giovedì 18 marzo 2021

Who's Who ?!?

Da un lato un ordinamento democratico, innovativo, aperto agli scambi e al commercio; dall’altro un mondo chiuso, conservatore, ispirato a valori di tipo militare in nome dei quali i cittadini accettavano con orgoglio le restrizioni delle libertà individuali. È così che sono sempre state descritte Sparta e Atene, ma come distinguere la realtà dalla rappresentazione? Dopotutto le due poleis erano nate dalla stessa cultura, parlavano la stessa lingua, onoravano gli stessi dei. Avevano combattuto fianco a fianco contro un comune nemico, i Persiani, prima di trasformarsi da alleate in nemiche. Partendo dal racconto di questo antagonismo, con un’attenzione speciale alle istituzioni sociali oltre che politiche – in particolare alla formazione del cittadino e alla condizione femminile -, Eva Cantarella approda al «riuso», operato da parte della cultura occidentale, di due sistemi che, di volta in volta, sono stati invocati tanto da chi aspirava a fondare uno Stato democratico, tanto da chi voleva dar vita a uno Stato autoritario, totalitario, tirannico. «Atene è diventata la città del miracolo nel discorso di Pericle per i morti del primo anno della guerra del Peloponneso, e il mito di Sparta nasce nel momento stesso in cui i trecento caddero alle Termopili: poco importa che fossero veramente trecento, che fossero o meno tutti volontari. Questi sono problemi che riguardano la storia delle due città, non il loro mito: essendo per definizione fuori del tempo, questo continua a vivere sia nelle ricorrenti rivisitazioni della cultura popolare, sia nel dibattito storico-politico».

(dal risvolto di copertina di: Eva Cantarella, "Sparta e Atene. Autoritarismo e democrazia")

Le donne ateniesi stanno in casa e le spartane mostrano le cosce
- Le due città rivali come modelli di sistemi contrapposti, non solo politici -
di Giorgio Ieranò

La «caccia alle reliquie» di antichi eroi ha un parallelo con quella di santi e apostoli nel Medioevo. La grandezza, il prestigio, il potere di una città era esaltato dal possesso dei corpi degli eroi, e in seguito dei santi. Anche nell’antichità dunque le reliquie viaggiavano. Un eroe che molto viaggiò, da vivo e da morto, fu l’ateniese Teseo, che era morto nell’isola di Sciro ed era stato sepolto in un luogo ignoto. Plutarco (nella Vita di Teseo) racconta il miracoloso ritrovamento delle sue reliquie. Lo stratega Cimone sbarcò sull’isola con la flotta apposta per cercare la tomba dell’eroe. Mentre i marinai frugavano Sciro da ogni parte, Cimone vide un’aquila raspare con gli artigli sopra un monticello; fece scavare lì e trovò il corpo di un uomo gigantesco, con accanto una spada e una lancia di bronzo. Non poteva essere che Teseo! Poiché era l’eroe nazionale di Atene, il ritorno in patria del corpo fu salutato con il trionfale entusiasmo che accompagnò l’ingresso a Venezia del corpo di San Marco o a Bari di San Nicola, che fu sottratto alla cattedrale di Myra in Licia, dove giaceva dall’epoca della sua morte, e trasferito nella città pugliese con un’azione da commandos da parte di un gruppo di marinai baresi. A Teseo venne costruito un tempio nel cuore di Atene, che divenne il luogo d’asilo degli schiavi fuggiaschi. Ogni anno, nell’anniversario del giorno in cui Teseo aveva ucciso il Minotauro si teneva in suo onore una grande processione cittadina. La traslazione di un corpo sacro su cui la comunità trasferisce una forte carica identitaria trova una serie di paralleli con pratiche contemporanee: segno della permanenza di un profondo valore simbolico attribuito alla figura dell’«eroe» di cui un gruppo sociale possiede e onora i resti per riaffermare se stesso.
Il corpo di Bob Marley fu traslato dalla Giamaica all’Etiopia, sede sacra dei rastafariani, dove riceve onori. Ovunque vi sia da affermare un’identità, come avveniva nelle città greche, il corpo di una figura simbolica viene cercato, traslato, onorato e se non lo si trova lo si inventa. Come avvenne dopo il 1870, quando l’impero tedesco di Bismarck cercò il suo «eroe fondatore» nel campione del Sacro Romano Impero tedesco, Federico Barbarossa che era morto durante la terza crociata annegando in un fiume dell’Anatolia. Il suo cadavere era stato smembrato, per distribuirne le reliquie: il corpo era stato portato ad Antiochia, le viscere a Tarso, le ossa a Gerusalemme; l’anima, naturalmente, a Dio.
Per incarico di Bismarck, due eruditi di severa scuola germanica furono mandati in Asia Minore a recuperarne i resti, perché fossero traslati in un sacrario che nel frattempo era stato costruito in suo onore sul monte Kyffhäuser. Nulla però fu trovato: e la severa disciplina dei dotti moderni impedì loro di inventarsi un qualsiasi «corpo dell’eroe» da riportare trionfanti in patria, come invece tante volte era capitato in epoca antica e medievale. Corpi sacri, reliquie, miti che viaggiano: espressione di un bisogno ineliminabile di possedere concretamente il sacro, di dare all’invisibile una parvenza del visibile. Infatti, come dice Platone, ricordato dagli autori all’inizio di questo libro, «l’universo è pieno di dei».
«Quelle che mostrano le cosce». Così, ad Atene, chiamavano le donne spartane. La rivalità tra le due città è diventata proverbiale. Da un lato Sparta, la «città-caserma», dominata da una élite austera di guerrieri aristocratici, educati con durezza e rigore. Dall’altro Atene, dove fioriscono le arti e la democrazia, il teatro e la cultura. Da un lato gli spartani, severi e di poche parole («laconici», appunto, come si suol dire, facendo appello al nome della regione in cui sorgeva la città, la Laconia). Dall’altro gli ateniesi, popolo di chiacchieroni, che passavano le giornate nell’agorà e in assemblea a discutere di politica e filosofia. Sono, ovviamente, stereotipi che riflettono solo in modo grossolano la realtà della storia. Ma sono stereotipi che hanno avuto una grande influenza. Il mito spartano, per esempio, è stato determinante sia per la Rivoluzione francese sia per il nazismo. I giacobini si rispecchiavano nell’idea di Sparta come confraternita di uomini fieri, liberi ed eguali. Mentre i nazisti vedevano negli spartani il prototipo del tedesco ideale: il guerriero ariano forte e disciplinato, chiamato a dominare il mondo. E che, se perde una battaglia, la perde con onore: non a caso Hermann Göring paragonerà la sconfitta di Stalingrado all’impresa eroica dei Trecento alle Termopili. Ebbene, in questa contrapposizione aveva un peso anche il diverso ruolo delle donne. In questo caso, però, era Sparta a figurare come la città più aperta e fin troppo permissiva. In effetti, rispetto alle ateniesi, le spartane godevano di maggiore libertà. Se, ad Atene, le donne erano relegate in casa, a Sparta ricevevano un’educazione e potevano persino dedicarsi alla ginnastica. Si raccontava che correvano in pubblico nude e unte d’olio, come gli uomini. Da qui l’epiteto ingiurioso di phainomerides, «quelle che mostrano le cosce», attribuito alle spartane dagli altri greci.
Come si legge nell’Andromaca di Euripide: «Una donna spartana non potrebbe essere onesta neppure se lo volesse: crescono tra i maschi, fuori di casa, con le cosce nude, e condividono con gli uomini piste e palestre». Persino Aristotele lamenterà che le donne spartane vivono «senza freni, tra sregolatezza e lussuria». Questo aspetto, per così dire, «di genere», non poteva sfuggire a una studiosa da sempre attenta ai temi della condizione femminile nel mondo antico come Eva Cantarella. Che si sofferma, dunque, anche sulla leggendaria libertà e licenziosità delle donne spartane in un libro che analizza i miti cresciuti intorno alla contrapposizione tra Atene e Sparta. Cantarella mostra assai bene che, in molti casi, si tratta appunto solo di miti, sebbene diffusi già nell’antichità. Per esempio, l’idea che gli ateniesi coltivino le arti e i divertimenti, mentre gli spartani pensano solo alla guerra, è già implicita in quel manifesto propagandistico del regime democratico che è l’Epitaffio di Pericle scritto da Tucidide. Questo pregiudizio sull’incultura spartana è stato poi ripreso più volte. Si chiedeva Voltaire: «Cosa mai ha fatto di buono Sparta per la Grecia? Ha forse avuto un Demostene, un Sofocle?». Ma, nella realtà, Sparta è stata per lungo tempo una capitale della musica e della poesia nel mondo greco. Vi operavano grandissimi poeti lirici, come Alcmane, che prestava i suoi versi appunto ai cori rituali delle ragazze spartane. Vi si inventavano anche nuovi strumenti musicali, come la lira a sette corde, creazione di Terpandro.
La contrapposizione tra Atene, terra della libertà, e Sparta, regno dell’autoritarismo, dipende in larga parte da fonti ateniesi. Noi leggiamo molto di quello che scrivevano gli ateniesi, pochissimo di quello che scrivevano gli spartani. Quando, dopo avere combattuto insieme contro i persiani, le due città entrano in contrasto, è fatale che si inizi a dipingere l’avversario in modo deformante. Ma, tenendo conto che nella stessa Atene non mancavano gli ammiratori di Sparta, la tradizione ci conserva anche stereotipi favorevoli agli spartani. Per esempio, già il laconizzante Senofonte scriveva: «Gli ateniesi disprezzano i vecchi, a partire dai loro stessi padri. Quando onoreranno gli anziani come fanno gli spartani?». Un famoso aneddoto narrava che un giorno, nel teatro di Atene, solo gli ambasciatori spartani si alzarono per cedere il posto a un anziano. Gli ateniesi, poi, oltre a non rispettare la vecchiaia, erano anche meno valorosi. Narrava un altro aneddoto che un tale, osservando un quadro dove gli ateniesi trionfavano sugli spartani, osservò: «Però, valorosi questi ateniesi!». «Sì, nei quadri», commentò un passante. Resta, comunque, il peso immenso di questa lunga tradizione. Nell’ultimo capitolo del suo libro, intitolato «L’uso moderno dei modelli», Eva Cantarella arriva fino alla Guerra Fredda, quando Usa e Urss, che al pari di Sparta e Atene furono prima alleate e poi nemiche, si contendono i ruoli degli ateniesi e degli spartani. Ma è facile prevedere che di Sparta e Atene sentiremo ancora parlare lungo i prossimi tornanti della storia.

- Giorgio Ieranò - Pubblicato su Tuttolibri del 27/2/2021 -

Nessun commento: