venerdì 11 novembre 2022

La distrazione del presente, in un soffio ...

L'attacco dura tre minuti, ma a saltare in aria – in quel luogo, in quel momento – è l'Italia intera. Aldo Moro viene rapito, cinque uomini massacrati, riscritto il futuro del Paese. Ecco perché dilatare quei minuti significa guardare il mondo con una lente diversa: al centro di questa storia, in un abbagliante quadro mobile, ci sono il presidente, i suoi familiari, i testimoni, i brigatisti, gli uomini della scorta; e tutt'intorno una vertigine di figure la cui ombra tocca il nostro stesso presente. E così, mentre la trappola si ripete all'infinito, quello che emerge a poco a poco nella nebbia è il grande romanzo di via Fani. «All’inizio c’è uno stridio di gomme sull’asfalto, un urto nell’aria, il suono di un clacson, e subito dopo quello che sembra il concerto di un martello pneumatico. Lo studente alza gli occhi dal giornale e si volta nella direzione da cui proviene quel frastuono. Ciò che accade alle 9.02 del 16 marzo 1978 continua ad accadere».
Il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e il massacro dei cinque agenti della scorta è l’evento che ha generato la più grave frattura emotiva, politica e sociale della storia repubblicana. L’attacco dura tre minuti. Tre minuti che, a più di quarant’anni di distanza, continuano a essere oggetto di ricerche, ricostruzioni e speculazioni. Ma questo, va detto, non è un saggio: qui siamo nel territorio della letteratura. E ogni scrittore, si sa, manipola il tempo, può condensare dieci anni in una frase o dilatare pochi secondi e farli durare quanto vuole, se in quei secondi si nasconde una verità su cui lo sguardo continua a posarsi. Il metodo in un certo senso è quello del realismo traumatico, lo stesso che usava Andy Warhol nelle sue immagini seriali: mettere in scena e replicare per sfiorare la verità. Non la verità storica, ma quella più sfuggente della percezione individuale e collettiva. Ecco allora alternarsi nella narrazione i testimoni oculari, i brigatisti, i politici, gli uomini della scorta, persino personaggi storici vissuti secoli prima. E l’azione, gli spari, la fuga, il congegno che scatta e che si replica all’infinito, perennemente identico a se stesso, ma che viene osservato ogni volta da una prospettiva diversa. A intersecare i fatti pubblici è il racconto privato delle ultime otto ore di vita di Aldo Moro prima del sequestro. Il dio disarmato è un romanzo senza aggettivi: storico, politico, filosofico, lirico, documentario; nessun termine riesce davvero a definirlo. È un libro che indaga nel profondo le scelte individuali e i disegni del destino, il territorio e lo spazio urbano, la sostanza del tempo, il mormorio segreto della vita di un uomo tra i più importanti della storia d’Italia, che quando tornava a casa si toglieva di dosso l’aggettivo «politico» per cercare di essere soltanto un uomo.

(dal risvolto di copertina di: Andrea Pomella, "Il dio disarmato". Einaudi, pp. 248, €19,50)

Bastarono tre minuti e via Fani fu la strage dell’Italia intera
- di Marcello Fois -

Quanto tempo ci vuole per generare una mitologia del reale? Per fare cioè quel passaggio dalla Storia al Mito che ci permette di pensare il cardinale Richelieu, o la Zar Nicola II, o Walter Benjamin, o Aldo Moro come personaggi letterari? A questa domanda di base risponde Andrea Pomella col suo bellissimo "Il dio disarmato". Un romanzo in cui questo importante autore ricostruisce, col divaricatore della letteratura, i tre minuti che precedono la strage di via Fani del 16 marzo 1978, in cui uccisa l'intera scorta dell'Onorevole Aldo Moro. Il resto lo sappiamo, o dovremmo saperlo: il politico fu rapito e imprigionato. Il suo cadavere fu restituito in via Caetani il 9 maggio 1978, nel bagagliaio di una R4. Come la strage di Capaci, la vicenda Moro rappresenta uno di quegli snodi che determinano dal profondo la Storia di un Paese. L'espressione di forza bruta che diventa vicaria di qualsiasi possibilità di dibattito e impoverisce un po' tutti, deprime la qualità delle opinioni e interrompe quella capacità di soppesare e fare distinzioni che caratterizzino una società etimologicamente civile. Oggi questo termine, Società Civile, non è nient'altro che un'espressione dall'aria drammaticamente nostalgica. Come se l'avessimo persa da qualche parte e non riuscissimo più a trovarla. Ma stiamo parlando di Storia o di Mito? Stiamo parlando cioè di un tempo reale o presunto?

La Storia in atto ha la caratteristica principale di non apparire né buona né cattiva. Come sempre, nella società, spetta a pochi stabilire la caratura dei tempi che stiamo vivendo. Più di qualcuno abitava la propria arcadia, la propria infanzia di campi e stelle alpine a pochi passai dai campi di concentramento. Moltissimi nemmeno capirono che da un momento all'altro l'intero quartiere, dove esercitavano la loro vita quotidiana, sarebbe stato rastrellato. Nessuno di coloro che si recò al lavoro nelle torri gemelle del World Trade Center quella mattina dell'11 settembre 2001 poteva immaginare che sarebbe stato un giorno fatale. Perciò la realtà nel suo svolgersi è prosaica.: non sapevo, non vedevo, non potevo immaginare. Le ipotesi arrivano con la letteratura e quindi col mito. Quando cioè alle affermazioni in tempo reale si possono affiancare quelle concesse dalla distanza e dal distacco: non volevo sapere, mi sono voltato dall'altra parte, potevo immaginare. Per questo motivo Andrea Pomella, che all'epoca dei fatti che racconta nel suo romanzo aveva cinque anni, è un narratore non solo attendibile, ma del tutto credibile.

"Il dio disarmato" cavalca esattamente questo spazio che fa della storia mito e dunque, come Hellroy con Bob Kennedy come Tolstoj con Napoleone Bonaparte, come Yourcenar con l'imperatore Adriano. è autorizzato a narrare Aldo Moro dopo la trasformazione da persona reale a personaggio letterario. Un'autorizzazione non gratuita ben inteso, ma che deriva da due varianti principali di non poco conto: la documentazione e lo stile. Due attitudini che molta scrittura contemporanea ha messo da parte favorendo il generico e la sciatteria. Ma che Andrea Pomella, come nella migliore tradizione del prodotto Einaudi di prima scelta, sa trattare con la maestria di uno scrittore che è innanzitutto un lettore straordinario. C'è una logica alla Wilkie Collins de "La Pietra di Luna" in questo romanzo fatto da punti di vista. C'è persino una pennellata di Perec e dei suoi "Specie di Spazi", o "Tentativo di esaurire un luogo parigino", in un bellissimo contemporaneo capitolo dedicato proprio a quella che si potrebbe definire la distrazione del presente. Quasi che davvero il contemporaneo fosse meno accreditato per raccontare il suo tempo. Ma il più accreditato a osservare, a distanza, il tempo altrui, facendo un conteggio pedante dell’oblio sistematico in corso, con la descrizione puntuale di tutti quei passanti che ignorano la lapide che in via Fani commemora il sacrificio degli uomini della scorta di Aldo Moro. E quel compagno diciannovenne, Luigi, che appare nel romanzo, esiste tra Fenoglio e Pavese, in questo perfetto delirio cronologico per cui, in un corridoio di trent'anni appena, si è passati dalla Resistenza al Terrorismo, dalla lotta di liberazione agli anni di piombo. Un soffio che i contemporanei: intellettuali, scrittori, politici, per lo più afasici, non hanno percepito perché obbligati a reagire, intrappolati nel qui e ora. Pasolini, su tutti, è stato un aruspice, un cronista del futuro, più che un commentatore del presente. Alla scrittura occorre tempo per trasformare quel tempo contingente in tempo della memoria, in materiale metaforico. La realtà dunque è una bestia strana, raccontata in purezza non ha alcun fascino. È, tutt'al più, comunicazione. Cronaca. Occorrono distanza e distacco perché quel materiale possa passare da comunicabile a narrabile. Ma quanta distanza? Quanto distacco? Un argomento questo che nelle stanze della letteratura ha generato diatribe importanti. E su cui Andrea Pomella, col suo straordinario "Il dio disarmato", ha davvero qualcosa di importante da dire. Jean Cocteau affermò in proposito «cos'è la Storia in fondo? Fatti reali che finiscono per diventare Mito, mentre i miti sono fatti inventati che finiscono per diventare Storia».

- Marcello Fois - Pubblicato su TuttoLibri del 17/9/2022 -

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