lunedì 22 marzo 2021

Trame. Nel segno delle congiure!

La cospirazione, nel corso della Storia, dall'Antichità all'era postmoderna, è stata un fenomeno politico rilevante per qualsiasi forma di potere. Questo modo di resistenza al potere, è stato prevalente durante il Rinascimento, e il Quattrocento italiano, in particolare, può essere considerato come un'«età delle trame». Questo libro offre la prima completa inchiesta sulla letteratura rinascimentale italiana per quel che riguarda il tema della cospirazione. Tale letteratura ricopre una gamma di generi diversi e ha goduto di un'ampia durante la seconda metà del XV secolo, quando lo sviluppo di questa produzione letteraria si era legato all'affermazione del potere politico centralizzato e all'ideologia dei Prìncipi negli Stati italiani. La centralità delle cospirazioni emerge anche nel Cinquecento, nell'opera di Machiavelli, dove il tema si trova strettamente intrecciato ai problemi legati alla costruzione del consenso politico e alla gestione del potere.
Questo volume presenza lo studio dei più significativi testi umanistici (rappresentativi di Stati differenti, di generi letterari, e di autori di spicco - Alberti, Poliziano, Pontano  - e altri letterati minori, meno importanti), e investiga anche le opere letterarie storiche e politiche di Machiavelli. Attraverso un'analisi interdisciplinare, questa ricerca traccia l'evoluzione della letteratura a partire dalle trame che si intrecciano nell'Italia del primo Rinascimento. Evidenzia la funzione chiave avuta dalla tradizione classica e dai ricorrenti approcci narrativi, le tecniche storiografiche e le angolazioni ideologiche che caratterizzano la trasposizione letteraria del tema. Questo libro presenta anche una riconsiderazione delle complesse sfaccettature della letteratura politica umanistica, la quale giocò un ruolo decisivo nello sviluppo di una nuova teoria dello Stato.

(dal risvolto di copertina di: CONSPIRACY LITERATURE. IN EARLY RENAISSANCE HISTORY. HISTORIOGRAPHY AND PRINCELY IDEOLOGY, di Marta Celati Oxford University Press, Oxford, pagg. 304, £ 7. In English)

