martedì 15 novembre 2022

Coltivare… Uomini !!

Per tutti noi l’assunzione quotidiana di caffeina coincide nientemeno che con la «condizione normale della coscienza». Eppure, quell’alcaloide naturale è a tutti gli effetti una droga, come rivela l’«esperimento di privazione» cui Michael Pollan si è sottoposto, trovandosi afflitto via via da mal di testa, letargia e «intensa angoscia». Per cercare di rispondere alla domanda cruciale da cui è partito – che cosa sia esattamente una droga –, Pollan intreccia reportage, memoir e saggio scientifico, spaziando attraverso varie discipline e concentrandosi soprattutto su tre molecole psicoattive: oltre alla caffeina, l’oppio, il cui effetto – secondo il poeta vittoriano Robert Bulwer-Lytton – è assimilabile al «sentirsi accarezzare l’anima dalla seta», e la mescalina, la più «sacra», che permise ad Aldous Huxley di vedere il mondo nella sua autentica «bellezza, minuzia, profondità e “quiddità”». Da questo affascinante percorso emerge ogni aspetto di queste sostanze, e in particolare la loro «natura bifronte»: il loro essere cioè «veleni» e «attrattori» al tempo stesso, in grado da un lato di dissuadere gli animali dal mangiare le piante che le producono, dall’altro di spingerli a utilizzarle accrescendo così la loro espansione ecologica: la caffeina contenuta nel nettare di certe piante, per esempio, rende le api impollinatrici «più affidabili, efficienti e industriose». Un’ambiguità che contraddistingue anche il millenario rapporto con le «droghe» degli esseri umani – e spiega come mai, sul piano evolutivo e culturale, «quella che era iniziata come una guerra» nei loro confronti si sia «trasformata in un matrimonio».

(dal risvolto di copertina di: Michael Pollan, Piante che cambiano la mente. Adelphi Traduzione M. Z. Ciccimarra pagg. 293 euro 20)

Allucinazioni vegetali
A metà tra studio e reportage, Michael Pollan indaga su come oppio, caffeina e mescalina ci cambiano la vita 

- di Chiara Valerio -

Se come sta scritto nella Genesi «Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato», allora, allargando il ragionamento, si può dire che i giardinieri, oltre le piante, coltivano uomini. E questo credo sia il punto centrale dell’ultimo libro di Michael Pollan, Piante che cambiano la mente (Adelphi), ed è un tema centrale in molti dei saggi di Stefano Mancuso (pubblicati in Italia da Laterza e da Giunti): le piante, che non possono muoversi, ci utilizzano come vettori per diffondersi, noi e altri animali. Se tuttavia Stefano Mancuso mantiene un approccio neurobiologico, si interessa cioè allo studio del mondo vegetale, ridefinendo in esso i termini di vedere, pensare e avere coscienza, Pollan, saggista e giardiniere — come già aveva fatto in Come cambiare la tua mente (Adelphi, 2018) — ci conduce in un viaggio nella nostra coscienza. Le piante ci usano dice Mancuso, le piante ci alterano scrive Pollan. Entrambi spostano il punto di vista sul rapporto che si è pensato, erroneamente, gerarchico tra il mondo vegetale e il mondo animale (e ovviamente noi, gli esseri umani, i bipedi implumi, sopra tutto). Noi cambiamo la natura, e la natura ci cambia è una delle formulazioni del terzo principio di Newton, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Le sostanze prese in considerazione in questi tre saggi, che sono reportage di viaggio in luoghi non eminentemente geografici, sono l’oppio, la caffeina e la mescalina. «Se mai c’era stata una storia che si potesse raccontare senza muoversi fisicamente da casa, di sicuro era quella di una molecola che trasportava la mente in luoghi nuovi. Luoghi che non si potevano confinare». Attraverso queste sostanze, Pollan si propone e riesce a fare due cose, a raccontare un pezzo di storia politica e sociale e a restituire al quotidiano, alle nostre abitudini e prassi, una dimensione di avventura. Pollan studia, consulta esperti, pianta papaveri (nel primo saggio), e poi, dopo aver raccolto informazioni e storie e averle intrecciate, diventa una sonda narrativa e sensoriale. Ci racconta non cosa succede, ma cosa “gli” succede.

Che si possa viaggiare in tanti modi ce lo ha assicurato e ce lo assicura la letteratura, ma che coltivare piante, alcune in particolare (ma in fondo tutte) ci consenta di viaggiare nel tempo e riacquisire conoscenze perdute per addomesticamento, lo racconta Pollan. I tre saggi sono stati scritti in periodi differenti, quello sull’oppio, che apre il volume è di metà anni Novanta: «Uno di questi capitoli è un saggio che scrissi venticinque anni fa, quando infuriava la guerra alla droga, e porta i segni di quell’epoca di paura e paranoia. Le altre risentono invece dell’attenuarsi di quella guerra, la cui fine appare ormai vicina». In tutti e tre, Pollan si appoggia a resoconti precedenti di viaggiatori e viaggiatrici lisergici. Così spunta Memorie di un mangiatore d’oppio di De Quincey nel primo saggio, spuntano Balzac e le sue intossicazioni nel capitolo sulla caffeina e Huxley nelle pagine sulla mescalina. Non sono i soli, perché Michael Pollan — come pure chi scrive — pensa che nei romanzi ci sia la verità, sentimentale o esperienziale che sia, dai romanzi si capisce come si vive in una certa epoca perché è nei romanzi che vengono trascritti i desideri, le aspirazioni, le difficoltà, e lì sta il racconto di cosa sia concesso fare e cosa no, di cosa sia considerato scienza, religione, superstizione, conoscenza comune o fantascienza.

Il capitolo sulla caffeina spaventa, perché non è una droga sanzionata, tuttavia «l’energia che quella tazza di caffè o tè vi ha dato è stata presa in prestito, dal futuro, e prima o poi deve essere restituita. Per di più, ci sono degli interessi da pagare su quel prestito, e si possono calcolare in termini di quantità e qualità del sonno». La prosa di Pollan è avvincente, il rimando continuo alla chimica — molecole et alia — fa intendere che il mondo sia più vasto e vada ben oltre la scala umana, la curiosità nei suoi studi è sincera e contagiosa, l’ironia — sottolineata da un misurato ricorso all’inadeguatezza, pratica o emotiva, alle situazioni — coinvolge, commuove e dice che siamo esseri in balia, e questo non deve terrorizzarci. Anzi.

- Chiara Valerio - Pubblicato su Robinson del 24/9/2022 -

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