domenica 28 marzo 2021

Passeggiando …

Camminare: un comportamento anticapitalista
- di Carlos Madrid -

In quest'epoca sconsiderata, camminare la strada senza fretta e senza un obiettivo utilitario è una vera e propria resistenza. Nega la produzione incessante. Rivendica la città come spazio pubblico. E reintroduce il pensare-guardare: l'aprirsi al mondo senza la mediazione dei mercati. Nel Libro "Alice nel paese delle meraviglie", c'è un momento in cui lo Stregatto dà ad Alice un consiglio per farla uscire dalla situazione in cui si trova: «Arriverai da qualche parte, solo se cammini abbastanza lontano». Si tratta di una frase che noi, i sopravvissuti di questo XXI secolo, possiamo raccogliere e torcere, fino ad estrarne nuovi significati. Perché camminare può servire per raggiungere il luogo desiderato, ma anche - esercizio al quale si rinuncia sempre più - a riconoscere il luogo che abitiamo. Per pensare. A partire da questa seconda concezione, ci sono molti pensatori e pensatrici che dedicano ore a una cosa simile. Tanto al fine di esercitarlo, quanto allo scopo di riflettere su quale sia il suo ruolo nella nostra vita quotidiana. Gli è che, come dice il filosofo e scrittore Santiago Alba Rico, «fino a una ventina d'anni fa, camminare era normale; mentre oggi è diventata una prescrizione medica o un atto di sana disciplina». Pertanto, nei suoi articoli apparsi su diverse pubblicazioni e in alcuni dei suoi libri, come"Ser o non ser (Un cuerpo)" [Essere o non essere (un corpo)], il pensatore ha dedicato molte parole a descrivere le qualità di quest'arte. Questa forma di interagire con quello che ci circonda, è condiviso anche dalla giornalista Anna Maria Iglesia. La sua tesi di dottorato, pubblicata lo scorso anno, parla di tutti che praticano la passeggiata ed ha per titolo La revolución de las “flâneuses”. Per l'autrice, l'importanza del camminare risiede nell'occupare lo spazio pubblico, nel mostrarsi alla società. «Per me, il camminare, come sostiene Rebecca Solnit, è importante in quanto rivendicazione del soggetto che ha diritto a stare nello spazio pubblico. Significa che la strada non è una concessione, ma ci appartiene», argomenta. Anna Maria Iglesia ha passato cinque anni a scrivere una tesi su quelli che passeggiano, a prescindere dal genere, femminile o meno. A partire da questo, arrivò per lei un momento in cui si chiese che fine avessero fatto le donne che fra le altre cose, negli ultimi anni,  avevano anche occupato le strade. A questa sua smemoratezza, intese riparare con il libro. «Bisogna chiedersi dove sia la donna nello spazio pubblico: perché non le viene permesso di stare in strada/intendendo con questo che la donna di strada è una prostituta. E quest'ultima associazione reca in sé la convinzione secondo cui una donna non dovrebbe trovarsi per strada, tanto meno a certe ore. Difendere queste donne significa valorizzare la lotta della donna per una sua auto-legittimazione nello spazio pubblico», sostiene.

Nel momento in cui lo spazio-tempo si allinea con il pensiero.
Perché camminare - contrariamente a quella che è la percezione che ne abbiamo - serve in gran parte a pensare. Si tratta di un momento nel quale lo spazio-tempo si allinea con il pensiero, attraverso uno sguardo che osserva. «Pensare e guardare sono attività straordinarie, indispensabili alla sopravvivenza umana. Pensare e guardare, soprattutto, sono esperienze sempre più eccezionali. Ed è per questo che, come disse Stevenson, bisogna passeggiare, camminando senza fretta e in libertà, senza la disciplina di un percorso fisso, passando così dall'interno all'esterno, dalla meditazione al mondo», sottolinea Alba Rico. In sostanza, passeggiare visto come un modo di aprirsi all'esterno.
Da parte sua, Anna Maria Iglesia segue l'idea di camminare che aveva Rosseau, il quale diceva che per lui pensare implicava uscire per fare una passeggiata. «C'è tutta una corrente letteraria e filosofica che segue tale linea, che per camminare intende una forma di pensare, di rallentare il ritmo, di astrarsi rispetto ad una determinata occupazione. Il camminare ha in sé qualcosa di ozioso, non è produttivo. Si tratta di un atto che abbandona la logica produttiva nella quale ci troviamo immersi al fine di poter essere utili». Si tratta, pertanto, di uno stadio al quale perveniamo nel momento in cui riduciamo la velocità dei nostri corpi e, di conseguenza, dei nostri cervelli. Qualcosa che non è possibile alla velocità di quelle che sono le nostre macchine, come diceva nel secolo scorso Stefan Zweig. «Noi non camminiamo alla velocità di un corpo; né pensiamo alla velocità di un cervello. Ciò implica che tralasciamo tutte le esperienze indissociabili da queste velocità antropometriche: le cerimonie, il corteggiamento amoroso, gli acquisti fatti nelle piccole botteghe, l'attesa in generale, compresa ad esempio quella della maternità, sempre più incompatibile con i ritmi produttivi e i flussi di immagini delle nuove tecnologie», sosteneva il filosofo.
I nuovi ritmi vitali, ritiene Alba Rico, ci hanno travolto e fanno fatto sì che la velocità smettesse di essere un mezzo per trasformarsi in un soggetto. «La velocità è il soggetto che presiede alle nostre vite, convertitesi ora in un mezzo e, a volte, in un ostacolo alla velocità. La velocità accelera i nostri corpi e, se non riusciamo ad andare al ritmo che essa ci impone, essa ci lascia indietro, oppure fa  a meno di noi. Il corpo stesso diventa come una spazzatura che ci intralcia», conclude.
In tal modo, la velocità è stata fissata nella nostra vita dal capitalismo, ed è stata essa ad averci proibito delle cose semplici come la noia, l'attenzione e l'attesa. Anche il camminare è stato dimenticato a partire dal fatto che non è un atto produttivo; e, secondo la logica capitalista, pertanto inutile. «Il nostro tempo è incentrato per farlo essere produttivo o consumista. Il tempo libero, inteso come un tempo per uscire dalle logiche di mercato, è stato ridotto al minimo. Il filosofo coreano Byung-Chul Han dice anche lui qualcosa del genere: siamo passati dall'epoca in cui ci veniva imposto un certo lavoro, ad un tempo in cui ora siamo noi che imponiamo a noi stessi la produzione. Ciò significa che nella nostra società, il tempo per le cose inutili è completamente scomparso», sostiene Anna Maria Iglesia.

Recuperare il camminare
Se le cose stanno così, allora non c'è modo di riuscire a recuperare il camminare? «Vedo che ora è difficile, che ci troviamo imprigionati nel capitalismo, in quella che è una logica di produzione difficile da infrangere. È necessario rimanere consapevoli, in ogni momento, di tutto quanto quello che ci circonda e del modo in  cui ci influenza. Di tutto ciò che consumiamo - e qui non sto facendo riferimento solo agli acquisti, a cosa si compra, ma anche ai discorsi, ai messaggi, ai luoghi, a tutto quello che ci viene imposto. Quando arriveremo ad esse coscienti di tutto questo, allora, a quel punto, saremo in grado di cambiare», risponde al giornalista.
Già, Alba Rico è convinta del fatto che abbiamo perso l'esperienza, la quale ora dev'essere convertita in un sabotaggio premeditato della macchina della velocità. Qualcosa  che è già avvenuto perché «chi passeggia, se lo desidera, lo fa al di fuori dei circuiti della funzionalità capitalistica».  Per poter passeggiare occorre avere tempo, che non abbiamo; serve volontà, che dev'essere confiscata all'intrattenimento industriale; e abbiamo bisogno di uno spazio adeguato, che va sottratto in un universo occupato dalle automobili. Anche così, persiste un margine di speranza. E risiede nell'esercitare il passeggio, la passeggiata; una cosa che innesca una serie di cambiamenti. Cambiamenti che «richiedono come loro condizione, che la nostra società e la nostra economia si trasformino. E fare questo è un cammino lungo e difficile. Nel frattempo, possiamo tentare, a volte, di abbandonare il velocissimo corpo astratto e tornare a quello antico, a quello originale e singolare; a quello che garantisce vincoli e legami: con il mondo e con gli altri corpi». Il filosofo conclude dicendo: «Che a volte possono essere insopportabili, ma senza di essi non esiste apprendimento, né piacere profondo, né futuro».

- Carlos Madrid  - Pubblicato il 25/11/2020 su  blogdaconsequencia -

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