« Kafka dice precisamente che una letteratura minore riesce molto meglio delle altre a elaborare la materia. Perché? e cos’è questa macchina d’espressione? Sappiamo che essa ha con la lingua un rapporto di deterritorializzazione molteplice: è la situazione degli Ebrei che hanno abbandonato il ceco insieme all’ambiente rurale, ma anche della lingua tedesca intesa come “linguaggio di carta”. Si andrà allora ancor più lontano, si spingerà ancora più avanti questo movimento di deterritorializzazione nell’espressione. Solo che i modi per farlo sono due: o arricchire artificialmente questo tedesco, gonfiarlo di tutte le risorse di un simbolismo, di un onirismo, di un senso esoterico, di un significante nascosto - e avremo così la scuola di Praga, Gustav Meyrink e molti altri, fra cui Max Brod. Ma questo tentativo implica uno sforzo disperato di riterritorializzazione simbolica, a base di archetipi, di Kabbala e di alchimia, che accentua il distacco dal popolo e non può trovare altro sbocco politico che il sionismo come “sogno di Sion”. Kafka prenderà presto l’altra via, anzi l’inventerà. Egli opterà per la lingua tedesca di Praga, così com’è, nella sua povertà stessa. Andare sempre più avanti nella deterritorializzazione... a forza di sobrietà. Poiché il vocabolario è disseccato, farlo vibrare in intensità. Opporre un uso puramente intensivo della lingua ad ogni uso simbolico, o significativo, o semplicemente significante. Arrivare a un’espressione perfetta e non formata, un’espressione materiale intensa. (Quanto alle due maniere possibili, non si potrebbe ripetere il discorso anche per Beckett e Joyce, benché le condizioni siano diverse? Tutti e due, irlandesi, sono nelle condizioni geniali di una letteratura minore. La gloria di una simile letteratura è appunto quella di essere minore, cioè rivoluzionaria per ogni letteratura. Uso dell’inglese e di tutte le lingue in Joyce. Uso dell’inglese e del francese in Beckett. Ma, mentre il primo procede continuamente per esuberanza e sovradeterminazione, operando tutte le riterritorializzazioni planetarie, l’altro procede a forza di sobrietà disseccata, di povertà voluta, spingendo la deterritorializzazione sino al punto di non lasciar sussistere che intensità.) Quante persone vivono ancor oggi in una lingua che non è la loro? Oppure non conoscono neppure più la loro, e conoscono male la lingua maggiore di cui sono costretti a servirsi? È il problema degli immigrati, e soprattutto dei loro figli. È il problema delle minoranze. Problema d’una letteratura minore e tuttavia anche nostro, di noi tutti: come strappare alla propria lingua una letteratura minore, capace di scavare il linguaggio e di farlo filare lungo una sobria linea rivoluzionaria? Come diventare il nomade, l’immigrato e lo zingaro della propria lingua? Kafka parla di strappare il bambino dalla culla, di ballare su una corda tesa. » (Gilles Deleuze / Félix Guattari , "Kafka. Per una letteratura minore").
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