Tra autoreferenzialità e solidarietà?
- Il coronavirus nel vuoto del capitalismo -
di Herbert Böttcher / Leni Wissen
1 - Un'istantanea dei tempi del coronavirus
Nel corso della puntata, trasmessa all'inizio del mese di dicembre, del programma televisivo "Monitor", della WDR, sono stati collegati due fenomeni, i quali possono essere compresi quasi come una fotografia di quella che è la situazione sociale ai tempi del coronavirus: l'insistere sulla libertà e sulla democrazia da parte dei movimenti di destra, e l'intensificarsi della repressione nei confronti dei rifugiati. L'esempio di Bautzen, che apre i servizi, serve proprio a mostrare come la destra, nel suo essere associata ai fantasisti della cospirazione e ai negatori del coronavirus, abbia trovato una «nuova fiducia in sé stessa», e come si sia saldamente stabilita in una società urbana. Nelle immagini si è visto un negozio di giocattoli per bambini, nel centro della città, dove si vede un super-eroe, effigiato su un cartello sulla porta, che sottolinea come siano benvenute anche le persone senza maschera. Quale sia la lettura della destra, può essere visto esposto sulla vetrata del negozio. La scena è inquietante e l'occhio viene catturato da un tratto di 50 km. di strada nel quale la gente armata di bandiere del Reich e di bandiere tedesche esprime il proprio malcontento contro la «dittatura del coronavirus»; e ciò nonostante il massiccio aumento del numero di casi proprio in quella stessa regione.
Segue poi un servizio sul nuovo patto di asilo e migrazione della UE: dopo la chiusura della rotta mediterranea, ora le persone stanno prendendo quella che è la via più rischiosa, attraverso l'Atlantico. La destinazione sono le isole Canarie, e si teme che le persone possano essere messe in dei campi con condizioni simili a quelle di Moria, sull'isola di Lesbo. Il problema relativo alle deprecate lunghe permanenze nei campi di accoglienza, potrebbe essere «risolto» facilitando le deportazioni. Forse - dice il commento al servizio - la Spagna starebbe già attuando quello che l'Unione Europea sta ora progettando su larga scala: un nuovo patto di asilo e migrazione. Nel suo nucleo - si legge - c'è una «robusta gestione» di quelle che sono le frontiere esterne della UE, unitamente a procedure «eque» ed «efficienti». Si tratta soprattutto di accogliere i rifugiati nelle vicinanze delle frontiere. «Se necessario», potranno anche essere detenuti. La determinazione della «necessità» è a discrezione degli Stati membri. Quanto alla «gestione robusta», essa viene già praticata nella lotta contro le imbarcazioni di salvataggio che vengono utilizzate dalla organizzazioni umanitarie per salvare i rifugiati dai pericoli che corrono in mare. Vengono fermati per i motivi più assurdi; ad esempio, per il fatto che una nave abbia a bordo troppi giubbotti di salvataggio.
Questi due flash chiariscono quali sono gli opposti che si scontrano, e che simultaneamente si confondono nel conflitto che si gioca intorno al coronavirus: Libertà e stato di eccezione, autoreferenzialità e solidarietà, darwinismo sociale e umanitarismo. I «cittadini indignati», che interpretano la rivolta democratico contro lo stato di eccezione di una cosiddetta «dittatura del coronavirus», hanno ben poco da obiettare allo stato di eccezione che viene posto democraticamente in atto contro i rifugiati, se non arrivano addirittura a insistere perché venga attuato, e sono arrivati a dimostrare la loro volontà politica di promuoverlo incendiando i campi dei rifugiati; nel momento in cui l'attenzione non era ancora incentrata sul coronavirus, e la presunta minaccia era rappresentata dai rifugiati. Le proteste delle «persone per bene» che si battono per la libertà e la democrazia sono differenti, e tuttavia vicine alle proteste dei «cittadini arrabbiati». I «cittadini arrabbiati» e le «persone per bene» si ritrovano nella misura in cui entrambe le categorie perseguono delle «illusioni» ed evitano di metterle a confronto con la realtà. Strettamente collegata a tutto questo, è la tendenza comune all'«autoreferenzialità», nel senso di incapacità, da parte loro, di percepire il mondo al di fuori del proprio universo. In ultima analisi, per tutti loro la «solidarietà» finisce nel momento in cui si teme per i limiti stessi della libertà; reali o immaginari che siano. Si tratta della libertà intesa come auto-affermazione. Le «persone per bene» differiscono dai «cittadini arrabbiati», in quanto mantengono la loro decenza democratica e rispettano le regole del gioco. Però, una parte integrante di queste regole è costituita dallo stato di eccezione. Esso viene imposto per proteggere le libertà democratiche contro coloro che fuggono da situazioni dove la libertà di vivere e di essere liberi dalla repressione sono deprivate delle loro basi: soprattutto per proteggere la libertà delle «persone per bene», le quali insistono sul diritto «alla libera circolazione dei liberi cittadini», e questo non solo in relazione al traffico automobilistico, ma soprattutto riferito alle forme di circolazione della normalità capitalista, cose che non possono essere separate dalle distruzione delle basi della vita. Abbiamo poi gli «esseri umani» e i «solidali». Ed è stato proprio il Partito Liberal Democratico tedesco, che è tutto tranne che contro la selezione sociale darwiniana, che nelle sue richieste di allentamento delle misure ha scoperto - nella chiusura delle scuole e nella disumanità sociale delle restrizioni al contatto - lo svantaggio sociale dei bambini più poveri. Accanto a loro, in una miscela confusa ed aberrante, ci sono coloro i quali vogliono rimanere «brave persone» insieme a quelli che oppure sentono il bisogno di «lavarsene le mani». L'umanità e la solidarietà una volta fiorivano nelle cultura dell'accoglienza del 2015 e nella volontà di accogliere in maniera ospitale i rifugiati. Ma tutto questo è ben presto evaporato, quando è diventato chiaro che una simile accoglienza non era così tanto facile da «gestire», se si teneva conto dell'aggravamento delle condizioni di crisi. Lo slogan della cancelliera, «Possiamo farcela», si è così trasformato rapidamente anche in un'intensificazione della repressione contro i rifugiati. Contro tutto questo, oggi vediamo ben poche proteste. Con altrettanta rapidità, nel corso della crisi del coronavirus, l'umanità e la solidarietà inizialmente condivise sono scomparse da gran parte della popolazione quando è diventato chiaro che le restrizioni sarebbero andate avanti, trascinandosi, per molto tempo. Nel frattempo sono state rivendicare soprattutto da quegli stessi politici che per decenni avevano cantato il ritornello della «responsabilità personale» quando si trattava di dissolvere lo stato sociale e di riprogrammare i disoccupati come imprese individuali. Ora, le lamentele si fanno ancora più grandi quando si scopre che la formula del comando non può essere semplicemente cambiata, da «homo oeconomicus» a solidarietà, e si fa sempre più forte la pressione che richiede un ritorno alla normalità capitalistica e ai suoi meccanismi di selezione «naturale» il più velocemente possibile. «Dopo tutto non si può paralizzare tutta l'economia e fermare la vita pubblica solo perché gli anziani non vogliono morire» ha affermato il quotidiano tedesco Kölner Stadt Anzeiger il 21 novembre del 2020, scrivendo a proposito delle espressioni di odio pervenute via e-mail all'esperto sanitario del SPD, Karl Lauterbach. Quelli che sono superflui per la valorizzazione del capitale, devono morire. Alcuni possono annegare nel Mediterraneo, mentre altri - a seconda della loro situazione sociale - possono schiattare nelle unità di terapia intensiva o per la strada. Tutto ciò è tanto «naturale» quanto efficiente in termini di costi.
2 - Le circostanze, che poi non sono così...
Gli appelli ai valori e alla morale rimangono inascoltati. La solidarietà si scontra con i suoi limiti oggettivi. Ma anche richiamarsi ai diritti individuali di libertà - in quanto abitudine autoreferenziale - o perfino fare appello alla selezione sociale darwiniana, non sembrano offrire vie d'uscita. La crisi del coronavirus agisce come un acceleratore, rendendo chiaro tutto ciò che attiene al capitalismo e alla sua crisi. Appare certo che sullo sfondo della coscienza, continua a restare la crisi economica, visto che le attività statali di salvataggio sembrano non avere fine. La moltiplicazione simulata del capitale per mezzo dei meccanismi economici del debito e delle transazioni finanziarie, sembra essere nuovamente inesauribile, niente affatto ostacolata dal limite logico e storico della produzione di valore e di plusvalore, e tutto questo associato all'eliminazione della forza lavoro. Dappertutto nel mondo, le banche centrali proteggono e puntellano i sistemi finanziari. I governi, per poter appoggiare l'economia, prendono in prestito delle somme esorbitanti. In questo modo, i mercati finanziari e le borse prosperano sulla base di una moltiplicazione simulata del denaro, del «denaro senza valore» (Kurz, 2012).
Non ci vuole molta immaginazione per prevedere ciò che è probabile avvenga nel lungo periodo; sia che avvenga «insieme al» o «dopo il» coronavirus: il conto da pagare per aver anticipato la produzione futura verrà presentato, e verrà pagato sotto forma di collassi e di misure che - climatiche o meno - si concentreranno sulla crescita, e verranno associate a dei tagli sociali intensificati. Per allora, le forti lamentele liberali, a proposito della disumanità dovuta alla deprivazione sociale dei bambini e alle divisioni sociali, verranno messe a tacere. Sarà la crudeltà sociale a stabilire l'agenda, e verrà applicata in maniera repressiva. Lo stato di eccezione, sperimentato nell'ambito del coronavirus, può essere messo democraticamente in pratica contro i superflui, così come contro le possibili proteste, senza che la coscienza liberare assuma una qualche significativa posizione contro di esso.
