venerdì 12 marzo 2021

A metà strada, con voce media …

Nel suo saggio Historical Emplotment and the Problem of Truth (La narrazione letteraria storica e il problema della verità), presentato per la prima volta nel 1990 nel corso di una conferenza di Saul Friedlander, Probing the Limits of Representation (Esplorare i limiti della rappresentazione), Hayden White torna ancora una volta sulla questione delle possibili relazioni esistenti tra «storia» e «narrazione», con una particolare attenzione alla rappresentazione (possibile o impossibile? Accessibile o proibita?) della Shoah. White affronta una «nuova» questione e lo fa usando gli stessi strumenti che aveva affinato nei suoi testi precedenti, ponendo l'enfasi sul suo tentativo di recuperare l'«intransitività»  e il concetto di «voce media» (a metà strada tra narratore e personaggio), entrambe teorizzate da Barthes.
Ad un certo punto del suo saggio, White commenta lo sforzo che aveva fatto Andreas Hillgruber (detto per inciso, allora recentemente scomparso, nel 1989) di «salvare» una parte del lascito tedesco nella seconda guerra mondiale, scomponendo e analizzando quella che era stata la «tragica» resistenza dell'esercito tedesco sul fronte occidentale durante l'inverno 1944-1945; sostenuto nel suo libro "Il duplice tramonto. La frantumazione del «Reich» tedesco e la fine dell'ebraismo europeo" (Il Mulino, 1990). La «tragedia» della resistenza, scrive White, è la forma di trama che Hillgruber ha escogitato per poter conferire «eroismo» ad una parte specifica del lascito nazista (così facendo, White sottolinea la validità della propria posizione: la «storia» non esiste al di fuori della strategia narrativa che le viene conferita dalla forma).

Questo tentativo di dislocamento della trama nel contesto del nazismo, richiama il romanzo di Paul West, "The very rich hours of Count von Stauffenberg", pubblicato nel 1978. Il mio ricordo del romanzo di West non è diretto; proviene dall'utilizzo che ne fa J.M. Coetzee in uno dei capitoli del suo libro "Elizabeth Costello" (Einaudi, 2005). La protagonista del libro di Coetzee, nel capitolo su «Il Problema del Male» si riferisce al romanzo di West affermando che, a causa della rappresentazione della violenza che ne viene fatta (West descrive con ricchezza di dettagli le torture subite dagli ufficiali nazisti che tentarono di uccidere Hitler in un attentato), una cosa del genere non avrebbe mai dovuto essere scritta. Si può dire che, in un certo modo e in un certo senso, ciò che viene mobilitato è una certa forma di «eroismo» all'interno di ciò che è nazista, sotto il segno della resistenza aristocratica. Sempre in quello stesso saggio (Historical Emplotment and the Problem of Truth), Hayden White anticipa una serie di questioni teoriche che poi appariranno in seguito, in maniera più approfondita, in un saggio che verrà pubblicato nel 1992, “Writing in the Middle Voice”. White torna ancora una volta sulla questione della tensione esistente tra la letteratura realista del 19° secolo e l'emergere del paradigma modernista nei primi decenni del 20° secolo: perché alcuni studiosi di scienze umane insistono nel rimanere fedeli ai modelli narrativi del 19° secolo, e allo stesso tempo insistono che il loro sistema di rappresentazione «realista» sia lo «standard», l'unico che sarebbe «adeguato»?

Nel testo del 1990, White riprende in mano Roland Barthes, un autore che aveva letto con molta attenzione negli anni '80; soprattutto il Barthes della «scrittura» e dello «scrivere», del saggio del 1970, «Scrivere, verbo intransitivo?». Imbracciando Barthes, White torna alla carica del paradigma stabilito con le avanguardie del primo '900: non è più possibile continuare a scrivere nello stesso modo o ignorare che siano disponibili nuove forme di scrittura (rappresentazione, narrazione dell'altro e della storia). La letteratura del 20° secolo mostra l'«intransitività» del verbo/gesto «scrivere», lavorando a partire da quella che Barthes (seguendo Benveniste) chiama «voce media». Nel contesto realista ottocentesco del 19° secolo, scrive Barthes ( e riassume White per i propri scopi), esiste una chiara suddivisione tra agente, oggetto e azione: colui che scrive lo fa per qualcuno che sta al di fuori; precedente o successivo al processo di scrittura; nel caso della scrittura modernista, continua Barthes, l'agente si crea, si costituisce e si costruisce dentro e a partire dal processo della scrittura - caso paradigmatico è quello di Proust, che esiste solo nella scrittura, come effetto della scrittura (la sua memoria è una pseudo memoria, scrive Barthes, poiché essa è un effetto del testo che si rappresenta sempre - fino ad oggi - come un processo). La «voce media», quindi, è questa potenza della narrazione che oscilla tra voce attiva e voce passiva (tenendo il soggetto all'interno dell'azione, all'interno del processo in cui si dà scrittura). Sempre in "Historical Emplotment and the Problem of Truth", la conferenza del 1990, subito dopo avere utilizzato Barthes per sottolineare quali sono le possibilità di scrittura messe a disposizione dal modernismo e dalle avanguardie (qualcosa di cui aveva parlato già nel 1996, nel suo famoso saggio "The Burden of History"), Hayden White cita un altro francese, quasi come se stesse dando un altro "giro di vite": cita Jacques Derrida e una delle sue definizioni della Differenza (termine comune che viene trasformato in concetto, e la cosa avviene a partire dal cambiamento di vocale («différence» in «différance») che si scrive in maniera distinta, ma che si sente pronunciare in maniera equivalente, rendendo in tal modo la «differenza» solo una questione di «grafia».

La «voce media», che Barthes preleva da Benveniste (il quale, a sua volta, la recupera dai greci, dal teatro, dall'enunciazione della parola artistica al centro della polis), serve a White da attrezzo per poter pensare la rottura delle dicotomie all'interno delle narrazioni a proposito del passato (soggettività versus oggettività; storia versus mito; letterale versus figurativo). Ciò non vuol dire, scrive White, che i termini che si trovano in opposizione siano interdetti e vengano banditi in quanto modo di rappresentare la realtà; ma significa solamente che la ristretta opposizione dei termini non è impregnata - non è di per sé dotata - di una sua validità universale relativa a tutte le esperienze del mondo.
White cita un estratto dall'articolo di Derrida dedicato a quel concetto - la conferenza tenuta nel mese di gennaio del 1968 alla Società Francese di Filosofia, e poi pubblicata in quello stesso anno nel contesto del lavoro collettivo del gruppo della rivista Tel Quel, in "Théorie d'ensemble". Ciò che in quel passaggio  - e in quel testo - Derrida mette in discussione, tra le altre cose, è il sistema di distribuzione delle posizioni passive e attive all'interno della storia della filosofia; una manovra di indirizzamento che nel corso dei secoli si è come naturalizzata, e che ora può essere ripensata e riconfigurata (si tratta, ancora una volta, di nuovo della questione dell'indirizzamento di cui parla Heidegger nella «lettera» di cui poi parlerà Sloterdijk nel suo discorso circa le «Regole per il Parco umano» e che verrà ripreso dallo stesso Derrida alcuni anni dopo quando parlerà delle «cartoline postali».


fonte: Um túnel no fim da luz

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