sabato 20 giugno 2020

Oggetti senza soggetti

Le carte stradali Michelin sono diventate navigatori GPS; i telefoni fissi sono silenziosamente scomparsi dagli ingressi delle nostre abitazioni. Le cose, talvolta, segnano distanze istantanee tra generazioni, per il resto, ancora vicine. Questo libro segue la traiettoria di dieci oggetti che sono cambiati sotto i nostri occhi. Osserva chi li utilizza ancora e chi non li degna più di uno sguardo. Si domanda cosa accada in quel passaggio. Se nel momento in cui un oggetto diventa desueto qualcosa che era in esso vada perduto; se qualcosa muti in noi, dopo che lo abbiamo abbandonato: dalle mappe al telefono, dalla penna alla lettera, dalla macchina fotografica ai giornali. Così gli oggetti di uso comune, molte delle tecnologie che utilizziamo ogni giorno, potranno essere considerate come i punti cardinali su una bussola. Raccontano chi eravamo e chi siamo diventati.

(dal risvolto di copertina di: Massimo Mantellini "Dieci splendidi oggetti morti". Einaudi)

Ci siamo distratti e il telefono a disco è morto. Non gli abbiamo nemmeno fatto il funerale
I fazzoletti di stoffa e le carte stradali, ma anche il silenzio assoluto: dieci “oggetti” indispensabili oggi spariti
di Elena Loewenthal

"Dieci splendidi oggetti morti", il nuovo libro di Massimo Mantellini per le Vele Einaudi, si apre con un fazzoletto e si chiude con il silenzio. Fra la prima e l’ultima pagina il lettore troverà materia di vita, riferimenti autobiografici, rimandi bibliografici, musicali e d’ogni genere. Benché sia un libro su oggetti presumibilmente «morti», sono in realtà pagine piene di vita. Il fazzoletto con cui questo racconto comincia è quello di Herta Müller, premio Nobel per la letteratura nel 2009. Non sappiamo neanche di che colore sia, ma quel che è certo è che nella vita della scrittrice tedesca occupa un posto importante: «forse quel fazzoletto è ciò che le cose sono per noi, anche quando – come nel caso del pezzo di stoffa della scrittrice – si tratta di un oggetto che non esiste più», spiega Mantellini. È il destino che accomuna i protagonisti di questa storia. Alcuni prevedibili, perché sono morti per tutti noi. Altri meno perché o non li credevamo morti o se ne sono andati talmente in silenzio che non ci siamo accorti della loro sparizione. Come la nostra capacità di concentrazione: è nata così, ed è andata fortificandosi negli anni, l’era della disattenzione. O meglio dell’attenzione leggera. O meglio dell’attenzione variabile. La nostra disponibilità crescente a essere disturbati. Le notifiche sul telefono, la musica che riempie lo spazio acustico collettivo. È talmente variabile, la nostra attenzione, che certe riviste si sentono in dovere di indicare il tempo di lettura dei testi. È sempre un tempo molto limitato, ma questa precauzione è una sorta di avvertimento, di rassicurazione: il testo non intende «rubarti» più di una manciata di minuti, dunque abbi pazienza, cerca di concentrarti – passa in fretta! Mantellini non scivola mai nella retorica del tempo che fu. Questo libro che mette così in chiaro le nostre fragilità, il nostro labile rapporto con il tempo, non punta mai il dito perché è partecipe e sincero. E la Spoon River degli oggetti morti non è mai sovraccarica di nostalgia, c’è sempre anzi un tratto ironico. La sparizione delle mappe geografiche è, ad esempio, l’occasione per parlare di Georges Perec e di Cristoforo Colombo, per approdare alla faccenda della guida autonoma e delle sue implicazioni etiche. Con la sparizione delle mappe cartacee è cambiata la nostra percezione dello spazio. Proprio come il tempo, che ha una faccia tutta diversa a seconda che lo si guardi con un orologio analogico o digitale. Naturalmente un capitolo del libro è dedicato al telefono. Gira da tempo sul web un simpatico video in cui dei bambini ultramillenials vengono messi di fronte a uno di quei vecchi (ma neanche tanto, a ben pensarci) apparecchi di bachelite neri, il disco con i numeri da far girare. I bambini sorridono, si grattano la testa, esplorano l’oggetto. Per chi quei telefoni li ha usati, trascinandoli magari di stanza in stanza di casa in cerca di un briciolo di intimità lungo il filo, è una scena quasi scioccante. Eppure, quel telefono è sparito dagli orizzonti, senza «dare segno di sé come avrebbe potuto.  Poteva essere un funerale gigantesco, pieno di fanfare che lo annunciavano, e invece il telefono fisso, con i suoi terminali in plastica tristi e mal disegnati, è scomparso lentamente e senza strepiti...». Parlandoci degli oggetti smarriti, però, Mantellini non può giustamente fare a meno di citare anche quelli che li hanno soppiantati. Non sono sovrapposizioni ma quasi sempre dei cambiamenti profondi, non tanto negli oggetti quanto in noi che li usiamo. Il salto dalla penna all’assistente personale, quella voce metallica che ti risponde quasi sempre per le rime, è abissale. La virtù di mezzo è, spiega Mantellini, la tastiera: oggetto presumibilmente già un po’ desueto, ma capace ancora di dare corpo al nostro pensiero «autonomo» e soprattutto essa stessa oggetto, non un’entità astratta magari più intelligente ma certo meno indecifrabile di quel personal digital assistant (Siri e compagnia bella) che significa più o meno: «Milioni di persone in tutto il mondo hanno iniziato a fare domande ad altre persone che non esistono, chiamandole per nome».
Mantellini racconta anche di altro: il libro («uno splendido oggetto vivo» – e non poteva essere altrimenti, dentro un libro: più oggetto interno di così...), i dischi. I «fili»: viviamo nell’era del touchless e del wireless, ma è solo apparenza. I fili ci sono, sono solo nascosti. Nessuno lo sa meglio di Oppy, la sonda della NASA che arrivò su Marte nel lontano 2004 e nel mese di giugno del 2018 fu uccisa da una tempesta di polvere che le devastò le batterie: poco prima di morire mandò alla terra più o meno queste parole: «le batterie si stanno scaricando e sta facendo buio». Ecco, anche il silenzio è un bene, un oggetto che stiamo un poco perdendo per strada, nel nostro rapporto con un mondo senza fili eppure super connesso. Non il silenzio assoluto e definitivo della povera Oppy, ma quello che ci serve per trovare l’equilibrio fra cielo e terra. 

- Elena Loewenthal - Pubblicato su Tuttolibri del 23 maggio 2020 -

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