Nascosta dall’ascesa dei populisti, un’onda di protesta popolare sta agitando il nostro pianeta. Da dove viene questo malcontento? E, soprattutto, dove porterà? Nadav Eyal, in un saggio appassionante come un’inchiesta, esamina le forze che stanno trasformando la nostra realtà economica, politica e culturale. Introduce i lettori alla “ribellione globale”, un moto di rabbia che si è imposto progressivamente dall’Italia dell’antipolitica all’Europa della Brexit, dall’America di Trump al mondo intero assediato dalla pandemia. Una rivolta che nasce dal drammatico conflitto tra i risultati raggiunti dalla globalizzazione (che ha sottratto milioni di persone alla povertà) e i suoi costi immensi (aumento della disuguaglianza economica, danni ambientali, crisi migratorie). Eyal dà voce non solo alla rivoluzione economica e culturale che sta definendo la nostra epoca, ma anche ai protagonisti della controrivoluzione che sono stati marginalizzati e sfruttati. Unendo racconto giornalistico e analisi storica, Eyal mostra quanto tutti gli estremisti, a prescindere da fedi politiche o religiose, si somiglino in modo inquietante. E quanto, sorprendentemente, abbiano in comune le storie dei minatori della Pennsylvania, degli anarchici delle periferie di Atene, dei neonazisti in Germania, delle famiglie di profughi siriani che arrivano sulle coste europee. In corso di traduzione in 15 paesi, Revolt è una replica puntuale a coloro che si arrendono al fanatismo, e, al tempo stesso, un appassionato tributo a chi quotidianamente rivendica per sé e per il nostro pianeta un futuro migliore.
(dal risvolto di copertina di: "Revolt. La ribellione nel mondo contro la globalizzazione", di Nadav Eyal. La Nave di Teseo)
Un nuovo spettro si aggira per il mondo: la rivolta (globale) contro la globalizzazione
- di Raffaele Alberto Ventura -
Quando i matematici parlano della teoria del caos, la illustrano con il celebre esempio della farfalla che, battendo le ali in Brasile, scatena un tornado in Texas. L'idea è che i sistemi altamente complessi siano particolarmente sensibili ad alcune minime variazioni: così, pur governate da rigide leggi deterministiche, questi sistemi ci appaiono caotici. L'elemento scatenate potrebbe essere fuori dal nostro campo di osservazione, o troppo piccolo per essere notato, impossibile da trovare come il proverbiale ago nel pagliaio. L'effetto farfalla sembra essere una perfetta metafora del disordine mondiale che ci circonda e caratterizza i primi anni del ventunesimo secolo. Crisi economiche, pandemie, populismo, violenza politica: ogni cosa è collegata, sicuramente, ma come? Per capirlo bisognerebbe muoversi dal Brasile al Texas e oltre, inseguire una farfalla per tentare di restituire una visione d'insieme del sistema.
È precisamente quello che prova a fare il giornalista israeliano Nadal Eyal in "Revolt. La ribellione del mondo contro la globalizzazione", un libro che colpisce innanzitutto per il gran numero di biglietti aerei che dev'essere costato muoversi lungo vent'anni dallo Sri Lanka alla Grecia, dalla Germania all'India, dagli Stati Uniti al Giappone, dal Regno Unito alla frontiera tra Serbia e Ungheria, osservando le trasformazioni e discutendone con testimoni diretti.
Contemporaneamente appassionante e deprimente, il libro di Eyal esplora di capitolo in capitolo ogni linea di faglia della globalizzazione. Incontriamo nazisti e anarchici, visitiamo teatri di attentati terroristici, ci muoviamo tra minatori disoccupato e grandi investitori, ascoltiamo i sogni dei rifugiati in fuga dalla Siria - tante storie diverse tenute assieme da una riflessione sul fallimento del mito liberale del progresso.
L'autore ne è convinto: viviamo alla fine di un'età dell'oro caratterizzata dalla stabilità, dalla prosperità, dalla sicurezza ma soprattutto dalla fiducia nel futuro. I venti di ribellione che sorgono da ogni angolo del mondo sono tutt'altro che ingiustificati, sebbene spesso prendano forme violente: in un certo senso sono il segnale d'allarme che il sistema ci manda per palesare la sua crisi. Una crisi che è contemporaneamente economica, con la progressiva compressione della classe media occidentale, imperiale, con il rifiuto dei popoli del Sud a continuare a farsi sfruttare, climatica, con gli effetti della sovrapproduzione sull'ecosistema. Come se non bastasse, a questo si aggiungono una crisi demografica e una crisi migratoria, che contribuiscono a erodere la legittimità delle istituzioni che si erano prese carico di governare il mondo. Il problema è che le loro vecchie ricette non funzionano più, e a forza di fare promesse senza mantenerle hanno aperto una drammatica crisi di legittimità.
Collegando tra loro tutti i punti nello spazio e nel tempo, Eyal riesce con empatia a mostrare quale logica di malessere sta dietro alle rivendicazioni più estreme, quelle degli xenofobi e dei terroristi. Ma ne mostra anche la sostanziale inefficacia. Perché se c'è una strada da percorrere si tratta secondo lui di quella della solidarietà. Eppure al termine delle oltre cinquecento pagine di Revolt pare davvero difficile convincersi che si possa far qualcosa per sbrogliare questa gigantesca matassa di problemi. Esiste una via d'uscita alla crisi climatica che non entri in conflitto con lo stile di vita delle classi medie occidentali? Come possiamo disinnescare le conseguenze della finanziarizzazione dopo che ci abbiamo costruito sopra tutto un sistema economico, terribilmente sensibile all'effetto farfalla? E ora che tutti sappiamo quali ingiustizie è costato il trionfo dell'Occidente, come ci libereremo dal «sovraccarico morale» che ci affligge? Insomma: esiste un modo di sedare la rivolta globale prima che diventi una guerra di tutti contro tutti?
Nadav Eyal non è né un nemico del liberalismo né un antimoderno. Anzi resta convinto che le contraddizioni della globalizzazione possano essere risolte e superate. L'autore non perde occasione di ricordare quali e quanti siano i vantaggi del sistema liberale in termini di prosperità e di sicurezza, e di sottolineare la sua distanza dalle idee degli uomini in rivolta, che siano marxisti o nazionalisti. Eppure dal suo punto di vista, la rivolta globale non è un banale ostacolo alla marcia del progresso ma addirittura uno sprone a risolvere i problemi che ci affliggono. Eyal vorrebbe indirizzare l'energia della rivolta verso il cambiamento, di modo da permettere alla logica dello sviluppo di risolvere i problemi della globalizzazione. Come nella dialettica di Hegel, la forza del negativo sarebbe dunque in grado di correggere la Storia. Eppure via via che si accumulano i fattori di rischio sorge il sospetto che questa volta non sarà facile evitare il peggio. Un altro «uomo in rivolta», Albert Camus, aveva scritto oltre mezzo secolo fa che il compito dell'umanità ormai non era più di rifare il mondo, quanto semmai di impedire che il mondo si distrugga.
- Raffaele Alberto Ventura - Pubblicato su Tuttolibri del 20/2/2021 -
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