Eleganti stilettate in stile Rinascimento
- di Gabriele Pedullà -

Come negare il fascino delle congiure? I convegni notturni, i giuramenti, la paura di essere traditi, il momento decisivo in cui occorre passare all’azione quando un piccolo imprevisto potrebbe vanificare il lavoro di mesi... O, su un altro versante, l’inesausta capacità delle cospirazioni, vere o presunte, di nutrire le ipotesi più inverosimili (in Italia la chiamiamo: dietrologia), alimentando l’idea che tutto si compia in segreto: in definitiva, che pochi, nell’ombra, decidano sempre del destino di molti. L’ossessione per le congiure, in fondo, è ciò che rimane alle epoche scettiche, incapaci di credere che qualsiasi cambiamento di rilievo possa prodursi alla luce del sole. Ancora oggi, nell’immaginario globale, stagione per eccellenza delle cospirazioni è il Rinascimento italiano. Si tratta di un lascito dell’Ottocento romantico, che - tra George Byron, Stendhal e Jacob Burckhardt - si compiaceva del contrasto tra violenza e raffinatezza delle corti italiane del Quattro e del Cinquecento. Perché, dopo tutto, le congiure non sono altro che questo: azioni efferate sotto le forme più impeccabili, stiletti occultati nella giarrettiera, prelibatezze irrorate di veleno, cerimonie religiose profanate da un assalto improvviso all’arma bianca. Cinquecento anni, dopo gli sceneggiatori di Netflix e di HBO attingono ancora a piene mani a questo repertorio di spietata eleganza. Gli storici concordano che in Italia la seconda metà del Quattrocento fu una stagione di cospirazioni spettacolari. Nel 1453 il patrizio romano Stefano Porcari ideò una congiura contro il pontefice Niccolò V (si disse, col progetto di restaurare l’antica repubblica romana); nel 1467 papa Paolo II accusò alcuni dei principali umanisti legati al pontefice precedente di tramare contro di lui (questa volta addirittura per riportare in vita il paganesimo); nel 1476 due patrizi milanesi assassinarono sulla soglia della chiesa di Santo Stefano il duca Galeazzo Maria Sforza; solo due anni dopo un attentato simile - pianificato dal nuovo papa e dal re di Napoli - cercò di eliminare i Medici dallo scacchiere politico italiano. E l’elenco potrebbe continuare, tra congiure vere e presunte, riuscite e penosamente naufragate. Proprio perché si tratta di materia incandescente, i ricercatori seri si preoccupano di raffreddarla, liberando le cospirazioni del Rinascimento dagli stereotipi (spesso violentemente anti-cattolici e anti-italiani) che a esse sono attaccati dall’Ottocento. Uno dei modi con cui meglio si può ottenere questo “raffreddamento” è evidenziando la segreta razionalità politica delle congiure. Il proliferare degli attentati ai danni dei principi nel secondo Quattrocento non ha a che fare né con la riscoperta degli ideali repubblicani degli antichi né con la presunta corruzione degli italiani per colpa di un papato scellerato (secondo due paradigmi di lettura speculari, positivo e negativo, ma altrettanto diffusi nell’immaginario internazionale). E, con qualche eccezione (come la lotta dei feudatari napoletani contro la monarchia aragonese), non è nemmeno sicuro che i complotti siano stati stimolati dalle crescenti aspirazioni autocratiche dei principi italiani. È più probabile, infatti, che la congiura si sia imposta come una forma privilegiata di lotta politica perché - in seguito alla pace di Lodi (1454) - per quarant’anni esatti l’equilibrio tra Milano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli scoraggiò efficacemente i conflitti aperti, con l’eccezione di poche, violente fiammate (spesso proprio all’indomani di una congiura fallita). In mancanza di alternative, ci si rivolse insomma al pugnale o a una coppa avvelenata per ottenere gli stessi effetti che era diventato sempre più difficile conseguire attraverso una campagna militare. Un altro modo per “raffreddare” la materia è quello seguito da Marta Celati in un libro appena apparso da Oxford University Press. Conspiracy Literature in Early Renaissance History si sofferma infatti sul modo in cui i contemporanei raccontarono le congiure di quegli anni in opere che portano la firma di autori del calibro di Leon Battista Alberti, Giovanni Pontano e Angelo Poliziano, tanto per rimanere solo ai più noti. Il libro di Celati consente così di mettere a fuoco almeno due aspetti cruciali. Il primo è quello che si potrebbe definire la forza creativa del classicismo. Nel tentativo di interpretare gli avvenimenti recenti, i diversi umanisti trovarono negli antichi, Sallustio in testa, una guida assai duttile per costruire il proprio racconto (le cause remote della congiura, i ritratti in chiaroscuro dei diversi personaggi, le orazioni per eccitare gli animi dei ribelli...), senza che i modelli del passato precludessero mai la sperimentazione con i più diversi generi, in poesia come in prosa. Le opere degli umanisti sulle congiure confermano insomma il famoso principio di Orazio per cui, sotto la penna di uno scrittore di vaglia, il «noto» si ripresenta sempre come «nuovo». L’altro aspetto da non trascurare è la nascita di quello che si potrebbe chiamare lo studio scientifico dei complotti. Non casualmente, il libro di Celati si chiude sulle tante pagine dedicate da Machiavelli alle congiure, soprattutto nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, dove vengono passate in rassegna e discusse mosse e contromosse di tutti gli attori politici coinvolti in un’ipotetica cospirazione (in attacco e in difesa). Affondo, parata. Affondo, parata. Burckhardt ne rimase conquistato, e nelle parole di elogio per la «solita imparzialità» di Machiavelli si può riconoscere uno dei germi della sua idea del Rinascimento come la prima epoca in cui gli uomini, finalmente affrancati dalle superstizioni religiose, cominciarono a trattare lo «Stato come un’opera d’arte», vale a dire come un meccanismo altamente sofisticato da plasmare a piacimento: se necessario senza inchinarsi agli imperativi della morale comune. Era la nascita della modernità, ovvero - per Burckhardt - del nostro stesso presente. Nel segno delle congiure.

- Gabriele Pedullà - Pubblicato su la Domenica del 21/2/2021 -

Nessun commento: