David Hook è un uomo mite, un vedovo, un ex insegnante divenuto allevatore. Vive nella fattoria di famiglia, nell’amata campagna dell’Illinois, dove si prende cura degli animali, della terra, dei suoi tre figli. Un giorno viene raggiunto dalla notizia che il maggiore di loro, il diciottenne Chris, è morto.
Chris si trovava a Santa Barbara, per la tipica vacanza californiana che i ragazzi della sua età si concedono prima di partire per il Vietnam, e lì, una notte, è precipitato da una scogliera. Secondo la polizia, che ha rinvenuto tracce d’alcol nel sangue, si è trattato di un suicidio. I testimoni, però, dipingono un giovane sbandato e depresso che non può essere il ragazzo pulito, amante della vita conosciuto dal padre.
Nel tentativo di dare un senso alla tragedia, Hook decide di indagare. Seguendo le ultime tracce di Chris – che lo conducono a un politico locale dalla vacua retorica kennediana, alla sua amante e a un’ambigua rete di accoliti e lacchè – sarà costretto a interrogarsi anche su sé stesso, sul rapporto tra genitori e figli in un’America che cambia, e a mettere in discussione il ferreo sistema di valori in cui ha sempre creduto.
Pubblicato per la prima volta nel 1973 e riproposto oggi in una nuova traduzione d’autore firmata da Tommaso Pincio, Morire in California è un grande romanzo d’azione da riscoprire, ma anche un noir malinconico e riflessivo sul lutto e la perdita dell’innocenza.
(dal risvolto di copertina di: "Morire in California", di Newton Thornburg, Edizioni Sur, 400 pagine, €19)
Quel mistero dell'anima
- di Tommaso Pincio -
Ancora oggi nessuno scrittore ama vedersi confinato nella narrativa di genere. Figurarsi quanto poco potesse piacere in passato, quando gialli e polizieschi uscivano direttamente in tascabile con copertine che era tutto un programma. I primi due romanzi di Newton Thornburg arrivano alle stampe proprio così, come gialli da edicola, tanto che soltanto alla sua terza prova, apparsa nel 1973 nella forma di un vero libro - un libro rilegato cioè, venduto in libreria invece che in edicola - lo scrittore comincia a pensarsi nella scia di Sartre e Camus, i maestri cui si ispirava, e questo nonostante "Morire in California" fosse comunque un romanzo con delitto. O meglio: con un presunto delitto, una morte che passerebbe per suicidio, se il bisogno di verità e giustizia non portasse un genitore incredulo e distrutto dal dolore a lasciare il Midwest e improvvisarsi investigatore al capo opposto del continente, in California appunto. Siamo nell'immediatezza dell'eccidio di Cielo Drive, dunque all'alba degli anni Settanta e in un'America alle prese con gli hippie e il pantano del Vietnam , un periodo di conflitti generazionali, di aneliti contestatari e nuove forme di eccessi, tutti aspetti che serpeggiano costantemente tra le pieghe della trama definendone il quadro sociale, ma che rivelano solo in parte a cosa pensasse Newton Thornburg quando aspirava a essere qualcosa in più di un semplice giallista. Molto più indicativo è l'impatto esercitato sulla sua formazione letteraria dal capolavoro che per molti versi può essere considerato l'anticipatore nobile dei romanzi criminali, Delitto e castigo.
È evidente a tutti che il destino giudiziario di Raskol'nikov è accidentale rispetto alle questioni di ordine morale e filosofico trattate da Dostoevskij. Il senso della pena e dell'esistenza, la vita familiare, l'ateismo: di questo ci parla il romanzo. E questo, l'ateismo in particolare, sono anche le chiavi per comprendere il mondo di Thornburg. Nato in un sobborgo di Chicago e cresciuto in una famiglia molto devota, il giovane Newton andava in chiesa nei giorni di festa e ascoltava sermoni in cui si diceva di amare il prossimo; il resto della settimana lo passava a constatare come quelle parole restassero lettera morta nella moderna America. «Credevo in Dio, da piccolo», ha raccontato. «Poi ho perso la fede e non ho trovato nulla che rimpiazzasse quel vuoto». Sempre in gioventù, smarrì anche la vocazione di artista. Negli anni Cinquanta provò ad affermarsi come pittore a New York. Deluso da quella esperienza, era tornato in Illinois dove per un po' aveva dato una mano al cognato, proprietario di un allevamento. Se a questo aggiungiamo un progressivo distacco dalle convenzioni progressiste sposate da studente, ne ricaviamo che nulla di ciò in cui Thornburg credeva in gioventù - Dio, arte e politica - è sopravvissuto a quella che Conrad chiamava la linea d'ombra. È il ritratto di un uomo segnato da un pessimismo profondo ma anche in controtendenza rispetto al proprio tempo, il che spiega forse perché questo autore non sia ricordato quanto meriterebbe. Gli americani sono pronti a criticare anche aspramente il loro stile di vita, ma lo fanno sempre da una prospettiva ideale, senza perdere la fede nel Sogno, nella possibilità di un'affermazione individuale. Quando criticano, quando contestano, è proprio perché ci credono, nel Sogno americano. "Morire in California" ci mostra però un mondo finto e cinico, dove tutto si rivela una promessa mancata. Tutto fuorché la famiglia. Il nucleo domestico è il solo spazio incorrotto ed è soltanto per la famiglia che vale la pena di esistere, lavorare e realizzarsi. David Hook, il protagonista di questo romanzo, è appunto un uomo che si è lasciato alle spalle passioni e ideali. Crede però nell'amore che lo lega ai figli e al ricordo della moglie defunta e, quando la polizia bussa alla porta per comunicargli che il suo Chris si è ucciso gettandosi da una scogliera a Santa Barbara, quest'uomo tutto d'un pezzo può pensare soltanto che la verità è un'altra e che sarà lui a scoprirla.
In un giallo convenzionale, lo smascheramento finale dell'assassino equivale al «vissero felici e contenti» delle favole, alla ricomposizione di quell'armonia che il delitto ha interrotto. In apparenza, "Morire in California" si attiene con scrupolo al modello. Non manca nulla: abbiamo un'indagine ovviamente tortuosa, abbiamo gli immancabili sviamenti e colpi di scena e anche un assassino e tuttavia l'effetto finale non è quello delle favole. Quando gli chiesero in cosa fosse diverso questo romanzo dai precedenti, Thornburg disse che c'era andato più piano col sesso - che comunque non manca - e che si era posto altri obiettivi: «Non puntavo a fare un bel gruzzolo di denaro con una storia scioccante o un mistero da risolvere. Un mistero in effetti c'è, ma si tratta di qualcosa che potrebbe capitare a chiunque».
Perdere un figlio è certamente una disgrazia che potrebbe capitare a chiunque. Viene però da chiedersi quanto ci sia dell'uomo comune nel modo in cui David Hook si ostina nella ricerca della verità. Sotto questo aspetto, il padre di "Morire in California" conserva infatti i crismi della letteratura di genere, il suo personaggio sembra incarnare ancora l'americano ideale, l'uomo che si fa da sé e fa da sé, in particolare quando c'è da farsi giustizia. È nella dimensione filosofica che il romanzo trova la sua grandezza e originalità; nelle domande che vi aleggiano e che probabilmente ognuno di noi si porrebbe, domande che riguardano i delitti e i loro castighi.
Perché tanta fame di verità? Qual è il prezzo e quale l'utilità della conoscenza? Sapere come sono andati i fatti potrà restituirci chi abbiamo perduto? Fino a che punto reclamiamo la giustizia soltanto quale forma accettabile di vendetta? Sono queste domande ad aprire una crepa nel personaggio, a renderlo persona, nostro simile, e a fare del romanza un giallo il cui vero mistero è quel tormento dell'anima chiamato dolore.
- Tommaso Pincio - Pubblicato su TuttoLibri del 17/9/2022 -
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