Se l'intensificarsi della dimensione economica della crisi si trova ancora in secondo piano, la crisi del capitalismo si manifesta in maniera assai drastica nella crisi dei soggetti. Insieme ai limiti logici e storici della valorizzazione del capitale, e della riproduzione ad essa associata, i soggetti perdono anche quella che è la loro base. La loro libertà e la loro autonomia - filosoficamente parlando, l'auto-realizzazione della loro libertà - rimane legata alla base della valorizzazione del lavoro come capitale umano. Con il diminuire della sostanza del lavoro, non solo il capitale, ma anche il soggetto entra in una crisi della valorizzazione del suo capitale umano. La concorrenza attraverso la valorizzazione della propria forza lavoro, diventa ancora più feroce e produce perdenti, i quali vengono fatti scendere dall'ascensore per andare verso i piani più bassi. La previdenza sociale sta per venire smantellata, dal momento che non è più sostenibile finanziariamente, o anche perché è diventata controproducente per la valorizzazione del capitale. Ancora una volta, i soggetti devono tentare di trasformarsi in imprese individuali e imparare a imporsi fino allo sfinimento come tanti «io imprenditoriale» (cfr. Bröckling 2007, cfr. anche Ehrenberg 2004). E la cosa diventa tanto più disperante quanto più collassano le basi per poterlo fare. Tuttavia, le strategie di auto-ottimizzazione sono infinite. Non hanno fine perché non possono essere legate a un qualche obiettivo raggiungibile, come potrebbe essere un oggetto per il quale gli sforzi sarebbero «utili», e per mezzo dei quali verrebbero «ricompensati». Gli sforzi non portano da nessuna parte. Il fallimento continua a ricadere anche su chi si forza oltre quelli sono i limiti delle proprie forze. La colpa è loro. Fallire a causa delle circostanze, è qualcosa che non deve esistere, e quindi rimane invisibile. La ragione del fallimento non può dover essere altro che la propria incapacità, oppure l'insufficienza dello sforzo. In questo modo, il ciclo deve ricominciare; a meno che non venga interrotto per esaurimento.
Conforto e sollievo, vengono offerti sul mercato degli eventi e delle esperienze, delle terapie e dell'esoterismo. Gli eventi offrono un sollievo divertito che rompe la monotonia della ripetizione quotidiana dello stesso. Esperienze che sono apparentemente immediate immaginano di essere autentiche. Un Io che è diventato socialmente infondato e insostenibile, deve ora essere rafforzato in maniera terapeutica. Attraverso le illusioni della spiritualità esoterica, viene ricaricato un Io che esperisce il vuoto delle circostanze come se questo fosse invece il proprio vuoto. Nell'imperativo « Diventalo tu stesso! » convergono offerte terapeutiche e auto-referenziali che si intensificano con la crisi, e che allo stesso tempo falliscono a causa del vuoto privo di qualsiasi sostanza, dia delle condizioni che del proprio Io. Anche questi «servizi» non sono indipendenti dal processo di valorizzazione; anch'essi devono essere finanziati dallo Stato, dall'assicurazione sanitaria, o di tasca propria. Se qui il finanziamento finisce a a causa delle casse, pubbliche e private, vuote, anche solo comprare su questo mercato non è più neanche possibile. Rimane soltanto l'inselvaggimento dei tanti «esoterismi privati», che non costano nulla e che tuttavia - insieme alle fantasie cospirative - offrono agli individui un sollievo e un supporto illusorio.
3 - Tra autoreferenzialità e solidarietà
In seguito alle misure per il coronavirus, le persone ancora una volta hanno ripiegato su sé stesse. Alcuni potrebbero perfino trovare degli aspetti positivi nel primo lockdown, nella primavera del 2020. I più privilegiati lo hanno visto come se fosse stato un rallentamento e un'opportunità di ozio, mentre altri dovevano subire la minaccia della povertà o il suo peggioramento, ed erano costretti a vivere in degli spazi esigui e, pertanto, contagiosi. Tuttavia, quanto più si trascinava il lockdown, tante più erano le voci che si levavano a chiedere un allentamento, vale a dire, a insistere per un ritorno graduale alla normalità capitalistica. In questa fase, si è indebolito il senso di unità esistente inizialmente, il quale era alimentato da ciò che la cancelliera aveva promesso durante la cosiddetta crisi dei rifugiati: «Possiamo farcela». Ma quando cominciò a diventare più chiaro che la crisi del coronavirus non poteva essere «gestita» per mezzo di un unico lockdown temporaneo, il «sentimento del noi» si è sempre più trovato contraddetto dal fatto che nel tempo del coronavirus le persone erano sempre più ripiegate su sé stesse e - come avevano imparato nel capitalismo neoliberista - dovevano per prima cosa prendersi cura di loro stesse. Sullo sfondo, e non da ultimo, il fatto che i luoghi dove l'unione avrebbe potuto essere vissuta stanno ora cadendo a pezzi (Grünewald 2021). La famiglia è diventata fragile, come si può vedere nelle paure dei bambini riguardo la sua disintegrazione. Tale fragilità diventa sempre più difficile da sostenere, insieme allo sforzo provocato dal coronavirus. Pertanto, abbiamo molti indizi secondo cui, con la pandemia, ancora una volta è aumentata la violenza nelle famiglie. In ogni caso, sono sempre le donne ad avere il fardello più pesante da portare. Sono responsabili dell'ufficio domestico e dei figli, ed essere simultaneamente disponibili al lavoro in maniera permanente. Nel mondo del lavoro, la pratica di lavorare insieme a dei colleghi viene sempre più sostituita dall'esperienza di essere un dipende subappaltato o licenziato. L'imperativo è: si salvi chi può. Vivere sempre più il ripiegamento su sé stesso, e quindi vivere in solitudine, «prima del coronavirus» avrebbe potuto essere compensato e represso soprattutto per mezzo dell'illusione di trovarsi digitalmente in rete insieme a tutti gli altri, oppure di poter fare un uso allargato delle libertà che venivano offerte nella normalità capitalistica, le quali venivano vissute come se si trattasse della libertà stessa, attraverso l'accesso all'esperienza, all'evento, al divertimento e - per coloro i quali avevano delle esigenze più sofisticate - grazie alle offerte di spiritualità. Prolungandosi la crisi del coronavirus, i sollievi comunicativi ora si trovano ad essere tanto limitati quanto lo sono quelli offerti dalle industrie dello spettacolo e della cultura. Allo stesso tempo, continuano a crescere le richieste legate alla mancanza di aiuto ai bambini, nella misura in cui aumentano i carichi di lavoro e si intensifica l'isolamento sociale.
Se durante il primo lockdown - sotto la pressione delle devastanti immagini delle persone ammalate e moribonde che arrivavano dall’Italia - le restrizioni venivano ancora accettate e percepite in relazione alle catastrofi associate al propagarsi del virus, ora questo collegamento tra le due cose si ritrae in secondo piano, via via che la pandemia progredisce. Le migliaia di morti che all'inizio della pandemia hanno causato orrore, scompaiono dalle statistiche. Le loro storie di sofferenza non vengono quasi più raccontate. Averci a che fare, sembra insopportabile, considerata l'insopportabilità del proprio dolore e quello della situazione, e il desiderio di «normalità» diventa corrispondentemente grande, ma lo è anche la rabbia a causa delle privazioni personali che si devono sopportare. Naturalmente, tutto ciò non dev'essere espresso apertamente verso il mondo esterno, se non si vuole essere accusati di mancanza di «solidarietà». Da qui, la preoccupazione per i bambini e i giovani, grazie alla quale ci si può distrarre dalla propria «sensibilità» ed esprimere in questo modo il proprio interesse personale per un po' di relax.
Ora, non si può negare che le situazioni attinenti al coronavirus finiscano per esacerbare non solo lo stress sociale, ma anche quello psicologico; soprattutto negli ospedali e nelle case di cura. Tuttavia, si constata che sorgono delle richieste rispetto alla situazione stessa, senza che abbiano alcuna relazione con quello che sta accadendo nelle unità di terapia intensiva degli ospedali. Sembra che ci sia un tacito accordo, secondo il quale va accettato un numero indefinito di malati e di morti, al fine di poter tornare alla normalità capitalista. «La facilità con cui a volte viene richiesta l'aspettativa di vita degli anziani in cambio del diritto di poter andare in ferie dà parecchio da pensare» (Liessmann 2020). Dopo tutto, il fatto che la vita non fosse il valore più alto era qualcosa che il presidente del Bundestag, Schäuble, affiancato da teologi e da «consiglieri etici», sapeva da tempo; abbastanza per poter contribuire al dibatto sulla «distensione» delle misure, che avrebbe aperto la strada per tornare alla normalità capitalista.
L'«autoreferenzialità», cui gli individui vengono sempre più sollecitati, o meglio, che viene praticamente richiesta al fine di potersi affermare in questo mondo, sotto forma di impresa individuale in costruzione, oramai corrisponde al modo di agire imprenditoriale. Sotto la pressione della concorrenza, bisogna che anche loro debbano affermarsi. Nella crisi, anche il loro margine di manovra si restringe, e aumenta la paura di essere espulsi dalla gara. Ragion per cui, non sorprende affatto che nella crisi esacerbata dal coronavirus difendano la libertà di produrre; naturalmente, senza riferirsi alla situazione di chi è in pericolo.
Le catene di vendita all'ingrosso e al dettaglio, vogliono che l'esperienza dello shopping, ivi inclusa anche al sua produzione di senso, continui a essere possibile; soprattutto prima di Natale. Potrebbe non essere più possibile tracciare le catene di contagio, ma i dirigenti del calcio sanno che attività della Lega calcio sono talmente sicure , in termini igienici, che potrebbero continuare a svolgersi anche con gli spettatori. E i fuochi di artificio di Capodanno costituiscono indiscutibilmente una libertà, se non un diritto umano. E che ne sarà dell'industria dei fuochi di artificio se non ci dovessero essere più fuochi di artificio? Sarebbe altrettanto deplorevole che l'industria delle armi non dovesse più vendere armi e non ci fossero più guerre. Nell'area degli spettacoli e della cultura, finalizzata all'avventura e al divertimento, si scopre che la cultura è «più», e «superiore» al divertimento, avendo, per così dire, un plusvalore che dà un senso...
Ora, sarebbe uno sbaglio qualificare, in maniera moralizzante, come egoismo tali autoreferenzialità e predicare che bisogna convertirsi alla solidarietà. Ciò sarebbe altrettanto illusorio e fuorviante della morale puramente formale di Kant e del suo imperativo categorico senza contenuto: illusorio, perché si tratta di problemi sociali che non possono essere risolti per mezzo della morale individuale; fuorviante, perché le «soluzioni morali» spostano il problema dal piano sociale a quello individuale, privando la riflessione del suo carattere sociale.
4 - La politica del governo come espressione di solidarietà?
Sarebbe anche molto sbagliato interpretare male la critica dell'autoreferenzialità, come se si trattasse di una semplice apologia della politica governativa; oppure bollarla con l'etichetta della solidarietà. Ci sono motivi sufficienti per criticare, ad esempio, la mancanza di attrezzature di protezione negli ospedali e nelle case di cura, negli ambulatori e nelle scuole, la mancanza di progetti per l'insegnamento a domicilio e, non meno importante, per la protezione e la cura dei senzatetto. Così come le persone che devono vivere in condizioni di abitazioni anguste, o i lavoratori indipendenti isolati, come gli artisti, che soffrono in maniera particolare a causa delle restrizioni statali, e che difficilmente vengono coperti dalle misure di compensazione dello Stato.
Malgrado tutte le contraddizioni, però la restrizione dei contatti contribuisce significativamente a interrompere la propagazione del virus e per proteggere gli anziani e i malati, così come altri gruppi a rischio, vale a dire, i «superflui» della normalità capitalista. Un effetto questo, che non deve essere sottovalutato. I funzionari governativi usano continuamente la solidarietà ai fini della legittimazione ed esortano i cittadini affinché dimostrino solidarietà «personalmente responsabile»; questo in contrasto con quello che è stato finora il «credo» neoliberista secondo il quale la percezione del proprio interesse personale sarebbe stata finora la migliore misura sociale. Tuttavia, tutto ciò non ha niente a che vedere con la solidarietà vista nel senso del pensare e agire in relazione con tutte le persone, e secondo una considerazione speciale per i più deboli. Le misure statali per il coronavirus puntano a far sì che esista lo Stato capitalista: assicurare il funzionamento delle relazioni capitalistiche. Il funzionamento del sistema sanitario, così come quello della maggior parte dell'economia, va mantenuto in modo che il lavoro e il consumo possano e debbano continuare, mentre le restrizioni relative alle aeree private, come avviene per la gastronomia, per gli eventi commerciali e per la cultura, servono a rallentare il virus e a proteggere dal sovraccarico il sistema sanitario. Nel caso del lockdown imposto tra il 2020 e il 2021, è stato di fatto percepibile che le restrizioni di contatto si sono riferite principalmente al settore privato e alle industrie dei corrispondenti servizi. Il mondo della produzione, invece, ne è rimasto largamente escluso. È stato solo nelle prime settimane del 2021 che il mondo del lavoro è entrato in gioco, con appelli e richieste di telelavoro obbligato. Nonostante tutti i discorsi fatti sull'istruzione, e perfino di un un'apertura o riapertura il più presto possibile degli asili e delle scuole, la questione non riguarda tanto l'istruzione o «i bambini», quanto piuttosto tenerli al sicuro per liberare i genitori in modo che lavorino.
Pertanto, non si tratta di attaccare le misure del governo attraverso esigenze di libertà individuali, né di interpretarle erroneamente come se si trattassero di misure di «solidarietà».Esse, innanzitutto, hanno lo scopo di far sì che il capitalismo continui a funzionare così così. Statalisti e libertari discutono su come questo dev'essere fatto (Hauer, Hamann 2021). «Bene comune o egoismo, libertà o paternalismo, comunità o individuo» (ivi) vengono postulati e presentati come il bene e il male, mentre il ruolo dello Stato nel contesto della «totalità sociale» viene deliberatamente e illusoriamente ignorato. Nella crisi del coronavirus, non si riesce nemmeno più a vedere il fatto che lo Stato si trova sempre più a dover affrontare il dilemma per cui deve scegliere se proteggere i propri cittadini, mentre allo stesso tempo deve mantenere la maggior normalità capitalistica possibile. Nel contesto della crisi del coronavirus, gli attori politici ricorrono anche ad un mezzo che aveva già dimostrato quale fosse il suo valore nell'amministrare la normale crisi capitalista: l'opinione degli esperti. Quest'ultima sembra porsi al di sopra delle parti. e offrire così una via di uscita non ideologica, oggettiva e senza alternative, per così dire, «post-politica». Al giorno d'oggi, sorprende grandemente il fatto che tra i politici e i cittadini possano esistere opinioni differenti sulla scienza. La conseguenza è la legittimazione attraverso la «scienza», e allo stesso tempo la sua simultanea delegittimazione. In quest'ultimo caso, riferire in maniera formale che esistono opinioni divergenti sembra sia sufficiente. Rimane così aperta la strada per la moralizzazione, per articolare la volontà politica sotto forma di «cittadini arrabbiati» - tutto ciò sotto forma di una falsa immediatezza, la cui «autoreferenzialità» ormai non può più sviluppare alcuna comprensione rispetto al fatto che un rigido «lockdown» potrebbe essere più sensato, nell'interesse del pubblico capitalista e del suo libero funzionamento normale, di quanto lo sia l'insistenza sui diritti di libertà accompagnata dalla compulsione a minimizzare e/o a negare i pericoli per la salute.
Attaccare per mezzo della falsa immediatezza le misure di contenimento del virus, o parlare di regime del coronavirus o di dittatura del coronavirus significo non riconoscere i pericoli del virus, né il ruolo della libertà, della democrazia e dei diritti umani nel capitalismo. Anche prima del coronavirus, con l'avanzare della crisi, nei centri occidentali le misure si facevano più repressive e i controlli più estesi. In questi paesi, misure come la legge Hartz in particolare erano volte a disciplinare e a controllare i «superflui», insieme alla sempre più crescente precarizzazione del lavoro (cfr. Rentschler 2004). In Germania, il catalogo delle misure presentate era talmente «duro» che nel 2019 perfino il Tribunale Costituzionale Federale aveva dichiarato parzialmente incostituzionali le sanzioni. La legge nel suo insieme tendeva a costringere le persone a lavorare, cosa alla quale nessuno è autorizzato a sottrarsi. A tal fine, tutti quanti vengono chiamati a tenersi costantemente pronti a lavorare e a ottimizzarsi come «imprenditori». Quanto più collassa la normalità capitalista, tanto più gli Stati cercheranno, a tutti i livelli e finché possono, di fermare la disintegrazione per mezzo di misure autoritarie e repressive. In una simile prospettiva, sarebbe ingenuo credere che le misure messe in campo sotto il coronavirus non sarebbero state utilizzate anche al di là del coronavirus, nella fase successiva del decorrere della crisi. Wilhelm Heitmeyer, tra gli altri, sottolinea che lo Stato in quanto «grande detentore di potere... dopo che la pandemia si sarà (temporaneamente) attenuata, potrebbe essere tentato di perpetuare le misure di controllo introdotte», e questo soprattutto perché «le istituzioni politiche e di controllo... sono concepite al fine di mantenere le competenze, una volta che esse sono state acquisite» (Heitmeyer 2020, 296). Per questo motivo, tuttavia, diventa problematico rifiutare del tutto le misure attuali, dal momento che, al di là dell'obiettivo di far funzionare tutta la baracca, esse (stavolta) stanno anche realmente proteggendo la vita delle persone. È ovvio che questo non significa che non ci sia motivo di critica (vedi sopra).
5 - «Autoreferenziale» e «solidale» simultaneamente?
Nella crisi del coronavirus, «solidarietà» non è solo uno slogan della politica governativa, ma in parte incontra anche il consenso della popolazione. Cosa non meno importante nei movimenti sociali in difesa delle vittime: delle vittime della pandemia, così come delle vittime della normalità della crisi capitalista, a partire dai rifugiati e arrivando fino alle vittime della violenza sessista, razzista, antiziganista e antisemita. Ma ancora una volta, quello che sono i limiti stabiliti dalla normalità capitalistica non vengono messe in discussione. Bisogna che giustizia venga fatta all'interno del sistema. Coloro che vengono esclusi, in quanto superflui, devono poter trovare un riconoscimento e partecipare nel contesto delle condizioni. In ultima analisi, è una solidarietà dei «decenti», delle «persone perbene». Essi vogliono rimanere decenti nel quadro di un sistema mortifero, vogliono appartenervi e, tuttavia, agire in maniera solidale. Qui, l'«autoreferenzialità» e la «solidarietà» non si escludono affatto a vicenda. Essere riconosciute come persone decenti, in conformità col sistema, è garantito, e in aggiunta viene ricompensato dai buoni sentimenti. In tal modo, attraverso dei piccoli atti di solidarietà, gli individui possono presumibilmente liberarsi dalle proprie «colpe», far credere di fare parte dei «buoni». Ma, dato il contesto globale, «liberarsi» individualmente dalla colpa è semplicemente impossibile. Ciascuno, nelle sue azioni e nei propri pensieri, è obbligato a realizzare e a riprodurre quotidianamente le categorie astratte della società della dissociazione e del valore, se non vuole catapultare sé stesso «fuori», vale a dire, nella povertà o nel «nulla». Nessuno individuo che vive sotto il capitalismo riesce a passare attraverso tutto questo «senza colpa». Tuttavia, ci si aspetta sempre che gli individui agiscano moralmente ed eticamente secondo dei valori morali «superiori», soprattutto quelli della democrazia e dei diritti umani. Robert Kurz, ha perciò descritto queste esigenze contraddittorie: « Le persone (devono) essere allo stesso tempo egoiste e altruiste, contemporaneamente assertive e cooperative; competitive e solidali [...] simultaneamente devono essere [...] povere e ricche, [...] parsimoniose e sperperatrici, [...] grasse e magre, ascetiche ed edonistiche » (Kurz 1993; citato in: Scholz 2019, 50).
Questa pazzia imposta ai soggetti diventa analiticamente comprensibile non appena essa viene vista in relazione all'autoreferenzialità del capitale. Questa autoreferenzialità del capitale, non può porsi altrimenti se non come riferita a sé stessa. Le merci che essa produce non contano per il loro contenuto materiale, ma come oggettivazione quantitativa del valore e e del plusvalore. Il capitale serve unicamente il fine in sé irrazionale della moltiplicazione di sé stesso. Ciò può essere occultato nelle fasi ascendenti ed elevate del capitalismo, grazie alla prosperità sociale, al «benessere» parziale e alle mitologie di un costante progresso «nella conoscenza e nella consapevolezza della libertà» (Hegel). Nella crisi, l'irrazionalità mortale dell'autoreferenzialità capitalista, della normalità capitalista, diviene «evidente»: il capitale « deve esteriorizzarsi in tutte le cose di questo mondo, senza eccezioni, per potersi presentare come reale: dallo spazzolino dei denti fino alla più sottile emozione, dal più semplice oggetto di uso comune alla riflessione filosofica o alla trasformazione di paesaggi e di interi continenti » Kurz 2003, 69 ss.). Per tornare sé stesso, e al suo fine irrazionale di moltiplicarsi per amore di sé stesso, e poter nuovamente ricominciare, deve quindi esteriorizzarsi.
6 - Forma e soggetto
Il legame esistente tra l'irrazionale auto-valorizzazione del capitale - che diventa senza sostanza, e pertanto vuoto, nella misura in cui la crisi progredisce - e il soggetto, è stato descritto da Robert Kurz come l'«autoreferenzialità della vuota forma metafisica "valore" e "soggetto"» (ivi, 69): « La forma "valore" e, di conseguenza, la forma "soggetto" (denaro e Stato) a causa della sua essenza metafisica è in sé autosufficiente e, tuttavia, deve "esteriorizzarsi" nel mondo reale; ma lo fa solamente per poi tornare invariabilmente a sé stessa. Questa espressione metafisica del movimento apparentemente banale (e, sotto l'aspetto sensibile e sociale, di fatto orribilmente banale) della valorizzazione costituisce il vero tema di tutta la filosofia illuminista... A questa autosufficienza - nonostante il necessario movimento di esteriorizzazione, e, in ultima analisi, di autoreferenzialità di quella che è la vuota forma metafisica chiamata "valore" e "soggetto" - si trova ancorato un potenziale di distruzione del mondo, poiché la contraddizione tra il vuoto metafisico e "l'obbligatorietà della rappresentazione" del valore nel mondo sensibile può essere risolta soltanto nel nulla e, pertanto, nell'annichilimento. Il vuoto del contenuto del valore, del denaro e dello Stato, per poter rappresentarsi come reale, deve esteriorizzarsi in tutte le cose di questo mondo, senza eccezione alcuna » (ivi, 69s..).
Il collasso dei dispositivi delle categorie reali della socializzazione capitalista, viene sempre meno compensato, a causa del fatto che a volte è il mercato che si impone sullo Stato, come all'inizio della fase neoliberista del capitalismo, ed altre e nuovamente lo Stato ad imporsi, come è avvenuto dopo la crisi finanziaria del 2008/09, oppure come avviene con le misure repressive contro i rifugiati e le persone «superflue» nelle società dei centri capitalisti, attraverso gli interventi militari, ecc. L'alternanza tra polarità politica ed economica, tra Mercato e Stato, tra pianificazione e concorrenza, tra soggetto e oggetto, per mezzo dei pacchetti di misure, è sempre più rapida e trasversale. Lo stesso vale per quelle che sono le questioni relative alla libertà e alla repressione, all'auto-affermazione e alla solidarietà, all'Ego e alla percezione del Noi. Le contraddizioni appaiono intricate, ingarbugliate e trasversali a gruppi e soggetti, e difficilmente possono essere risolte. Le persone devono essere tutto simultaneamente.
In tal modo, però, i soggetti diventano instabili, minacciano di cadere nel vuoto e non trovano un sostegno in sé stessi perché in loro si riproduce anche quello che è il vuoto sociale, e può essere placato o anestetizzato soltanto sotto forma di accuse deliranti ed esagerazioni del loro Io. Alla fine, l'intollerabilità del vuoto di contenuti «esige un'identità che abbia un contenuto, e che sia piena di senso e di significato» (Kurz, 2018, 161). Nonostante il loro vuoto, le persone non possono semplicemente lasciarsi alle spalle la forma soggetto, collegata al ruolo del denaro nel quale si sono identificate e hanno agito «come se» la forma soggetto «non» esistesse; analogamente a quell'agire «come se non» che il filosofo Giorgio Agamben raccomanda di seguire nella sua interpretazione di San Paolo, visto come un modo di vita messianico: comprare come se non si possedesse, usare il mondo come se non lo si usasse (cfr. 1 Cor 7,29ss) (cfr. Böttcher 2019, 143ss). « Dal momento che quella stessa identità zero, in quanto soggetto del denaro non può essere messa in discussione, ... può trattarsi solo di una pseudo identità sintetica, di per sé, e a priori, falsa, che viene aiutata meticolosamente a guarire, per poi evaporare nuovamente nell'inquieto nirvana del denaro, della vera identità zero » (Kurz 2018, 161). Né con lo pseudo messianesimo né con la pseudo identità è possibile sfuggire al collasso delle forme socializzazione della dissociazione-valore. Al contrario, la crisi e le esperienze ad essa associate devono essere elaborate nella, e con la, forma del soggetto associata a tale socializzazione. Ciò suggerisce la ricerca di forme di elaborazione identitarie, che possono trovare espressione nel razzismo e nel sessismo, nell'antisemitismo e nell'antiziganismo, così come negli auto-posizionamenti autoritari o nei fronti trasversali, che nelle loro confuse costellazioni possono anche essere prese per il pensiero e per il sentimento stesso, fino ad arrivare a includere, nel vai e vieni delle identità che si alternano, quelle che promettono - anche solo per un momento - un appoggio e un terreno sicuro sotto i piedi.
7 - Una matrice psicosociale del soggetto borghese
Bisogna che la dinamica attraverso cui l'eliminazione di tutto ciò che è «contenuto», a favore di un «vuoto metafisico», venga mediato dalla forma della dissociazione valore, e si manifesti anche negli stessi soggetti. Sebbene le modalità psicosociali di elaborazione non possono semplicemente venire derivate dalla forma della dissociazione valore, esse non sono neanche semplicemente selezionabili «liberamente». Il soggetto borghese e la sua matrice psicosociale sono qui decisamente basati sulla dissociazione del femminile, sulla fantasia del dominio della natura e sull'immaginazione dell'auto-posizionamento. Sono anche associati in maniera significativa all'interiorizzazione dell'Ethos del lavoro. Cosa cui corrisponde una dinamica pulsionale in cui, a fronte del differimento della pulsione, la libido prende quota, nella gioiosa aspettativa di una «ricompensa in caso di rifiuto». Simultaneamente, questo «trucco» della libido per affrontare il rifiuto della pulsione, definisce anche il percorso del processo della sublimazione pulsionale (Wissen 2017, 39). Freud presuppone che il soggetto borghese sia mosso da due tipi di pulsione: Eros e Thanatos. Nella loro mediazione, essi giocano un ruolo decisivo nel formarsi della temporalità e della processualità psichica. Le pulsioni vitali si manifestano principalmente sotto forma di narcisismo e di libido oggettuale, e mirano alla produzione di entità maggiori (riproduzione) [*1], mentre le pulsioni di morte mirano alla «ripetizione di un'esperienza primaria di soddisfazione» (Freud GW XIII, 44) [*2]: qualcosa che, tuttavia, non può essere raggiunta in termini reali, dal momento che significherebbe la morte stessa. Scrive Freud: «Un gruppo di impulsi si muove correndo in avanti, per poter raggiungere il prima possibile l'obiettivo finale, mentre l'altro gruppo corre all'indietro per rifare il cammino a partire da un determinato punto, prolungando in tal modo la durata del cammino» (ivi, 43). A tal riguardo, la pulsione di morte non dovrebbe venire equiparata troppo direttamente ai desideri di morte. Il suo obiettivo, è innanzitutto quello di restaurare uno stato perduto di «unità oceanica con il mondo». Tuttavia, questo stato non può essere ottenuto nella realtà e, pertanto, si viene a trovare «al di là del principio di piacere».
Al di là della costituzione del soggetto, bisogna tener conto delle direzioni reali prese dalla crisi e, a partire da quelle, va posta la questione di come si realizzano le possibilità, che stanno scomparendo, di una «sublimazione ben riuscita», nel senso di un inquadramento ben riuscito del soggetto in quanto soggetto recuperabile, che si sente anche «riconosciuto» e «importante» (narcisismo) in quel che fa. Nel decorso dei processi di crisi capitalista, con la scomparsa del lavoro in quanto base sostanziale per la produzione di valore e plusvalore, i soggetti continuano a perdere il loro sostegno, dal momento che le forme di produzione e di riproduzione sociale (lavoro, famiglia, Stato), collassano in quanto supporti. I fenomeni di crisi sono accompagnati da processi di individualizzazione e di flessibilizzazione che in realtà stigmatizzano il fallimento nei confronti della realtà visto come fallimento individuale. Ciò si riflette soprattutto nelle depressioni, nelle quali le persone sono occupate soprattutto ad accusarsi e a giudicarsi in maniera definitiva. Mettendosi da soli sotto accusa, diventano essi stessi i propri accusatori e simultaneamente i giudici di sé stessi.
La contiguità al narcisismo e alla depressione non va trascurata; entrambi hanno difficoltà a relazionarsi col mondo degli oggetti, ci girano intorno, non riescono a trovare la strada che porta agli oggetti. Farsi grande, quando «uno» si sente veramente piccolo, diventa, oltre alla depressione, l'altra variante per riuscire ad affrontare l''insopportabile minaccia (narcisistica) permanente di non «farcela». E' a partire da questo, che quelle che sono state le esperienze di impotenza, di dipendenza e di offesa vengono timorosamente negate e represse, e si arriva a immaginare la propria genialità in quanto mania narcisistica di grandezza. Similmente alle succitate analisi di Robert Kurz, relativamente al livello psicosociale, si può dire che l'ultima ancora del soggetto borghese è il suo «narcisismo», nel quale il soggetto si ritira in sé stesso. Ma: «Una volta che il soggetto borghese illuminato si è spogliato delle proprie vesti, ecco che diventa evidente come sotto queste vesti non si nasconda proprio NIENTE: poiché il nucleo di questo soggetto è un vuoto; si tratta di una forma «in sé», senza alcun contenuto» (Kurz 2003, 68). Ed ecco che ci troviamo di nuovo ad avere a che fare con la depressione, nella quale non è il mondo, bensì l'Io ad essere diventato vuoto (cfr. Freud GW X, 431)...
Riguardo la questione delle pulsioni di morte e di vita, si può concludere che le pulsioni di vita stanno diventando sempre più difficili da vivere, e che si deve presumere che le forze in grado di opporsi alla pulsioni di morte si stanno indebolendo. Sembra che l'Amok sia diventato una «buona soluzione»: nel suicidio allargato, nel quale in ultima analisi si immagina l'annichilimento del mondo, si realizza simultaneamente l'atto dell'auto-posizionamento maschile. In questo, le pulsioni di vita e di morte trovano un precario «compromesso». Le vesti di cui parla Kurz, potrebbero essere lette anche come l'«apparenza civilizzata» del soggetto borghese.
