martedì 16 marzo 2021

«Musa rauca» …

«Non fatemi grazia, perché se dovessi un giorno recuperare la libertà, sarebbe per vendicare le vittime da voi sacrificate» Louise Michel davanti al Consiglio di guerra del Governo di Francia, 1871.
Torna, dopo decenni di assenza, nel 150° anniversario della Comune di Parigi, La Comune, testimonianza appassionata e in prima linea di Louise Michel, da maestra elementare a eroina della prima democrazia d’Europa. La Comune è una cronaca ardente che racconta i giorni e le notti che videro la strada prendere il potere, le  barricate ergersi e cadere sotto i cannoni, migliaia di donne e bambini combattere accanto agli uomini. Una storia corale di sangue, coraggio e passione, appassionante come un romanzo e vera come la storia. Dedicata a chi ancora non ha smesso di lottare.

(dal risvolto di copertina di: Louise Michel, «La Comune» (trad. di Chiara Fortebraccio Di Domenico). Clichy pp. 350, € 14)

La Vergine Rossa amata da Hugo vuole essere giustiziata come un uomo
- di Giuseppe Scaraffia -

Tra la folla furiosa che si riversava nelle vie di Parigi per protestare contro l’assassinio di un giornalista, Victor Noir, perpetrato da Pierre Bonaparte, cugino dell’imperatore Napoleone III, pochi avevano notato una donna vestita da uomo con un pugnale in mano. Louise Michel aveva quarant’anni e uno sguardo di sfida sul viso pallido senza trucco. Non era bella, ma non le interessava sembrarlo. Non voleva sedurre, ma ristabilire la giustizia. Figlia naturale di una cameriera e di un nobile, aveva iniziato come maestra. Quando aveva perso il posto rifiutandosi di giurare fedeltà all’imperatore, aveva creato una sua scuola. Per lei la lotta sociale e il femminismo erano inevitabilmente collegati e le donne avevano un ruolo insostituibile. «Noi non valiamo più degli uomini, ma il potere non ci ha ancora corrotte».
Alla caduta del corrotto Secondo Impero, travolto dall’esercito prussiano, si era unita a chi, malgrado le privazioni, intendeva lottare contro gli invasori e i reazionari loro alleati. Durante l’insurrezione parigina del 1871, si era offerta di andare a uccidere il presidente della repubblica Adolphe Thiers, responsabile di una pace vergognosa. Lo racconta nel vibrante La Comune, una cronaca che «vuole testimoniare», spiega la curatrice Chiara Di Domenico, e non essere «bella».
Louise aveva combattuto eroicamente sulle barricate e assistito i feriti, ma le truppe della reazione, con l’appoggio dei prussiani e la superiorità militare, alla fine avevano vinto, schiacciando la rivolta con una strage di decine di migliaia di vittime, tra cui il giornalista Théophile Ferré, l’unico uomo amato da Louise. Da parte loro i comunardi si erano macchiati di diverse arbitrarie fucilazioni, tra cui quella dell’arcivescovo di Parigi, e avevano incendiato la reggia delle Tuileries, per loro simbolo della tirannia napoleonica.
Quando avevano arrestato sua madre per ricattarla, non aveva esitato a consegnarsi, pur rischiando la pena capitale. La leggenda della Vergine rossa era iniziata quando, davanti al tribunale militare, aveva insistito per avere la pena capitale, negata alle donne. «Non graziatemi, perché se un giorno dovessi recuperare la libertà, sarebbe per vendicare le vittime da voi sacrificate». Per poi concludere: «Se non siete dei vigliacchi, uccidetemi». Victor Hugo, commosso, celebrò in una poesia, Viro major, più di un uomo, quella donna «terribile e sovrumana» che, invece di tremare, accusava i giudici e esaltava i compagni fucilati. «La bontà, la fierezza di donna del popolo. / L’aspra tenerezza che dorme sotto la collera».
Condannata alla deportazione a vita in un penitenziario della Nuova Caledonia, aveva maturato una fede anarchica e, unica tra i compagni, aveva lottato per gli indigeni in rivolta contro i francesi. Non aveva voluto accettare la grazia finché tutti suoi compagni di pena non l’avevano ricevuta.
La sua straordinaria dignità, la sua integrità e la sua intelligenza non erano passate inosservate. Un politico del campo avverso, Georges Clémenceau, colpito per l’abnegazione con cui Louise, pima della Comune, si prodigava per i poveri, avrebbe fatto il possibile per aiutarla. Durante la Comune quello che teneva ad essere chiamato «il primo poliziotto di Francia» si era dato da fare per impedire inutili massacri da una parte e dall’altra. Ma l’amicizia più rilevante della sua vita fu quella con Victor Hugo cui lei, ancora sconosciuta maestra, aveva mandato poesie e lettere piene di ingenua adorazione. E forse proprio con lui si era consumata l’unica smagliatura in una vita di una coerenza assoluta, ricostruito da Yves Muriot, un giornalista forse suo discendente. Quando la ventunenne Louise era andata a Parigi per conoscere Hugo, universalmente considerato un genio e un padre della patria, si sarebbe verificato un episodio non raro nella tumultuosa esistenza del poeta. Intimidita, Louise non sarebbe stata in grado di resistergli; poi, sconvolta, sarebbe tornata in provincia dove avrebbe dato alla luce clandestinamente una bambina, Victorine. La sua esperienza di figlia naturale, unita al suo disinteresse per la vita di famiglia, l’avrebbe spinta a darla in adozione a una famiglia. Certo, l’impressionante vuoto di documentazione su quel periodo potrebbe suffragare questa tesi. Molti anni dopo un intimo di Victor Hugo aveva trovato, frugando tra le carte dello scrittore dopo la sua scomparsa, alcune lettere di Louise Michel che, a suo parere, sarebbe stato meglio distruggere. Non si trattava certo della loro trentennale corrispondenza che sarebbe stata in seguito pubblicata.
Una folla festante aveva accolto Louise al ritorno in Francia. Assistendo i poveri aveva incontrato la risoluta duchessa d’Uzès, una femminista monarchica, la prima donna ad avere la patente in Francia, istintivamente attratta da quella rivoluzionaria. Quando, durante una manifestazione contro la pena di morte, un sicario le aveva sparato, l’aveva difeso, tutta insanguinata, dalla folla indignata: «È un pazzo, lasciatelo andare». Anche se uno dei proiettili le era rimasto nel cranio, non aveva voluto denunciare il suo attentatore e aveva detto al giornalista che cercava di intervistarla: «Lei sembra dare alle mie ferite molto più peso di quanto gliene dia io. Si ricordi che non sono una donna, ma una combattente».
Louise aveva continuato a lottare e pagarlo col carcere, malgrado gli interventi di Hugo e di Clémenenceau. Paul Verlaine che durante la Comune aveva alternato fanatismo e paura dedicò una ballata alla «musa rauca e fragile del povero». Nel 1904, era entrata in una loggia massonica che ammetteva le donne. L’aveva fatto perché credeva nella fratellanza umana e si era ricordata del giorno in cui, durante la Comune, un pittoresco corteo di massoni era salito sugli spalti sotto il fuoco nemico, predicando invano la pace. Ai suoi funerali, tra la folla commossa non si vedevano le bandiere rosse «bagnate del sangue dei nostri soldati», ma quelle nere dell’anarchia, «in lutto per i nostri morti e per le nostre illusioni».

- Giuseppe Scaraffia - Pubblicato su Tuttolibri del 13/3/2021 -

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