sabato 5 novembre 2022

Sul pavimento, foglie di calamo che odoravano di limone …

Inghilterra, Dodicesimo secolo. Marie, bandita dalla corte della regina Eleonora d’Aquitania, che ama di un amore ardente, è una ragazza sola, figlia illegittima di re, inutilmente colta, inutilmente appassionata, destinata com’è a una vita di clausura in un’abbazia che ha conosciuto giorni migliori, abitata da un piccolo popolo di donne inacidite dalla segregazione, dispettose, anche solo vecchissime. Però Marie riconosce in quell’enclave isolata, così importante per l’economia del contado, una possibilità di crescita, di potere, anche. E così prende le redini di un’impresa tutta da costruire che la porterà a scivolare in silenzio fuori dal raggio autoritario del clero locale, verso un’indipendenza di spirito e di azione destinata a trasformare l’abbazia in un cuore pulsante di energie, fervido di progetti, illuminato, vivo, in cui ogni donna ha il suo posto e la sua occasione di brillare. Ma da fuori premono l’invidia, le chiacchiere, la curiosità morbosa per quell’Utopia prima del tempo, tutta al femminile; e la badessa Marie è la prima a rendersi conto che libertà di pensiero e controllo della comunità sono a tratti inconciliabili, che il potere si conquista e si mantiene a caro prezzo, che le passioni, di qualunque tipo, sono pericolose. Tra autentiche credenti, reiette e bastarde, figlie cadette, ragazze sole al mondo gettate via come stracci, nobildonne radiose, la vita dentro le mura del convento, al centro di un labirinto progettato per isolarlo dalle brutture, è complicata quanto quella di fuori, forse anche di più. Lauren Groff torna al romanzo con una storia serrata e originale, che ha il passo dell’epica, la luce di una canzone d’amor cortese e lo scintillio tagliente dell’anima della sua Marie.

(dal risvolto di copertina di: Lauren Groff, Matrix. Bompiani, €18)

Emancipate, libere, appassionate: la ricetta per la felicità è vivere come suore di clausura del Medioevo
- di Tommaso Pincio -

È giusto cominciare dalla copertina della versione italiana: di gran lunga la più bella tra le edizioni finora apparse in giro per il mondo. Mostra il nome dell'autrice, Lauren Groff, e il titolo del romanzo, Matrix, chiusi in un labirinto disegnato con il gambo spinoso di una rosa su sfondo bianco. Il gambo è piegato in tanti angoli retti. Le foglie si allineano al gambo come frecce, indicando al contempo due direzioni opposta. È un immagine che allude a un momento chiave, quello in cui la protagonista pensa di isolare la sua abbazia avvolgendola con una strada talmente intricata da sgomentare il più ostinato dei viandanti. Allude senza illustrare. A illustrare sono capaci tutti. La vera sfida è cogliere l'anima e questa copertina restituisce in pieno lo spirito del libro, la sua sensualità austera. Vorrei poter dire di aver fatto altrettanto, come traduttore. Non era la prima volta che mi veniva affidato un romanzo di Lauren Groff e credevo conoscerla abbastanza da poter tornare a misurarmi senza particolari patemi con la sua pagina ricca di guizzi lirici ma sempre scolpita, mai artefatta. Invece ho dovuto ripartire quasi da zero, perché Groff si distingue anche per la seguente ragione: nessun libro è mai uguale al precedente.
Ero abituato a storie sul matrimonio in un'epoca in cui i matrimoni spesso durano poco; storie sulla competizione tra i sessi, sull'essere genitori, sulle insidie del vivere in una società centrata sui consumi. Comunque a storie del nostro tempo, Matrix mi ha invece scaraventato nell'Inghilterra del XII secolo, per immedesimarmi - giacché questo viene chiesto a un traduttore: di immedesimarsi quasi alla stregua di un attore - nell'esistenza di una donna cacciata in giovanissima età dalla corte francese ed esiliata oltremanica per diventare la nuova priora di una malconcia abbazia piena di suore malate e affamate. Una donna ispirata a Maria di Francia, poetessa misteriosa della cui vita si ignora praticamente tutto, anche se alcune ipotesi la vogliono appunto badessa di un convento, quello di Shaftesbury nella contea del Dorset. Qualsiasi romanzo storico degno di questo nome è chiamato a trovare un giusto equilibrio tra ciò che sappiamo del passato e ciò che è precipitato nell'oblio. Su un piatto abbiamo la storia con la sua presunta verità, sull'altro ciò che, per forza di cose, bisogna inventare. Ovvero: da un a parte abbiamo ciò che altri hanno già scritto, dall'altra ciò che noi stiamo per scrivere. Il che è come dire, semplificando parecchio, che da una parte abbiamo il passato, dall'altra il presente. Comunque sia, è nell'armonia tra i due piani che si decidono tanto la credibilità del romanzo, quanto le speranze di conquistarsi l'attenzione del lettore.
Vogliamo essere brutali? Perché mai dovremmo interessarci a vite lontane dalle nostre? Cosa può dirci di essenziale una superiora del medioevo la cui personalità è peraltro in gran parte un'invenzione dell'autrice? Le domande che mi sono posto prima di mettermi al lavoro erano quasi di questo tenore. Dico quasi perché, conoscendo Lauren Groff, sapevo che mi aspettava un romanzo meticoloso sul piano storico, attento ai dettagli, pienamente calato nel passato e tuttavia non sganciato dal nostro tempo. Non mi sbagliavo. Matrix riesce infatti nella magia di trasformare il lettore - e dunque anche l'umile traduttore - in una suora del medioevo, senza che questo cancelli dall'orizzonte questioni con cui oggi siamo chiamati a confrontarci. Vi troviamo l'affrancamento dal patriarcato, l'identità di genere e finanche l'antropocene. Del resto - e lo ha raccontato la stessa Groff - il romanzo è stato scritto durante gli anni bui della presidenza Trump. Dopo quelle elezioni alcune amiche della scrittrice avevano cominciato a scherzare sulla possibilità di creare un'isola di lesbiche separatiste da cui gli uomini fossero banditi e dove poter girare nude senza problemi. In Matrix ci è offerta per l'appunto un'utopia di questo tipo.
Assistiamo alla crescita della giovanissima Marie, la vediamo diventare donna di grande tempra e ingegno, donna combattiva, decisa a non rinunciare alle sue aspirazioni e ai suoi desideri, inclusi quelli fisici. La vediamo trasformare quella che all'inizio le sembra una prigione nella possibilità di un mondo nuovo. La vediamo soffrire per amore, battersi per proteggere le sue sorelle. La vediamo infine giustificare molte sue scelte con apparizioni divine che sono tra gli aspetti più interessanti e per certi versi attuali del romanzi. Non è ben chiaro infatti quanto queste visioni discendano veramente dal cielo né fino a punto Marie creda in Dio. Di certo crede nella Vergine, anche se a volte sembra crederci perché veda in lei una donna, prima ancora che la madre del Signore. Con sapiente sottigliezza, il dubbio non è mai enunciato, ma lascato sullo sfondo e quasi in sospeso, come se il compito di scioglierlo fosse lasciato a noi moderni d'occidente, capaci ormai di credere soltanto a stento in noi stessi, quando va bene. Ci viene in sostanza ricordato che la mancanza di fede non libera dal bisogno di Dio o qualcosa che gli somigli, che sia un'utopia o un diverso rapporto con la natura o una forma di emancipazione. Non credere in niente significa vivere senza speranza, senza un progetto, senza luce. In questo, il medioevo, spesso ritenuto a torto un periodo oscuro, ha tanto da darci e insegnarci e Matrix lo dimostra. Quanto al traduttore, ha indagato e scoperto cose bellissime, come per esempio che in quei secoli lontani si usava spargere sui pavimenti foglie di calamo aromatico che odoravano di limone, di modo che, a forza di essere calpestate, profumassero l'ambiente. Ha cercato di fare in modo che il profumo del testo permanesse anche nella traduzione. Se in parte vi è riuscito, molto merito va a chi lo ha assistito, a chi ha rivisto e corretto. Malgrado si tenda a pensarlo come l'opera di una sola persona, un libro somiglia infatti proprio a un convento, guidato sì da una superiora ma con tante sorelle che fanno il loro.

- Tommaso Pincio - Pubblicato su TuttoLibri del 10/9/2022

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