunta facilmente, e che viene licenziata senza costi quando le cose si mettono male» [*10].
Una «riorganizzazione produttiva» in atto da decenni, pertanto, ecco che ora diventa ancora più profonda attraverso le esperienze del distanziamento sociale, le attività svolte a distanza e l'automazione: «ci sono aziende che si stanno rendendo conto che la domanda non è più tornata a crescere e stanno facendo perciò i necessari aggiustamenti. Alcune di esse stanno accelerando i piani di riduzione dell'attuale forza lavoro impiegata. Altre stanno scoprendo che i tagli che consideravano temporanei in realtà sono sostenibili, e che la produttività non viene direttamente influenzata dalle riduzioni attuate nell'organico. Altre imprese ancora si sono rese conto che i lavoratori a distanza possono essere più produttivi: dal momento che alcuni di loro lavorano anche di più, per paura di perdere il lavoro» [*11].
La tendenza alla precarizzazione dei posti di lavori che vengono ancora offerti nell'economia statunitense era già palese. All'inizio degli anni '90, Robert Reich, ex segretario del Lavoro, ha dimostrato come, a partire dal 1965, i salari medi dei lavoratori statunitensi (escluse le funzioni di vigilanza) fossero sempre più bassi; il che implicava una graduale riduzione del mercato dei consumi, che avrebbe potuto essere compensata dall'indebitamento, «nella misura in cui via via che diminuiva il numero di americano che avevano un reddito medio» [*12]. La critica culturale Barbara Ehrenreich ha vissuto sulla propria pelle il lavoro sottopagato dei colletti bianchi e anche gli impieghi poco qualificati riservati ai neri e agli immigranti, dimostrando che il «lavoro di sopravvivenza» è una condizione che viene vissuta da quasi tutti gli strati sociale. Vivere ai margini, senza preoccuparsi della salute, sempre al di sotto di quello che è livello necessario per la riproduzione, indebitandosi ed impoverendosi sempre più - bloccando in questo modo qualsiasi cambiamento sociale - era ormai diventato un dato comune alla maggior parte degli americani; uno «stato di emergenza generalizzato» [*13].
La realtà post-pandemica approfondirà ulteriormente tale situazione, peggiorando la tragedia quotidiana con un'occupazione sempre più scarsa e costringendo una parte del mercato del lavoro verso le «le attività per conto proprio», un eufemismo che nasconde la disoccupazione di massa. Non esiste niente che assomigli ad un ciclo virtuoso di crescita e che possa intervenire a fronte di una situazione di disoccupazione tecnologia, di compressione dei redditi, di bancarotta diffusa e di una situazione esplosiva dovuta all'indebitamento: l'espansione monetaria ha causato un indebitamento da record, intervenendo su una montagna di debiti che erano già stati accumulati nei precedenti cicli di iniezione di capitale fittizio nei mercati immobiliari, dei totali e del consumo. Il timore è che ora, con la fine delle misure minime di protezione offerte dal governo durante la pandemia, si apra immediatamente un divario ancora più grande. La crisi che è in atto al centro del capitalismo non passa.
- Maurilio Botelho - Pubblicato il 10/10/2020 su Blog Da Consequencia -
NOTE:
[*1] - Il mercato del lavoro dà sollievo agli Stati Uniti con un sorprendente calo della disoccupazione a maggio. Vedi in: El País, 05 giugno 2020.
[*2] - Le richieste settimanali di disoccupazione negli Stati Uniti aumentano inaspettatamente quando il mercato del lavoro fa un passo indietro. Vedi a: El País, 05 giugno 2020: Swissinfo, 23 luglio 2020.
[*3] - James O'Connor ha analizzato sistematicamente la divisione del mercato del lavoro statunitense, nel bel mezzo dell'era di crescita del dopoguerra, tra un settore competitivo, un settore monopolistico e un settore statale. Si veda: James O'Connor "La crisi fiscale dello Stato" Einaudi, 1977.
[*4] - American Airlines e United annunciano più di 30.000 licenziamenti a causa della pandemia. Vedi in: O Globo, 01 ottobre 2020.
[*5] - Con i parchi chiusi nella pandemia, la Disneys licenzia 28.000 dipendenti. Vedi in: Infomoney, 30 settembre 2020.
[*6] - La MGM annuncia il licenziamento di 18.000 dipendenti. Vedi su: Infomoney, 30 settembre 2020: FDR, 25 settembre 2020.
[*7] - Maurilio Botelho, "Epidemia economica: Covid-19 e crisi capitalistica"; su https://francosenia.blogspot.com/2020/04/arresto-cardiaco.html
[*8] - I tagli alla Goldman hanno portato a licenziamenti nelle banche per quasi 70.000 persone. Vedi in: Money Times, 01 ottobre 2020.
[*9] - Ivi.
[*10] - David Harvey, "La crisi della modernità". Il Saggiatore, 2010.
[*11] - Il rapporto di agosto sui posti di lavoro può sembrare roseo, ma la maggior parte dei tagli di posti di lavoro devono ancora arrivare, avvertono gli economisti. Vedi in: NBC News, 04 settembre 2020.
[*12]- Robert Reich, "O trabalho das nações" São Paulo: Educator, 1994, p. 184.
[*13] - Barbara Ehrenreich, "Una paga da fame"; Feltrinelli 2004. Su "occupazione di sopravvivenza" vedi: "O desemprego de colarinho-branco." Rio de Janeiro: Record, 2006, p. 223.
Originariamente pubblicato su https://www.igrakniga.com/