Chi prova a dare un ordine ai propri libri deve al tempo stesso riconoscere e modificare una buona parte del suo paesaggio mentale. Impresa delicata, piena di sorprese e di scoperte, priva di soluzione. Molti l’hanno sperimentata, dal dotto seicentesco Gabriel Naudé ad Aby Warburg. Qui se ne raccontano vari episodi, mescolati a frammenti di una autobiografia involontaria. A cui fanno seguito un profilo del breve momento in cui certe riviste, fra 1920 e 1940, operavano come impollinatrici della letteratura e una cronaca dell’emblematica nascita della recensione, quando Madame de Sablé si trovò nella improba situazione di dar conto pubblicamente delle Massime del suo caro e suscettibile amico La Rochefoucauld. Finché il tema del dare ordine riappare alla fine, questa volta applicato alle librerie di oggi, per le quali è una questione vitale, che si pone ogni giorno.
(dal risvolto di copertina di: Roberto Calasso, "Come ordinare una biblioteca". Adelphi)
La biblioteca secondo Calasso nessun libro è un’isola
- di Emanuele Trevi -
Con "Il libro di tutti i libri", uscito nello scorso autunno, Roberto Calasso ha aggiunto la decima parte ad un’opera immensa, affascinante quanto inclassificabile, il cui primo volume, "La rovina di Kasch", risale ormai a trentasette anni fa. A mio modesto e opinabile parere, questa impresa di Calasso e il ciclo autobiografico di Karl Ove Knausgrd sono le due più ambiziose e memorabili scommesse sul futuro della letteratura contemporanea in Europa, ed hanno in comune il fatto di essere composti da volumi leggibili anche nella loro autonomia, e non necessariamente in ordine cronologico. Si potrebbe dire che Knausgrd è in vantaggio, nel senso che nel 2011 ha terminato con il sesto volume "La mia lotta", non prima di aver riempito tremila fitte pagine. Ma anche Calasso (che per ora non ha dato alla serie un titolo complessivo, ma ha semplicemente numerato i singoli volumi) avrà in mente qualcosa, perché è uno scrittore troppo attento alle leggi formali per ignorare che le forme, per essere immagini credibili del mondo, a differenza del mondo devono pur terminare da qualche parte.
Accanto all’opus magnum, poi, Calasso pubblica di tanto in tanto dei volumi di scritti minori, dove si esaltano le sue qualità di saggista, come in "La letteratura e gli dèi" e in questo "Come si ordina una biblioteca", che raccoglie vari interventi (alcuni già apparsi parzialmente sulle pagine di questo giornale) legati a una riflessione sugli oggetti, le istituzioni, i modelli mentali che ruotano intorno al concetto di libro, a partire dalla sua materialità fisica di oggetto ormai più volte dato per obsoleto e morituro ma, come osserva Calasso, insostituibile come i letti, o i cucchiai. In realtà, le prime profezie sulla morte del libro e la sua smaterializzazione digitale risalgono alla fine degli anni Ottanta, ma è più facile, a quanto pare, che si realizzi la famigerata morte dell’arte che quella del libro. Forse Calasso sottovaluta eccessivamente l’ebook, che permette un’esperienza del tutto nuova e molto avvincente: leggere al buio. Ma ha perfettamente ragione quando afferma che il mondo è ancora pieno di libri, alla faccia di tanti futurologi, perché il nostro corpo ci permette un numero molto limitato di gesti e gli oggetti sono tentativi più o meno felici di adattarsi alle caratteristiche inevitabili di quei gesti.
Oltre alle riflessioni promesse dal titolo sull’ordinamento di biblioteche pubbliche e private, il libro di Calasso affronta, nell’ordine, l’epoca d’oro delle riviste letterarie (all’incirca dal 1920 al 1945); la recensione (il cui archetipo risale ad un articolo del 1665); e infine le librerie: queste sono, come tutti sappiamo, a rischio di estinzione con l’avvento di Amazon.
Il filo rosso di queste meditazioni ci sembra quello della teoria del buon vicinato, che risale ad Aby Warburg, che oltre ad essere stato un formidabile precursore nella storia dell’arte e nello studio dei simboli, diede forma a una biblioteca che nacque come privata ed è diventata un vero e proprio patrimonio dell’umanità. Ebbene, alla base dell’intuizione di Warburg c’è il fatto che i libri non esauriscono mai in sé stessi i loro significati, come se fossero autosufficienti monadi verbali, ma ne generano di nuovi e imprevisti attraverso il loro accostamento: ovviamente nella mente di chi legge, ma anche sugli scaffali di una biblioteca o di una libreria. E lo stesso vale anche per gli indici delle grandi riviste letterarie del Novecento, dove si potevano trovare fianco a fianco, mettiamo, una prosa di Paul Valéry e un capitolo dell’Ulisse di Joyce.
Si tratta pur sempre, come scrive Calasso con una formula che potrebbe applicarsi anche alle sue opere maggiori, di moltiplicare e complicare i significati. Leggere queste riflessioni può anche essere un modo per capire l’assurdità di quel vecchio gioco intellettuale di società, in cui si doveva scegliere un unico libro da portarsi su un’isola deserta. Che senso ha dare una risposta ? Nessuna quella giusta. Già con soli due libri il gioco acquisterebbe tutt’altra verosimiglianza, perché due libri ben scelti sono un mondo, e non è detto che leggerne più di due sia necessariamente un bene. Ma un libro solo, su quell’immaginaria isola deserta, non sarebbe sé stesso, si oscurerebbe rapidamente come un congegno elettrico a corto di batterie. In maniera abbastanza paradossale, gli uomini riescono a vivere da soli molto più delle cose che scrivono. E il libro unico, quale esso sia, è sempre un turpe simbolo della menzogna e della morte. Ma l’aspetto più interessante del ragionamento di Calasso, meritevole di essere approfondito, è una nota di pessimismo sul presente, come se la nostra epoca fosse incapace di produrre non tanto buoni libri, quanto buoni vicini.
L’epoca d’oro delle riviste, osserva Calasso, è finita quando è venuto a mancare non il talento individuale, ma il tessuto comune, e la letteratura del nuovo millennio è diventata un fatto di singoli, tenacemente separati e solitari. Se ci riflettiamo, bene, è proprio così il mondo dei best seller, dei romanzi del momento di cui sei mesi dopo nessuno ricorda nulla: quello creato dall’industria culturale uno spazio mentale fondamentalmente solipsistico, dove ogni libro viene spacciato per quello giusto da portarsi su un’isola deserta. E per fortuna le isole deserte non esistono più, altrimenti il mondo sarebbe ancora più pieno di fregature di quello che è già.
- Emanuele Trevi - Pubblicato sulla Lettura del 27/5/2020 -
Nessun commento:
Posta un commento