venerdì 26 marzo 2021

Mille voci!

Eros dell’impossibile – un classico della storiografia contemporanea – illustra lo sviluppo storico della psicoanalisi russa del primo Novecento nella sua relazione con la cultura filosofica, letteraria e artistica, con la psicologia e la pedagogia, con la società e la politica. I capitoli sui principali protagonisti (Andreas-Salomé, Pankeev o l’Uomo dei lupi, Spielrein, i fondatori della Società russa di psicoanalisi; e altre figure meno note, ma la cui importanza è messa in risalto) si intrecciano con la trattazione su grandi temi e movimenti culturali (la diffusione di Nietzsche, il simbolismo dell’Età d’argento e poeti come Belyj, Blok o Rozanov; Bulgakov, l’ambasciatore Bullitt e il Ballo di Satana; i filosofi Berdjaev, Ivanov o Solovëv; la psicologia di Vygotskij e Lurija, e la pedologia; le teorie filmiche di Ejzenštejn; Bachtin e il suo circolo). Questo insieme di temi e personaggi è trattato all’interno del complesso quadro della storia sovietica (fondamentale il ruolo di Trockij nella diffusione della psicoanalisi dopo la Rivoluzione prima che essa fosse bandita alla fine degli anni ’20, con la persecuzione di psicoanalisti di valore). Pubblicato nel 1993, Eros dell’impossibile è stato tradotto in otto lingue. Questa prima traduzione italiana è stata condotta sulla nuova edizione riveduta del 2016.

(dal risvolto di copertina di: Aleksandr Etkind, "Eros dell'impossibile. Storia della psicoanalisi in Russia". Edizioni ETS)

E in Russia esplose la «libido»
- di Vittorio Lingiardi -

"Eros dell'impossibile" è l'espressione usata dal maggior esponente del simbolismo russo, Vjaceslav Ivanov, per descrivere lo stato d'animo culturale nella Russia della cosiddetta Età d'argento, i decenni a cavaliere tra Otto e Novecento. Un'epoca di grandi speranze e delusioni, suicidi e profezie, religione e politica, scienza, magia e antroposofia. Aleksandr Etkind, psicologo e storico delle relazioni Russia-Europa, dà voce, mille voci, a questo eros. Lo fa in un libro da tempo apprezzato all'estero e ora finalmente tradotto nella nostra lingua per la cura di Luciano Meacci, studioso di grande respiro e già professore di Psicologia generale all'Università di Firenze. Definire "Eros dell'impossibile" una «storia della psicoanalisi in Russia» è riduttivo. A questo saggio bene si applicano le parole che Nietzsche scriveva a Lou Andreas-Salomé: «la Sua idea di una riduzione dei sistemi filosofici ad atti personali dei loro autori [è buona] [...] ho esposto la storia della filosofia antica in questo senso, e amavo dire ai miei uditori: "Questo sistema è confutato e morto - ma la persona che vi sta dietro è inconfutabile, la persona non può far morire"». Proprio perché garantito da un apparato documentario e para-testuale impeccabile, "Eros dell'impossibile" va letto come una fantasmagoria di personalità e relazioni toccate nei modi più vari dalla psicoanalisi: esercitata sugli altri, sperimentata su di sé, scritta e studiata, e infine purtroppo osteggiata fino alla distruzione. Nel tessuto di questa evocazione polifonica, resa ancora più viva da una galleria fotografica con i volti dei protagonisti, Etkind mostra come molti dei temi affrontati dalla nascente psicoanalisi viennese fossero al centro anche delle ricerche dell'intelligencija russa prebellica e poi post-rivoluzionaria.
"Eros dell'impossibile" è un affresco cabalitico, un caleidoscopio di vite parallele che illuminano un'intera stagione culturale e oserei dire antropologica. Vite sfolgoranti e folgorate da una scintilla psicoanalitica. Ne menziono alcune: Sabina Spielrein, esperimento vivente dell'attrazione contro-transferale di Jung, inventrice del concetto di "pulsione di morte" che poi Freud in parte le scippò, trucidata nel 1942 dai nazisti in Russia davanti alla sinagoga di Rostov; Lou Andreas-Salomé, adorata da Nietzsche, amata da Rilke, ammirata da Freud, ma soprattutto padrona femminista di sé stessa; Sergej Pankeev, il paziente freudiano di Odessa noto come "l'uomo dei lupi"; Max Eitingon, psicoanalista di origini bielorusse, fondatore, con Karl Abraham, dell'Istituto Psicoanalitico Ebraico di Gerusalemme; i filosofi Vladimir Solov'ëv, Nikolaj Berdjaev e Vasilij Rozanov (quest'ultimo marito di un'altera amante di Dostoevskij, si conquistò una fama scandalosa per i suoi tentativi di spiegare i misteri del sesso nella cornice radiosa di una religione cosmica); Andrej Belyj, che nei suoi romanzi ricostruì le esperienze della prima infanzia; il critico Michael Bachtin, la cui intera opera dialoga, in modi ora aperti ora più impliciti, con Freud; Aleksandr Blok, che sposò Ljuba Mendeleeva, e scrisse l'enigmatico poema "I dodici"; Michael Zošcenko, scrittore satirico, che si curò con un'autoanalisi di dieci anni eseguita sotto la diretta influenza di Freud; Michael Bulgakov, geniale autore di "Il Maestro e Margherita", appassionato di ipnosi e protetto dall'amicizia dell'ambasciatore americano a Mosca William Bullitt (che fu paziente di Freud e col maestro viennese scrisse una psico-biografia del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson). E ancora i fondatori della Società russa di psicoanalisi, Moisej Vul'f, Tat'jana Rozental', Michail Asatiani, Leonid Droznes e soprattutto Nikolaj Osipov, primo divulgatore in patria del pensiero freudiano, fondatore nel 1910 della rivista «Psichoterapija» ed emigrato per sempre in Occidente negli anni Venti; gli scienziati Lev Vygotskij e Aleksandr Lurija, quest'ultimo il più importante psicologo del periodo sovietico, che inizio la carriera come segretario della Società russa di psicoanalisi per poi seguire altri destini. La danza delle personalità convocate da Etkind non poteva trascurare Lev Trockij e il suo interesse per la nuova scienza. Soprannominato "Penna" dai compagni di partito per le capacità di scrittura, fu subito affascinato dalla psicoanalisi alla quale guardò, strabicamente, come un modo per ricreare la personalità umana nello stampo socialista e che dunque sponsorizzò. Poi l'avvento della stagione stalinista spazzò via, con Trockij e tutto il resto, anche la psicoanalisi.
«In Russia», scriveva Freud a Jung nel 1912, «imperversa in questo momento un epidemia locale di ?A [psicoanalisi]» Nel paesaggio variegato e cosmopolita di una cultura in fermento, affamata di pensieri nuovi e infiammata dalla diffusione della filosofia nietzschiana, le idee di Freud e Jung vennero infatti assimilate rapidamente, incontrando meno resistenza che in Europa. Questo non impedì, insieme all'entusiasmo, lo sviluppo di alcuni scetticismi d'artista. Una certa resistenza, scrive Etkind, era caratteristica degli intellettuali russi. Anna Achmatova, per esempio, prendeva in giro i giovani intellettuali inglesi in analisi da Freud. «Allora aiuta?» chiede la poetessa a un ospite in arrivo da Oxford, che poi era Isaiah Berlin. «Oh, sì!» - risponde lui - «Ma diventano così noiosi che con loro non si può parlare di niente». La stessa Lou Andreas-Salomé sconsiglio Rainer Maria Rilke dal farsi analizzare, perché con i demoni, diceva, sarebbe probabilmente scomparso anche l'angelo creatore. Quanto a Sergej Ejzenštejn, il suo rapporto con la psicoanalisi era molto ambivalente: ne era affascinato, ma la bistrattava: di Sigmund Freud diceva «un nuovo Platone e un nuovo Aristotele si fondono nella personalità opprimente di un individuo dal nome wagneriano»; irriverente com'era si divertiva a chiamare "lebeda" la "libido" freudiana, e un giorno mise in riga il giovane amico Friedrich Ermler con queste parole: «se non la smetti di trastullarti con Freud, io smetterò di frequentarti. Sei uno scemo. Leggi Pavlov e vedrai che al mondo non c'è solo Freud!». Il tour de force in cui ci trascina Etkind si prefigge l'obiettivo di ritrarre il contesto storico e umano della psicoanalisi in Russia, la teoria e la pratica, il movimento prerivoluzionario e quello sovietico, la vitalità carica di malinconiche follie di una comunità trasversale che sfidava di continuo il confine tra la vita e il pensiero. La «tradizione russa», scrive, «non ha conosciuto e tuttora non conosce la specializzazione professionale abituale in Occidente. In Russia la cultura accademica e la cultura artistica si sono fuse con le correnti spirituali e le idee politiche». Nel suo racconto della psicoanalisi russa chiama infatti a raccolta non solo i medici e gli psicologi, ma anche i poeti simbolisti, i filosofi della religione e i rivoluzionari. E così come in Russia c'era tanta psicoanalisi, non dimentichiamo che anche in Russia c'era tanto psicoanalisi: per tutti i casi mi limito a citare il saggio di Freud del 1928 su "Dostoevskij e il parricidio" e il profondo rapporto tra Jung e il letterato Emilij Metner, curatore di una scelta di traduzioni junghiane in russo.
Nonostante la ricchezza vorticosa di informazioni, di circostanze e di riferimenti, il fascino di questo libro sta, come dice il titolo nell'inafferrabilità di quell'eros intellettuale che afferra invece il lettore e anima il mistero del grande popolo russo. Che Rilke dipingeva così: «i veri russi dicono al crepuscolo quello che gli altri negano alla luce del giorno».

- Vittorio Lingiardi -  Pubblicato sul Sole del 28/2/2021 -

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