Freud - sullo sfondo della prima guerra mondiale - era preoccupato riguardo la questione di come si sia «civilizzato» l'uomo moderno. Nel testo "Considerazioni sulla guerra e la morte" descrive come la disillusione causata dalla «scarsa moralità degli Stati» e dalla grande «brutalità» (Freud GW X, 332) tra le persone di fronte alla prima guerra mondiale si era basata su un'illusione. Pertanto, «all'interno delle nazioni della comunità culturale... vennero stabiliti per l'individuo degli elevati standard morali, secondo i quali, se voleva partecipare alla comunità culturale, egli doveva orientare la propria condotta di vita. Queste norme, assai spesso troppo rigide, esigevano molto da lui; un grande autocontrollo, e una profonda rinuncia alla soddisfazione delle pulsioni» (ivi, 326). Tale rinuncia, tuttavia, rimaneva anche legata ad un certo «piacere», nella misura in cui il cittadino culturale del mondo poteva - se le «difficoltà della vita» non glielo impedissero - «riunire in una nuova grande patria, tutti vantaggi e gli incanti dei paesi culturali» (ivi, 327). Ma subito dopo arrivò la «disillusione»: « La guerra a cui non volevamo credere è scoppiata, e ci ha portato... la delusione. Non soltanto è più sanguinosa e rovinosa di ogni guerra del passato ... ma è anche perlomeno tanto crudele, accanita e spietata quanto tutte le guerre che l’hanno preceduta. Essa infrange tutte le barriere riconosciute in tempo di pace e costituenti quello che è stato chiamato il diritto delle genti, disconosce le prerogative del ferito e del medico, non fa distinzione fra popolazione combattente e popolazione pacifica, viola il diritto di proprietà. Abbatte quanto trova sulla sua strada con una rabbia cieca, come se dopo di essa non dovessero più esservi avvenire e pace fra gli uomini » (ivi, 328ss.)
Secondo Freud, il fatto che la disillusione di fronte alla prima guerra mondiale si basi su un'illusione, deriva dal presumere che le «cattive inclinazioni» possano essere sradicate grazie all'educazione e all'ambiente culturale. Ma non è così: gli impulsi sono elementari per natura, e non possono essere divisi in bene e male in nessuna maniera; al contrario, li classifichiamo secondo le loro relazioni con le necessità e le esigenze della comunità umana (ivi, 332). Secondo Freud, tutti quelli che vengono disapprovati in quanto «malvagi», sono impulsi pulsionali «primitivi» che seguono un percorso di sviluppo: «Vengono inibiti, diretti su altri obiettivi e aree, si fondono tra di loro, cambiano oggetto, si ritorcono in parte contro la persona stessa» (ivi, 320). Nel loro insieme, complessivamente, gli «impulsi egoistici» si «trasformano in impulsi sociali» per mezzo di una «miscela di componenti erotiche» (ivi, 321), nella misura in cui il fattore esterno dell'educazione, sul quale naturalmente influiscono le norme sociali, è decisivo per questo processo. Attraverso tale miscela, la coercizione esterna viene incessantemente trasformata in coercizione interna, e per tale motivo Freud sottolinea come l'individuo sia anche soggetto all'influenza della storia culturale dei suoi antenati. Dopo tutto, alla fine, la comunità culturale, «che esige la buona azione e non si preoccupa di quale sia la giustificazione pulsionale di essa (,) ha conquistato un gran numero di persone che nel compiere la buona azione, non seguono la loro natura» (ivi, 335.). La «continua repressione della pulsione» si manifesta «nei più strano fenomeni di reazione e compensazione» (ivi). Freud scrive: «Colui che è in tal modo costretto a reagire costantemente in modo conforme a precetti non corrispondenti alle sue inclinazioni pulsionali, conduce una vita che, sotto il profilo psicologico, è al di sopra dei suoi mezzi; ebbene – sia o no consapevole della duplicità della sua condotta – costui va considerato obiettivamente un ipocrita. È innegabile che la nostra civiltà moderna favorisce straordinariamente il prodursi di questa specie di ipocrisia » (ivi,336).
Le interpretazioni di Freud gettano una luce chiarificatrice sulla problematica associata al «vuoto metafisico», all'auto-posizionamento e al narcisismo. Aveva ancora in mente un tempo in cui era ancora concepibile lo sviluppo immanente, e pertanto più o meno «riuscito per il soggetto». Oggi è del tutto diverso. La situazione sta diventando sempre più precaria: poiché le «ricompense» che si ottengono in cambio della rinuncia alle pulsione costano un prezzo sempre più alto e per molti non vengono nemmeno più percepite, quello che si pretende dall'individuo è in continua crescita. Ora c'è una cosa che il soggetto maschile di certo non può fare: ammettere la propria subordinazione, la sua dipendenza e la sua impotenza, poiché questo significherebbe la sua stessa fine. Ed è qui che entra in gioco il narcisismo. In una certa qual misura, viene usato come difesa contro il doversi confrontare con la propria nudità, con il proprio vuoto ed insignificanza.
Ciò vale, seppure in forme diverse, tanto per la rivolta delle «persone perbene» quanto per la rivolta dei «cittadini arrabbiati». Mentre i primi tentano di mondarsi e scusarsi (anche come misura anti-depressiva), gli altri cercano di dimostrare il loro potere, vogliono «imporsi» ancora una volta; a qualsiasi costo. Gli uni puntano alla solidarietà e guardano principalmente ai diritti umani e non vogliono (non possono) vedere che la socializzazione a partire dalla dissociazione-valore è anche la base dei diritti umani. Quanto più tale base vacilla, tanto più i diritti umani crollano o finiscono per essere una farsa. Altri cercano la salvezza nella «libertà» e nell'«autonomia», e difendono la democrazia come la base politica e normativa di queste cose. Ma dal momento che, con i limiti raggiunti dalla valorizzazione del capitale, anche la base per queste cose sta scomparendo; la lotta per la «libertà» e l'«autonomia» rischia di trasformarsi in una lotta sociale darwinista di tutti contro tutti. L'auto-Magnificato soggetto borghese si sente libero e autosufficiente, onnipotente, in grado di fare tutto. Nelle sue illusioni di grandezza, non può - come già detto - ammettere una cosa: la propria impotenza e dipendenza, e riconoscere che nel quadro della socializzazione capitalista «non è possibile tutto», e che non esistono «alternative possibili». In queste forme, semplicemente non c’é più niente da fare (Böttcher 2018). Gli apostoli delle possibilità illusorie, che nei circoli di sinistra amano essere invocati come dei santi ausiliari, ormai nemmeno qui forniscono più alcun aiuto: non lo fornisce né l'«atto» di Žižek, né il suo marxismo lacaniano, e neppure il marxismo femminista di Soiland (Scholz 2020, 51); e non lo fornisce nemmeno l'«evento» di Badiou o il «tempo che resta» di Agamben, con il suo consiglio di agire «come se non», cioè, come se il capitalismo, o il coronavirus, non esistessero (cfr. Böttcher 2019).
8 - L'ometto - piuttosto grosso, dopo tutto?
Le erosioni nel mondo del lavoro retribuito, così come i disorientamenti che le accompagnano, generano paura di cadere. Sono legate alle paure (maschili) di non essere più in grado di svolgere il ruolo «maschile», di fallire e di venire «castrato». La debolezza umiliante e insopportabile che porta a non essere padroni di sé stessi e del proprio mondo, insieme all'esperienza della confusione provocano il bisogno di chiarezza e, a partire dall'esperienza dell'insicurezza, il bisogno di rimettere i piedi sulla terraferma, e di essere padroni di sé stessi e di come si fanno le cose. «Le crisi sono periodi di confusione e di perdita di controllo» (Heitmeyer 2020, 299). La chiarezza sembra poter fornire la «conoscenza» di chi c'è dietro i problemi. L'impotenza offensiva e la perdita di controllo, sembrano essere compensate da una potente resistenza. La mania complottista, o anche il bisogno di identificare gli attori, va di pari passo con una falsa immediatezza che dispensa riflessione circa le mediazioni sociali. In questo modo, il mondo diventa chiaro e controllabile. L'uomo diventato piccolo, può ancora una volta presentarsi di fronte al mondo in tutta la sua grandezza e potenza.
E poi ci sono anche «i migranti», i quali mostrano all'«ometto» dove deve andare se non si riesce ad affrontare la realtà (vedi anche Scholz 2007, 215ff). Le minacce arrivano sia «dall'alto» che «dal basso»: abbiamo Bil Gates e la «cospirazione ebraica», e i «superflui» che sarebbe meglio che affogassero semplicemente in mare; almeno, secondo la sensibilità di un democratico responsabile dell'ordine pubblico di Essen, il quale già nel 2000 aveva dichiarato la sua volontà politica di deportare in ogni caso i rifugiati, «anche facendoli cadere dall'aereo» (Ökumenisches Netz Rhein-Mosel-Saar 2000, 5). A fronte delle limitazioni dovute alle minacce globali, le restrizioni da coronavirus non possono essere accettate: proprio lì, dove da tempo l'«autonomia (maschile)» è stata erosa, e dove libertà significa innanzitutto compulsione alla valorizzazione, allora è proprio lì il posto dove il soggetto della crisi gonfia il petto e vuole mostrare alla politica, ai media... e al mondo la sua potenza, che da tempo ha smesso di essere potenza: è lì che mostra la potenza di ulteriore distruzione.
Per quanto esista da tempo una crisi nell'AfD [Alternativa per la Germania], nel suo insieme la «destra» continua a essere ben posizionata, anche in termini di «raccattare» tra gli «ometti», con le loro necessità. Ed è proprio la «comunità», il «quartiere», il «vicinato» ciò che viene «offerto» dalle scenografie di destra, e a rendere la cosa così tanto pericolosa: perché è laddove sempre più persone si trovano a rischio di isolamento e di solitudine, che simili «progetti» diventano molto attraenti. Possiamo supporre che la scena negazionista del coronavirus, con la sua resistenza, sia animata, non in ultimo, da una sorta di «necessità sociale» di unità e di comunità, la quale viene rappresentata come se fosse una potente dimostrazione di solidarietà dei consapevoli contro gli ignoranti, dei piccoli, «dal basso», contro le élite che stanno «in alto», dei «veri» democratici contro gli interessi dei potenti; il tutto, ovviamente, senza che «si» ammetta la reale impotenza e dipendenza. Alla fine, dopo tutto, «una persona» vuole dimostrare a sé stesso quanto sia «indipendente» e «capace di agire». Sono queste illusioni persistenti a rendere pericolosi i disperati tentativi di auto-posizionarsi da parte del soggetto maschile.
9 - Ritorno alla normalità capitalista?
Il primo Lockdown riuscì persino a far sentire delle voci che suggerivano fosse un Kairos per poter pensare in maniera profonda alle aberrazioni sociali, addirittura al modo in cui lo scoppiare dell'epidemia avesse a che fare con le relazioni sociali: con il dominio sulle natura e con le forme capitalistiche di produzione e trasporto. Tuttavia, la speranza evaporò rapidamente. Ben presto, ad emergere fu la necessità di tornare alla normalità capitalista, e si cominciò a chiedere un allentamento in nome della libertà e della democrazia. Nell'esperienza quotidiana, il virus aveva perso la sua immediatezza. Così facendo, scompariva o si trovava sulla strada della scomparsa. Quando, non improvvisamente, ma prevedibilmente - cosa che sarebbe stata evidente a partire dal pensiero critico - torno violentemente a farsi sentire nell'immediato, tra la maggioranza il pendolo tornò di nuovo ad oscillare verso l'accettazione delle restrizioni.
Tuttavia, questo non è tanto legato a una visione critica, quanto piuttosto è supportato dalla speranza di poter finalmente tornare, in un futuro prevedibile, alla normalità capitalista attraverso dei vaccini. Ma questa normalità era ormai diventata una normalità di crisi come quella precedente allo scoppio della pandemia; era stata di fatto questa normalità di crisi a rendere possibile il virus e ad aprirne la strada. Il biologo Rob Wallace (2021) vede lo scoppio dell'epidemia nel contesto della diminuzione della biodiversità, del sovra-utilizzo delle terre e dell'allevamento intensivo, vale a dire, soprattutto a partire dal contesto delle condizioni in cui si produce il cibo. Condizioni che permettono e incoraggiano la zoonosi, il diffondersi di malattie trasmesse dagli animali agli esseri umani. Questi fenomeni sono simultaneamente espressioni sia della relazione capitalistica con la natura che delle sue forme di produzione e trasporto che sono state deregolamentate, liberalizzate e globalizzate al fine di compensare la crisi dell'accumulazione di capitale, per produrre sempre più a basso costo e aprire nuovi mercati di vendita. In questo senso, lo «scoppio» del virus si trova ad essere collegato con il capitalismo di crisi.
Nel momento in cui, attualmente, si reclama il ritorno alla normalità, in parole povere ciò viene a significare: continuare a comportarsi come se le aporie della normalità della crisi capitalista non esistessero. Anche, perfino di fronte all'intensificarsi dei problemi - con e dopo il coronavirus - c'è da temere che essi non vengano visti nel contesto della crisi. Ed è probabile che continuino a essere negati, e si accompagnino ad un tentativo di combattere i problemi, e i presunti «colpevoli», in una forma immediata e attivista. In un simile contesto, il riferimento al Freud dell'«ipocrita culturale» diventa di nuovo interessante. La normalità della crisi spinge, anche psicologicamente, a dei conflitti tra conformità e auto-posizionamento, costringendo ancora una volta le persone a vivere psicologicamente al di là delle proprie possibilità. Senza inganni e illusioni che promettono sostegno, laddove le circostanze sono diventate insostenibili, tutto ciò diventa insopportabile. Per alcuni, è l'illusorio richiamo alla libertà e alla democrazia che nasconde il fatto che il cosiddetto ordine liberale, insieme ai suoi valori e ai diritti umani, sono legati al quadro dell'organizzazione capitalista, e che collassano insieme ad essa. Per altri, essi sono i valori della solidarietà. Ma il fatto che, nel vuoto della valorizzazione capitalista, la lotta per la sopravvivenza si acuisca in termini di darwinismo sociale, non verrà impedito da nessuna solidarietà. La solidarietà dei maniaci del complotto, è addirittura parte di questa lotta per la sopravvivenza del più forte. Ma anche quella che è la solidarietà delle persone per bene si scontra con i limiti delle circostanze. In quanto non è possibile nemmeno la solidarietà necessari ad assistere le vittime della normalità della crisi. La solidarietà come struttura di convivenza sociale, fallisce in quelli che sono i mezzi che il processo di valorizzazione del capital dovrebbe mettere a sua disposizione. Le illusioni e gli inganni associati all'insistenza sulla libertà e sulla democrazia, così come il bisogno di solidarietà e di un mondo solidale, hanno di certo il carattere dell'ipocrisia culturale. Vivono al di là delle possibilità che le circostanze rendono possibili. Con il capitalismo, la «civiltà» e l'uomo «civilizzato» ad essa associato si sbriciolano. Volersi battere contro l'«inselvaggimento» delle circostanze e contro quella che è una barbara lotta sociale darwinista per la sopravvivenza, attraverso la rivendicazione della libertà e della democrazia è altrettanto illusorio delle richieste di solidarietà, le quali si muovono nel quadro di una normalità capitalista presupposta inconsciamente, e che fa quindi parte dell'ipocrisia culturale.
Se la democrazia e la solidarietà vengono riconosciute come facenti parte della normalità capitalista, ecco che allora l'osservazione di Freud colpisce nel segno: « In realtà, essi non sono scesi così in basso come temavamo, perché non erano mai saliti così in altro come pensavamo » (Freud GW X, 336). Freud intendeva questo come una sorta di consolazione, tenendo conto del disincanto associato alla disillusione. Il disincanto, nel senso di una correzione degli errori, sembra essere indispensabile per che cerca una via d'uscita dalla crisi. Quel che serve non é nient'altro che una rottura con le relazioni che hanno bisogno dell'illusione, e con la forma della dissociazione-valore che le caratterizza. Tutto questo non sarà possibile senza un'analisi concettuale e una riflessione critica che, tuttavia, dev'essere in grado di tener conto di quelli che sono i diversi livelli di «riproduzione» delle relazioni, e quindi sa che il pensiero di per sé non può realizzare una rottura; ciò perché le categorie astratte vengono riprodotte nel pensare, nell'agire e nel sentire delle persone, e quindi si rende necessaria anche una rottura a tutti questi livelli. Ciò non avverrà da un giorno all'altro, ma una cosa è chiara: senza il disincanto rispetto all'illusione maschile dell'auto-posizionamento dominatore, e il riconoscimento delle offese che ne derivano quando l'auto-posizionamento si scontra con i propri limiti, non ci può essere la necessaria rottura di circostanza.
10 - Imparare a vivere con il virus, o ridurre a zero il virus?
Nelle discussioni attuali, ci si concentra sulle strategie proposte per imparare a convivere con il virus, e sulle altre strategie il cui obiettivo è quello di ridurre a zero il virus. In un certo qual modo, queste strategie sono rappresentate dal consiglio dei periti del governo dello Stato della Renana del Nord-Westfalia, da un lato, e dall'altro da un gruppo interdisciplinare di scienziati ( https://www.zeit.de/wissen/gesundheit/2021-01/coronavírus-strat. ; https://www.zeit.de/wissen/gesundheit/2021-01/no-covid-strategie ), oltre che dalla campagna ZeroCovid ( https://zero-covid.org/ ). Alcuni vorrebbero integrare il virus con le misure di protezione specifiche alla normalità capitalista, «al fine di poter vivere con questo virus sia pubblicamente che privatamente», secondo il consiglio degli esperti della Renania del Nord-Westfalia. Mentre gli altri insistono su una strategia europea a lungo termine di stretto lockdown, in modo da impedire la diffusione del virus per poter poi tornare a uno stato di normalità capitalista.
Colpisce che la proposta di un lockdown a lungo termine, così come è stata formulata durante la campagna in atto, venga criticata da uno schieramento di sinistra che si è raccolto intorno al Comitato per i Diritti fondamentali e la Democrazia ( http://www.grundrechtekomitee.de/details/einige-gedanken-des-grundrechtekomitees-zur-kampagne-zerocovid ), e da Alex Demirovic (scienziato sociale, membro del comitato consultivo scientifico di Attac e membro della Fondazione Rosa Luxemburg) ( https://www.akweb.de/bewegung/zerocovid-warum-die-forderung-nach-einem-harten-shutdown-falsch-ist/ ). Contro questa proposta vediamo posizionate ancora una volta immediatamente le richieste di democrazia, diritti umani e libertà. Manca qualsiasi riflessione sulla mediazione tra democrazia, libertà e diritti umana, da una parte, e relazioni capitalistiche borghesi, dall'altra. Non si fa il minimo accenno, del resto altrettanto popolare e riduttiva - poiché limitata al solo livello della circolazione - alla critica della libertà neoliberista del mercato, cui verrebbero sacrificate libertà individuali e diritti umani. Ancora una volta, l'ultimo rifugio è ancora una volta quello dell'esaltazione illuminista del soggetto (maschile) e della sua libertà di auto-posizionarsi; naturalmente, senza prendere atto della concomitante dissociazione dalla riproduzione, connotata come femminile e inferiorizzata.
In un certo senso, ciò vale anche per le donne. Perché anche loro devono assumere il proprio ruolo in tutta l'organizzazione. Il che significa che di solito, normalmente, si tratta di soggetti «femminili» e «lavorativi» che, vale a dire, devono assumere due «ruoli», e passare così attraverso un corrispondente processo di socializzazione. In questo senso, le donne non sono immuni dall'aderire al richiamo della libertà e dei diritti umani, oppure di fare «proprie» le idee autoritarie, di volere un «uomo forte», ecc. Si pensi, ad esempio alle donne che hanno votato Trump negli Stati Uniti, nonostante la sua chiara misoginia... Tuttavia, non dobbiamo scordarci del fatto che le donne, soprattutto nel corso dei processi di crisi, entrano più facilmente a far parte degli «stupidi»: di solito devono affrontare la follia quotidiana avendo a che fare con i figli e con il lavoro retribuito, e sono quelle che rispetto agli uomini hanno più frequentemente un lavoro precario, e che, come soluzione alle tensioni narcisistiche, si trovano ad essere più esposte alla violenza maschile, ecc.
Demirovic ne è certo: «Un lockdown europeo non è realistico», «la fine della pandemia... non è possibile». Le proposte politiche non sono attuabili e il virus viene considerato come se fosse un'indiscutibile legge di natura. Si tratta di «un virus con cui abbiamo familiarità, e con il quale noi, in quanto animali, viviamo involontariamente in metabolismo, e con cui vivremo ancora per molto tempo». La zoonosi, tuttavia, non è un semplice fenomeno naturale, ma si trova in relazione con le forme capitalistiche di produzione e di trasporto. Per Demirovic, non esiste una totalità capitalistica, ma esistono solamente complessi interessi capitalistici. Analogamente, non esiste nemmeno uno Stato che difende «gli interessi del capitale in generale»; «poiché una cosa simile non esiste». Perciò, in tal modo, il livello dello Stato e della politica può diventare un luogo in cui gli interessi in conflitto vengono negoziati per mezzo di processi democratici. Osservando il coronavirus: il virus appare essere fondato a partire da una legge naturale; la democrazia e lo stato di diritto lo regolano. In questo modo, non è affatto un caso che la più grande preoccupazione di Demirovic sia la negoziazione democratica di come affrontare l'epidemia, insomma, oppure di «pericoli per la democrazia», i quali - secondo quella che è la sua critica all'appello #ZeroCovid - «non vengono considerati». Tutto si riduce all'idea per cui «le relazioni sociali, la democrazia e la conoscenza scientifica devono venire ulteriormente sviluppate secondo questa prospettiva critica, in modo da non essere invalidate nella, e attraverso la, crisi». Fondamentalmente, i «pericoli autoritari» cui va incontro la democrazia in quella che è una strategia ZeroCovid per mezzo di un rigido lockdown temporaneo. E puntualizza: «Manteniamo la nostra libertà e attuiamo scelte che possono essere autoritarie, liberali, socialiste darwiniste, o socialiste autonome». Quasi tutto può essere negoziato liberamente e democraticamente. C'è solo un limite; e non è il limite logico e storico della valorizzazione del capitale - e non si tratta nemmeno dei limiti ecologici - ma è quello del «ricorso a delle leggi naturali intrinsecamente valide» e della «minaccia autoritaria» che esso rappresenta.
Naturalmente, sarebbe ingenuo presupporre che l'intervento autoritario dello Stato, una volta messo in atto, verrebbe semplicemente ritirato «dopo il coronavirus», qualunque cosa questo significhi (vedi sopra). Sarebbe anche ingenuo dare credito a qualcosa come: «ancora un altro rigido lockdown e poi basta». Ma nonostante ciò, potrebbe benissimo essere il caso che un lockdown così rigido possa sembrare una cosa giusta da fare e che abbia senso, e se non si è così cinici al punto da considerare di nessun'importanza gli attuali tassi di mortalità, il sovraccarico sul personale infermieristico e ospedaliero, le mutazioni virali viste nella prospettiva delle condizioni attualmente prevalenti, soprattutto a Manaus, ma anche in Gran Bretagna e in Irlanda, ecc. Anche in una società mondiale liberata dal feticcio del capitale, potrebbero essere prese delle misure quando si dovesse verificare un'epidemia locale, cose come un «isolamento rapido in modo da interrompere le catene di infezione, consentire la cura dei malati con ogni mezzo a disposizione della società, fornendo al contempo misure di protezione adeguate per coloro che aiutano in quest'opera» (Gruppe Fetischkritik Karlsruhe 2020).
Anche il Comitato per i Diritti Fondamentali è preoccupato per i pericoli di uno Stato «autoritario». Inoltre, critica il fatto che un lockdown rigido potrebbe perpetuare disuguaglianze e discriminazioni nella società. Nel contesto delle relazioni di crisi capitaliste, il coronavirus diventa l'acceleratore di tutti i problemi sociale. Di conseguenza, un rigido lockdown colpirebbe più duramente, rispetto agli altri gruppi di popolazione, le persone povere, i senzatetto, le persone isolate, quelle in cattive condizioni abitative, le persone in fuga e nei campi, ecc. Da un lato, potrebbe e dovrebbe essere fornita un'adeguata assistenza, per esempio sistemando i senzatetto e i rifugiati negli alberghi vuoti. Dall'altro lato, già ora si può notare che sono proprio queste fasce della popolazione che corrono il rischio di essere tra le prime vittime quando il virus si propaga, anche perché non hanno i mezzi e le possibilità di proteggersi bene contro il virus (ad esempio, con le maschere chirurgiche, viaggiano in auto piuttosto che sui mezzi pubblici, a causa del loro lavoro precario nei servizi, delle loro cattive condizioni abitative, ecc.). L'esempio degli Stati Uniti dimostra, non da ultimo, che il virus dilaga in maniera particolare tra i poveri e i neri, e che la mortalità è particolarmente elevata proprio in questi gruppi di popolazione.
Se, da un lato, è giustificato fare riferimento a situazioni sociali problematiche, che con il coronavirus, e con le richieste di aiuto peggiorano; è tuttavia a volte, altrettanto problematico - e perfino cinico - usare questi problemi per delegittimare delle strategie volte a contenere il virus, e quindi anche a proteggere delle vite, facendo considerazioni che si interrogano su « quale numero di contagi ci deve sembrare accettabile: 50, 25, 7 o 1 per 100 000 abitanti » (Demirovic 2021), e che arrivano addirittura a una difesa indifferenziata del massimo allentamento possibile.
Questo solleva la questione del perché la paura dell'«autoritarismo» sia così grande in questo particolare momento, soprattutto se si considera che la restrizione dei diritti di circolazione e della libertà, in Germania si è rivelata assai inoffensiva se vista nel confronto internazionale. Ad essere irritante in un simile contesto, è il fatto che né Demirovic né la Commissione per i Diritti Fondamentali riflettano sulla storia del «sociale» e dell'«autoritario», nel senso che invece sarebbe stato importante sottolineare come siano state le riforme Hartz - democraticamente negoziate e applicate dall'amministrazione di crisi - a spingere le persone in una situazione sempre più precaria, privandoli dei loro diritti ed esponendoli a un regime autoritario. Ciò è maggiormente vero se riferito allo stato di eccezione democratico, alla sicurezza poliziesca e militare, e all'internamento nei campi imposto ai rifugiati. È impressionante come la critica alle misure di contenimento del virus si infiammi immediatamente rispetto all'autoritarismo, e anche che esiga immediatamente libertà e democrazia. Ciò indica anche la connessione - problematizzata in questo testo - tra la mania (maschile) di libertà, e l'auto-posizionamento e la paura della propria limitazione, e la propria caduta in quanto soggetto, e la difesa contro una simile minaccia. La critica della normalità capitalista di crisi, dalla quale è emerso il virus, nel cui contesto ha potuto diffondersi e diventare l'acceleratore delle differenti situazioni problematiche, viene completamente ignorata. Il ritorno a questa normalità sembra essere una prospettiva di salvezza, ma è probabile che si riveli un'illusione, con tutte le più gravi conseguenze di stravolgimenti economici, sociali, ecologici e psicosociali.
11 - E infine: imparare a vivere con il virus nella normalità capitalista
Demirovic - del tutto in linea con gli altri esponenti di sinistra - è «realista». Dopo tutto, un simile realismo, negli ultimi decenni, è stato sufficientemente esercitato in quelle che sono le zone della «realpolitik». Da ciò ne derivano tutte le certezze secondo cui un lockdown europeo «non è realistico», e che una «fine della pandemia... non è possibile». Pertanto, la parola d'ordine è «imparare a vivere con il virus». Questo «imparare a vivere con...» si colloca in maniera significativa nelle vicinanze di tutto quello che è già stato imparato nel corso della normalità capitalista: vivere con le guerre di ordinamento mondiale, con la crisi ambientale, con le continue e sempre nuove imposizioni dell'amministrazione della crisi. Solo una cosa non rientra nel quadro del realismo: la crisi immanente incontrollabile del capitalismo e della sua normalità. Solo negandola, si possono mantenere le visioni globali di libertà e di democrazia, che vengono esagerate anche senza la mortifera realtà del virus. La critica del capitalismo viene sostituita da una contrattazione nella quale le condizioni-quadro capitaliste sono sempre già accettate. E coloro che non le accettano, perdono il loro posto alla «tavola rotonda» dei responsabili.
E così, in tal modo, quel che rimane «alla fine» è il realismo e l'uniformità dei democratici «di destra» e «di sinistra» in opposizione a una critica radicale ed emancipatrice del capitalismo. Si tratta dell'eterno ritorno dello stesso: negoziare democraticamente. Nel fare questo, gli uomini e le donne di sinistra si incontrano con il consiglio di esperti dello Stato della Renania del Nord-Westfalia, il quale sostiene soprattutto la non paralisi di parti intere dell'economia e alimenta l'illusione che i cosiddetti «vulnerabili» possano essere protetti senza includere in questo la società nel suo insieme. Nel corso del «negoziato democratico», il tono aggressivo contro i difensori delle strategie che puntano allo zero Covid non lascia alcun dubbio. Stephan Grünewald, membro del Consiglio di Esperti, si è permesso di definirli come quelli che pretendono di ottenere una «vittoria finale sul virus». Jakob Augstein, li descrive come «una pericolosa mentalità da crociata, che userà qualsiasi mezzo nella guerra contro la malattia» (Freitag, 3/2021).
Il pomposo slogan di Attac, «Un altro mondo è possibile», ovviamente non è nemmeno un punto di vista rivolto alle strategie per superare il virus. La fretta non è mai troppa per voler tornare alla normalità capitalista e alle illusioni del «business as usual»! con o senza virus. Fintanto che «un altro mondo» viene cercato nell'immanenza del «patriarcato produttore di merci» (Roswitha Scholz), esso continua a rimanere chiuso, bloccato nell'immanenza delle relazioni feticiste. L'autoreferenzialità e la solidarietà falliscono a causa di questo. Tuttavia, con il concetto di solidarietà e con la pratica solidale si potrebbero considerare quelle dimensioni che vanno oltre l'immanenza chiusa in sé stessa. Questo implica che si guardi a tutte le vittime del capitalismo, a chi viene privato della propria sussistenza attraverso dei processi di distruzione ecologica e sociale, alle vittime della «guerra di ordinamento mondiale», fino ai malati e agli anziani, e anche ai morti, i quali non sono altro che semplicemente degli eliminati a basso costo.
Dal momento che attualmente il coronavirus si sta rivelando come un acceleratore della crisi, sarà «dopo il coronavirus» o in una vita «insieme al coronavirus» che ci verrà presentato il conto. E colpirà in maniera ancora più dura coloro che non sono redditizi; sia privandoli dei loro mezzi di sostentamento che amministrandoli nel contesto di una stato di eccezione democratico. Nessuna democrazia sarà in grado di salvarli da questo. Al contrario, tutto quanto verrà negoziato ed eseguito in maniera formalmente corretta e parlamentare, come già possiamo vedere, ad esempio, con l'Hartz IV e nel modo in cui vengono trattati i rifugiati.
La solidarietà, nel senso in cui l'abbiamo appena menzionata, si verrebbe pertanto a concentrare su coloro che non sono produttivi per la valorizzazione del capitale, per coloro i quali non possono più essere integrati nello stato sociale, e che vengono democraticamente esclusi in quanto improduttivi e allo stesso tempo inclusi nei campi di lavoro (Hartz IV) e di concentramento. La pratica della solidarietà, per ottenere qualcosa, dovrà puntare all'utilizzo di quello che rimane del margine di manovra immanente. « Ma questo può funzionare solo in connessione con un ampio movimento sociale che sia in grado di cominciare a soppiantare - ad abolire e superare - la concorrenza universale e a imporre un insieme di bisogni, anche se non verrà superata la crisi, la quale è radicata nelle contraddizioni sistemiche del «lavoro astratto» e in quelle della sua struttura di dissociazione sessuale. Affinché un tale movimento sia possibile in generale, è necessario condurre una piccola guerra tenace anche a livello di vita quotidiana contro il pensiero social-darwinista, sessista, razzista e antisemita, in quelle che sono tutte le sue varianti. Quando la resistenza immanente trova la prospettiva di un altro modo di produzione e di vita, che vada al di là del patriarcato produttore di merci, e pertanto anche al di la del vecchio socialismo di Stato, allora le forme di sviluppo della crisi potranno aprirsi, al di là di tutto questo, verso una nuova società. Una simile apertura è possibile solo attraverso una simultanea apertura di un orizzonte mentale di una nuova critica sociale radicale; anziché lasciarsi consumare completamente dalla quotidianità della crisi. » (Kurz, 2006) Queste sfide non sono state negate dal coronavirus. Al contrario, sono diventate ancora più urgenti.
- Herbert Böttcher / Leni Wissen - Pubblicato congiuntamente su Exit! e su Netz-Telegramm - 1.2021.
NOTE:
[*1] - Se Freud suona in qualche modo «biologista», qui la cosa ha a che vedere con il suo tentativo di stabilire la psicoanalisi come una scienza (borghese). In altri testi, Freud certamente descrive altri «obiettivi sessuali». Tuttavia il «desiderio» stesso del soggetto borghese di perpetuarsi, di «riprodursi», non va sottovalutato.
[*2] - In Freud, la definizione di «esperienza primaria di soddisfazione» compare in diversi testi, ma rimane sempre un po' aperta, e dovrebbe forse anche esserlo. poiché qui si tratta di qualcosa che si trova al limite del pre-linguistico, del pre-soggettivo. Si tratta dell'emergere dello psichico nel contesto della necessità della vita: «Sotto la forma dei grandi bisogni corporei, la necessità della vita si avvicina per prima ad esso (all'apparato psichico; nota dell'autore). L'eccitazione stabilita dalla necessità interna cercherà uno sbocco nella motilità (movimento muscolare involontario; nota degli autori) che può essere chiamata «cambiamento interno» o «espressione del movimento della mente». Il bambino affamato urlerà impotente o si agiterà. La situazione, tuttavia, rimane inalterata... Una svolta ci può essere solo quando, con qualche mezzo - nel caso del bambino attraverso un aiuto esterno - si fa esperienza del provare soddisfazione, cosa che annulla lo stimolo interiore. Una componente essenziale di tale esperienza, è la comparsa di una certa percezione (il cibo, per esempio), la cui immagine nella memoria rimane d'ora in poi associata alla traccia di memoria della soddisfazione della necessità. In modo che non appena questa necessità si presenta dalla prima volta... sorgerà un'agitazione psichica che pretende di recuperare l'immagine di memoria di questa percezione, ed evocare nuovamente la propria percezione, vale a dire, pretende realmente di ripristinare la situazione della prima soddisfazione» (Freud GW II/III, 471).
Bibliografia
Böttcher, Herbert: Handlungsbedarf. Offener Brief an die Interessierten von Exit! Zum Jahreswechsel 2015/16, in: exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft, 13, Angermünde 2016, 15-22. Trad. port: A necessidade de acção. Carta aberta às pessoas interessadas na EXIT! na passagem de 2015 para 2016, online: http://www.obeco-online.org/herbert_bottcher.htm
Böttcher, Herbert: Hilft in der Krise nur noch beten? – Zur philosophischen Flucht in paulinischen Messianismus, in: exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft, 19, Springe 2019, 86-182. Trad. port: Rezar na crise ainda ajuda? Sobre a fuga filosófica para o messianismo paulino, online: http://www.obeco-online.org/herbert_bottcher10.htm
Böttcher, Herbert: Wir müssen doch etwas tun! Handlungsfetischismus in einer reflexionslosen Gesellschaft, in: Ökumenisches Netz Rhein-Mosel-Saar (Hg.), Die Frage nach dem Ganzen. Zum gesellschaftskritischen Weg des Ökumenischen Netzes angesichts seines 25jährigen Bestehens, Koblenz 2018, 357-380, auch auf exit-online.org. Trad. port.: Temos de fazer alguma coisa! Fetichismo da acção numa sociedade sem reflexão, online. http://www.obeco-online.org/herbert_bottcher6.htm
Bröckling, Ulrich: Das unternehmerische Selbst. Soziologie einer Subjektivierungsform [O eu empreendedor. Sociologia de uma forma de subjetivação], Frankfurt am Main 2007.
Demirovic, Alex: Warum die Forderung nach einem harten Shutdown falsch ist. Zur Kritik des Aufrufs #ZeroCovid [Porque é errada a exigência de um confinamento rígido. Para a crítica do apelo #ZeroCovid], https://www.akweb.de/bewegung/zerocovid-warum-die-forderung-nach-einem-harten-shutdown-falsch-ist/, 2021.
Ehrenberg, Alain: Das erschöpfte Selbst. Depression und Gesellschaft in der Gegenwart, Frankfurt am Main 2004. Original: La fatigue d’être soi. Depression et societé, 1998.
Freud, Sigmund: Zeitgemäßes über Krieg und Frieden [Considerações actuais sobre guerra e paz], in: ders: Gesammelte Werke, Band X, Frankfurt am Main 1981 (zuerst: 1946), 323-355.
Freud, Sigmund: Trauer und Melancholie [Luto e melancolia], in: ders: Gesammelte Werke, Band X, Frankfurt am Main 1981 (zuerst: 1946), 427-446.
Freud, Sigmund: Jenseits des Lustprinzips [Para lá do princípio do prazer], in: ders: Gesammelte Werke. Band XIII, Frankfurt am Main 1999 (zuerst: 1950), 1-69.
Grünewald, Stephan, Ichsucht oder Wir-Gefühl [Egoísmo ou sentido do nós], in: Kölner Stadt-Anzeiger vom 9./10.1. 2021.
Grundrechtekomitee: Einige Gedanken zur Kamagne #ZeroCovid [Comité dos direitos fundamentais: Algumas ideias sobre a campanha #ZeroCovid] , http://www.grundrechtekomitee.de/details/einige-gedanken-des-grundrechtekomitees-zur-kampagne-zerocovid, 2021.
Gruppe Fetischkritik Karslruhe: Das Virus – Kritik der Politischen Pandemie, Teil I und II, www.exit-online.org, 2020. Trad. port: O vírus. Crítica da pandemia política I e II, online: http://www.obeco-online.org/gruppe_f_karlsruhe.htm e http://www.obeco-online.org/gruppe_f_karlsruhe1.htm
Hauer, Johannes; Hamann, Marco: Die Seuche und das Ungeheuer [A praga e o monstro], https://jungle.world/artikel/2021/01/die-seuche-und-das-ungeheuer
Heitmeyer, Wilhelm: Postskriptum: coronavirus-Pandemie, Verschwörungsideologien und neue Radikalisierungskonstellationen [Post scriptum: Pandemia de coronavírus, ideologias de conspiração e novas constelações de radicalização], in: ders., Freiheit, Manuela, Sitzer, Peter, Rechte Bedrohungsallianzen [Alianças de direita ameaçadoras], Berlin 2020.
Kurz, Robert: Weltordnungskrieg. Das Ende der Souveränität und die Wandlungen des Imperialismus im Zeitalter der Globalisierung, Bad Honnef 2003. Trad. port: A Guerra de Ordenamento Mundial. O Fim da Soberania e as Metamorfoses do Imperialismo na Era da Globalização, online: http://obeco-online.org/a_guerra_de_ordenamento_mundial_robert_kurz.pdf
Kurz, Robert: Unrentable Menschen. Ein Essay über den Zusammenhang von Modernisierungsgeschichte, Krise und neoliberalem Sozialdarwinismus, 2006, online: https://exit-online.org/textanz1.php?tabelle=autoren&index=29&posnr=237&backtext1=text1.php. Trad. port: Seres humanos não rentáveis. Ensaio sobre a relação entre história da modernização, crise e darwinismo social neo-liberal, online: http://www.obeco-online.org/rkurz254.htm
Kurz, Robert: Geld ohne Wert. Grundrisse einer Transformation der Kritik der politischen Ökonomie, Bad Honnef 2012. Trad. port: Dinheiro sem valor. Linhas geris para uma transformação da crítica da economia política, Antígona, Lisboa, 2014
Kurz, Robert.: Nullidentität, in: exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft, 15, Springe 2018, 157-172. Trad. port.: Identidade Zero, online: http://www.obeco-online.org/rkurz439.htm
Liessmann, Konrad Paul, Die gekränkte Gesellschaft [A sociedade ofendida], in: Neue Züricher Zeitung, https://www.nzz.ch/meinung/die-gekraenkte-gesellschaft-coronavirus-zerlegt-unser-modernes-mindset-ld.1594136
Ökumenisches Netz Rhein Mosel Saar, Rechtsextremismus aus der Mitte der Gesellschaft [Extremismo de direita a partir do centro da sociedade], Koblenz 2000.
Rentschler, Frank: Der Zwang zur Selbstunterwerfung. Fordern und Fördern im aktivierenden Staat [A coacção à auto-submissão. Exigir e promover no Estado activador], in: Exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft, 1, Bad Honnef 2004, 201-229.
Scholz, Roswitha: Homo Sacer und ‚die Zigeuner‘, in: exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft, 4, Bad Honnef 2007, 177-227. Trad. port: Homo Sacer e os Ciganos. O Anticiganismo - Reflexões sobre uma variante moderna e por isso esquecida do racismo moderno, Antígona, Lisboa, 2014.
Scholz, Roswitha: "Die Demokratie frisst ihre Kinder" – heute erst recht! Überlegungen zu einem 25 Jahre alten Text und einige kritische Bemerkungen zu dem Artikel von Daniel Späth "Querfront allerorten", in: exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft, 16, Springe 2019, 30-60. Trad. port: ‘A democracia continua a devorar os seus filhos’ – hoje ainda mais! Reflexões sobre um texto de 25 anos e alguns comentários críticos sobre o artigo de Daniel Späth 'Frente transversal em toda a parte!’, online: http://www.obeco-online.org/roswitha_scholz32.htm
Scholz, Roswitha: Der Kapitalismus, die Krise… die Couch – und der Verfall des kapitalistischen Patriarchats [O capitalismo, a crise... o divã e o declínio do patriarcado capitalista – Observações críticas sobre Slavoj Žižek e Tove Soiland], in: exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft, 17, Springe 2020, 45-89.
Wissen, Leni: Die sozialpsychische Matrix des bürgerlichen Subjekts in der Krise, in: exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft, 14, Angermünde 2017, 29-49. Trad. port: A matriz psicossocial do sujeito burguês na crise, online: http://www.obeco-online.org/leni_wissen.htm